Un’importante ricerca ha messo in evidenza la possibilità in alcuni soggetti di essere dotati un meccanismo di difesa innato che permette loro di resistere alla neurodegenerazione causata dal morbo di Alzheimer, attivando una risposta cerebrale antiossidante.
A portare avanti lo studio “Oxidative damage and antioxidant response in frontal cortex of demented and non-demented individuals with Alzheimer’s neuropathology“, pubblicato sul prestigioso The Journal of Neuroscience, sono stati ben tre team di ricerca che provengono dall’University of Texas Medical Branch, dall’Oregon Health & Science University e dall’Università degli Studi di Roma Tre.
Meccanismo di difesa dalla neurodegenerazione: cosa dice la ricerca
La presenza di meccanismi di difesa innati contro la neurodegenerazione è stata riscontrata in un gruppo di persone che, pur avendo nel proprio cervello le caratteristiche tipiche della malattia di Alzheimer, non hanno mai sviluppato questa patologia, né nessuna forma di declino cognitivo.
Sandra Moreno, docente di Neurobiologia dello Sviluppo presso il Dipartimento di Scienze dell’Ateneo romano e Direttore di un Master in Embriologia Umana Applicata, ha spiegato che: “Analizzando casualmente i tessuti cerebrali di quelle persone, che in Oregon si erano sottoposte a screening ed esami medici, si è scoperto che avevano nel cervello le placche di proteina amiloide e tau tipiche dell’Alzheimer, ma non avevano mai mostrato sintomi di demenza”.
“Nello studio sono stati analizzati 34 campioni di corteccia cerebrale, prelevati dopo la morte, di persone sane, Ndan (Non-Demented with Alzheimer Neuropathology) e colpite da Alzheimer, sia uomini sia donne”, ha specificato Giulio Taglialatela, vice Chairman del Dipartimento di Neurologia e Direttore del Mitchell Center for Neurodegenerative Diseases della UTMB.
“Da ormai diversi anni il nostro gruppo di ricerca a Roma Tre – continua la professoressa Sandra Moreno – si occupa del ruolo dei radicali liberi nella fase di innesco e di progressione della malattia di Alzheimer. Oggi, a seguito dei risultati di questo nuovo studio, possiamo dire di avere un’ulteriore conferma della validità e dell’enorme importanza del nostro lavoro fin qui svolto. Lo studio, infatti, rivela che nei tessuti dei soggetti Ndan sia presente una differente concentrazione delle molecole microRna coinvolta nella risposta antiossidante”.
“Ciò significa che queste persone riescono ad attivare una risposta cerebrale antiossidante efficace per far fronte allo stress ossidativo, che è uno dei meccanismi primari del danno dell’Alzheimer. Questa capacità innata sembra così giustificare le loro abilità cognitive intatte, tanto da mostrare un livello di danno ossidativo ai neuroni più basso rispetto a chi ha l’Alzheimer e molto più simile, invece, ai soggetti completamente sani“, ha concluso la scienziata.