Non è nuova la consapevolezza che esistano batteri resistenti, in grado cioè di non soccombere all’attacco di antibiotici: nel mondo scientifico le molteplici organizzazioni, enti e ricercatori hanno compreso che le attuali tipologie di medicinali non sono in grado di garantire in eterno la soluzione a molte malattie, e da tempo hanno cominciato a cercare una via alternativa per combattere ciò che viene definita Antibiotico-Resistenza (AR).
Ad oggi, gli antibiotici si stanno rivelando sempre più inefficaci nel combattere molteplici tipologie di batteri. La prescrizione sconsiderata, ma anche l’uso scorretto di questi farmaci da parte di molti e non in ultimo gli scarsi investimenti nel settore, hanno contribuito alla “evoluzione” di famiglie di germi che oggi sono capaci di combattere efficacemente le molecole dei farmaci. Se le cose dovessero rimanere così, ci attendono risvolti particolarmente infausti. Sono molte le ipotesi di scenari futuri in cui potrà diventare più difficile curare un’infezione da batterio antibiotico-resistente, che non un cancro.
L’AR è divenuta nel corso degli ultimi due decenni una vera e propria minaccia globale per i sistemi sanitari e per la sanità pubblica a livello mondiale. La scoperta dei primi antibiotici ha fornito consistenti e indubbi benefici alla salute, e ha contribuito certamente al progresso medico, ma vi è da ricordare l’uso improprio non solo dal punto di vista umano ma anche e soprattutto quello del settore veterinario.
Si pensi alla gestione degli allevamenti intensivi, in cui antimicrobici e antibiotici vengono somministrati a livello preventivo o per evitare danni agli animali che vengono tenuti in condizioni sanitarie vergognose. Questo ha fatto sì che gli antibiotici venissero assunti anche indirettamente, innescando ancor più velocemente la risposta dei batteri.
È anche vero che la capacità di resistenza agli antibiotici può essere innata e intrinsecamente legata alla fisiologia generale e all’anatomia di un microrganismo. In alcune specie batteriche, denominate “insensibili” o “unsusceptible”, la resistenza intrinseca è una caratteristica propria e non è influenzata dall’uso o abuso di antibiotici.
Recenti studi hanno provato che la resistenza agli antibiotici e i diversi meccanismi genetici potrebbero colpire la virulenza e la vitalità batterica. Negli ultimi anni, cloni derivati sia da animali che da esseri umani resistenti a molti antibiotici e portatori di fattori di virulenza, hanno avuto una diffusione a livello globale. Un esempio è la diffusione negli ospedali dell’Enterococcus faecium.
“Solo in Italia, nel 2019, la percentuale di resistenza agli aminoglicosidi ad alto dosaggio (gentamicina/streptomicina) in E. faecalis è stata del 38,2%, tuttavia si osserva un trend in diminuzione negli ultimi due anni; inoltre, dai dati emerge che la resistenza alla vancomicina si è mantenuta bassa, inferiore al 2%. Risultati analoghi si osservano considerando gli stessi laboratori per gli anni 2018 e 2019.”
Sono considerati commensali innocui in soggetti sani, ma in particolari condizioni possono causare vari quadri clinici come endocarditi, sepsi, infezioni del tratto urinario o essere associati a peritoniti e ascessi intra-addominali. Al genere Enterococcus appartengono più di 50 specie, prevalentemente rappresentate da E. faecalis ed E. faecium, ritenuti tra i più importanti patogeni ospedalieri.
Gli enterococchi sono intrinsecamente resistenti a diversi antibiotici, tra cui cefalosporine, sulfonamidi e aminoglicosidi a basse concentrazioni. Gli aminoglicosidi, come gentamicina o streptomicina, hanno un effetto sinergico in combinazione con penicilline o glicopeptidi per la terapia delle infezioni da enterococchi. Questo effetto sinergico si perde se i ceppi presentano un alto livello di resistenza agli aminoglicosidi” [Fonte ISS]
Le nuove armi contro i Batteri Resistenti
I ricercatori dell’Istituto Americano Wistar, coordinati da Farokh Dotiwala e Joseph Salvino, hanno messo a punto una nuova strategia per evitare gli scenari sanitari ipotizzati anche dall’OMS: si tratta di un’innovativa classe di antibiotici che agiscono in modo duplice, in primis colpendo i microrganismi e poi attivando anche le difese immunitarie dell’ospite.
“Abbiamo adottato – spiega Dotiwala – una strategia creativa e duplice, per sviluppare nuove molecole in grado, da un lato, di uccidere i batteri resistenti ai farmaci e, dall’altro, di migliorare la risposta immunitaria naturale dell’ospite. Abbiamo, infatti, pensato che sfruttare il sistema immunitario per attaccare simultaneamente i batteri su due diversi fronti potesse rendere difficile lo sviluppo di meccanismi di resistenza”
Lo studio, che non è l’unico e che segue altre ricerche effettuate negli ultimi anni da scienziati americani e canadesi, è stato pubblicato sulla rivista Nature.