Quando si parla di prevenzione durante la gravidanza, una delle raccomandazioni più diffuse è: “non fumare durante la gestazione” e sia chiaro che è un consiglio sicuramente valido, ma che potrebbe rivelarsi parzialmente insufficiente, alla luce delle più recenti evidenze scientifiche.
La verità è che il fumo, anche molto tempo prima del concepimento, può compromettere la salute del futuro bambino. E questo vale sia per la madre che per il padre.
Non fumare (solo) in gravidanza e perché potrebbe non essere sufficiente
Questo articolo analizzerà il perché non solo, com’è già consigliato, è meglio non fumare durante la gravidanza, ma potrebbe pure essere necessario avere il rapporto sessuale del concepimento non prima che ambedue i partner abbiano smesso di fumare per sei mesi o addirittura un anno.

Come già visto il tabacco e il fumo è così culturalmente radicato (soprattutto in Italia), che potrebbe fare addirittura strano una raccomandazione che vada oltre le linee guida ufficiali.
Fumo e spermatozoi: l’uomo conta eccome
Diversi studi dimostrano che il fumo attivo cronico negli uomini può:
- aumentare la frammentazione del DNA spermatico,
- ridurre la motilità degli spermatozoi,
- alterare la metilazione del DNA, ovvero i “segnali epigenetici” che regolano l’espressione dei geni.
Secondo uno studio pubblicato su Human Reproduction (2016), questi effetti permangono anche mesi dopo la cessazione del fumo, suggerendo che un uomo che intende avere figli dovrebbe smettere almeno sei mesi prima del concepimento, se non addirittura smettere di fumare un anno prima del momento del rapporto sessuale del concepimento.
Donne e fumo pre-concepimento: danni silenziosi
Le linee guida ancora non dicono “non fumare anche prima della gravidanza“, tuttavia in un prossimo futuro potremmo vedere addirittura “non fumare sei mesi [se non un anno] prima della gravidanza“.
Perché?

Non è solo il fumo in gravidanza a essere pericoloso e anche il fumo prima del concepimento può alterare:
- la riserva ovarica,
- la qualità degli ovociti,
- l’endometrio e la capacità di impianto dell’embrione,
- la regolazione immunitaria nella fase iniziale della gestazione.
Uno studio apparso su Reproductive Toxicology (2015) ha mostrato che l’esposizione al fumo ambientale pre-gravidanza può compromettere la formazione della placenta, con ripercussioni a lungo termine.
Epigenetica: l’eredità invisibile
Oggi sappiamo che le esperienze ambientali, incluso il fumo, possono modificare l’espressione genica nei figli attraverso meccanismi epigenetici e uno studio su Nature Reviews Genetics (2011) aggiunto ad un altro studio su Environmental Epigenetics (2019) hanno confermato che le abitudini tossiche dei genitori pre-concepimento si traducono in effetti biologici misurabili nella prole.
Fumo di terza mano: il nemico silenzioso
Dal 2009, con la pubblicazione su Tobacco Control (BMJ), si parla di third-hand smoke (fumo di terza mano): i residui tossici che si depositano su mobili, vestiti, pareti e superfici, e che continuano a essere inalati anche settimane dopo l’ultima sigaretta (se fumi in casa e hai spesso polvere e non sai come mai, ora potresti avere una risposta…).

Uno studio del 2020 su Environmental Science & Technology ha mostrato che questi residui possono essere riattivati e inalati anche da neonati e bambini piccoli, con effetti ancora poco compresi ma potenzialmente gravi.
Il fumo di terza mano, tuttavia, meriterebbe di essere approfondito in altra sede perché è un argomento spesso lasciato da parte anche dalle istituzioni.
Bonificare l’ambiente domestico: una necessità concreta, non fumare non basta
Alla luce degli effetti del fumo di terza mano, non basta smettere di fumare: è fondamentale anche bonificare gli ambienti frequentati dalla coppia in previsione di un concepimento.

Arieggiare regolarmente gli spazi, lavare tessuti, tende, tappeti e igienizzare le superfici può ridurre la presenza di residui tossici. In alcuni casi può essere utile anche riverniciare le pareti o sostituire oggetti impregnati di fumo: una vera e propria “disinfestazione” da fumo è dunque consigliabile già nei mesi precedenti la gravidanza.
Serve un cambio di paradigma
Alla luce di tutto ciò, la raccomandazione “non fumare in gravidanza” è corretta, ma non è più sufficiente e alla luce di tutto questo sarebbe necessario che:
- entrambi i partner smettessero di fumare almeno sei mesi prima del concepimento,
- venisse avviata una bonifica ambientale da fumo di terza mano,
- le linee guida ufficiali includessero un approccio pre-concezionale alla prevenzione.
Non è solo una questione di gravidanza, ma di salute generazionale.
Conclusione
Se davvero vogliamo tutelare il futuro dei nostri figli, è tempo di spingersi oltre il minimo sindacale del “non fumare in gravidanza”. La scienza c’è, eccome se c’è!
Ora servono consapevolezza, coraggio e responsabilità collettiva.