La musica in digitale è tra noi da molto più tempo di quel che si crede, ma non solo: la musica in digitale non è nata con internet, come molte persone oggigiorno credono.
Nell’immaginario collettivo, la musica in digitale è spesso associata esclusivamente alla musica che passa su internet, magari tramite piattaforme di streaming come Spotify o Apple Music e più banalmente YouTube; tuttavia, la realtà è molto più complessa e interessante.
La musica in formato digitale, infatti, ha una storia ben più lunga e radicata di quanto si possa pensare, con origini che risalgono ben prima dell’avvento del web e della diffusione degli MP3.
Un viaggio nel tempo: dall’analogico al digitale
La storia della registrazione e riproduzione musicale inizia nel lontano XIX secolo, con l’invenzione del fonoautografo nel 1857 da parte di Édouard-Léon Scott de Martinville; questo dispositivo, considerato il primo strumento di registrazione sonora, era in grado di catturare vibrazioni sonore su una superficie visibile, ma non era ancora in grado di riprodurle.
Si trattava di un sistema puramente analogico, che segna l’inizio dell’era delle registrazioni sonore.
Con il passare dei decenni, si sono succeduti vari supporti analogici che hanno cambiato il modo in cui la musica veniva registrata e ascoltata. Il disco in vinile, introdotto nel 1948 dalla Columbia Records, è forse il più iconico di tutti; caratterizzato da un suono caldo e avvolgente, il vinile divenne il formato standard per la musica fino agli anni ’80, quando iniziò a perdere terreno a favore di supporti più pratici e compatti.
Anche la stereo8 e la musicassetta (nata nel 1963 grazie alla Philips) furono innovazioni significative, permettendo una maggiore portabilità della musica, ma sempre all’interno di un contesto analogico.
I CD? Sorpresa! Sono musica in digitale, non musica analogica!
La vera rivoluzione digitale nella musica avvenne con l’introduzione del Compact Disc (CD) nel 1982, frutto della collaborazione tra Sony e Philips: per la prima volta, la musica veniva memorizzata in formato digitale, sotto forma di dati binari, leggibili da un laser.
Questo segna una rottura significativa con il passato: le tracce sul CD sono in realtà file .cda, che il lettore CD decodifica e trasforma in suono della musica in digitale in analogico; il CD offriva una qualità audio superiore, una maggiore durata e una resistenza maggiore rispetto ai supporti analogici, accelerando così il declino del vinile e della musicassetta.
Con l’espansione di internet negli anni ’90, emersero nuovi formati digitali, come l’MP3, il WMA e altri, che permisero di comprimere i file audio senza perdere troppa qualità, facilitando la diffusione della musica tramite reti digitali; questo cambiamento aprì la strada a un nuovo modo di concepire la musica: non più vincolata a un supporto fisico, ma libera di essere trasferita, condivisa e ascoltata ovunque.
Lettori CD… ma con MP3
A dimostrazione del fatto che c’è una percezione enormemente distorta della musica in digitale (sarebbe meglio dire del digitale in generale, ma andrebbe trattato in altra sede), non è inusuale vedere sui social media cose tipo “non paragonare il CD all’MP3“, come se fossero due mondi completamente distinti, quando in realtà entrambi sono musica in digitale.
Tant’è vero che a metà anni 2000 erano molto popolari i lettori CD che non leggevano solamente i classici file .CDA, ma anche i file MP3… tramite i CD; fu una rivoluzione perché di fatto permetteva di ascoltare la musica in digitale sì, ma potendo mettere più tracce in 700 megabyte.
Sì, banalmente il lettore CD classico non è che un lettore di file di estensione .CDA (che va ricordato che è sempre musica in digitale, come lo è l’MP3 e come lo è quella con cui si usufruisce tramite streaming.
Lo streaming: la musica in digitale nell’era di Internet
Negli ultimi due decenni, lo streaming musicale ha cambiato radicalmente il panorama dell’ascolto. Piattaforme come Spotify, Apple Music e YouTube Music hanno reso possibile l’accesso immediato a milioni di brani, eliminando la necessità di possedere fisicamente la musica.
Anche se può sembrare una novità assoluta, lo streaming non è altro che un’evoluzione delle tecnologie digitali precedenti, che hanno spostato il focus dal possesso alla fruizione.
Vecchio non significa analogico: il caso del CD
Uno degli errori più comuni è pensare che una tecnologia non sia digitale solo perché è stata introdotta decenni fa.
Il CD ne è un esempio lampante: spesso considerato “vecchio” e obsoleto, è in realtà un supporto pienamente digitale; la confusione nasce dal fatto che, nel linguaggio comune, il termine “digitale” è spesso associato a qualcosa di moderno e legato a internet, dimenticando che la digitalizzazione della musica ha radici molto più profonde.
Banalmente, per farla breve, già riscrivere daccapo un libro su Word per poi convertirlo in PDF è già una forma di digitalizzazione dove internet non è necessario.
Il CD, per quanto non più popolare come un tempo, rappresenta ancora oggi un esempio tangibile di tecnologia digitale, con la capacità di conservare la musica in alta qualità per decenni.
Conclusione
La musica in digitale non è un’invenzione recente, ma il frutto di un’evoluzione tecnologica che ha attraversato oltre un secolo.
Dai primi tentativi di catturare il suono in forma visibile fino alle odierne piattaforme di streaming, il digitale ha rivoluzionato il modo in cui la musica viene registrata, distribuita e ascoltata; riconoscere questa storia ci permette di apprezzare meglio le tecnologie che oggi diamo per scontate, rendendoci conto che la musica in digitale è, in realtà, tra noi da molto più tempo di quanto potessimo immaginare.