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Scienza

La morte silenzia i fotoni: un nuovo indizio sul mistero dell’esistenza?

Per decenni, è rimasta un'ipotesi sussurrata nei laboratori, un'eco lontana delle antiche credenze sull'energia vitale. Ma oggi, la scienza ha catturato la sua firma luminosa: un'aura di biofotoni, un'emissione costante da ogni forma di vita. Una nuova ricerca compie un passo ancora più audace, svelando il drammatico istante in cui questa luce interiore si spegne per sempre con la morte. Un'immagine potente che ci offre una prospettiva inedita sul confine ultimo della biologia

Denise Meloni 5 ore fa Commenta! 13
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Dalle più piccole cellule al più complesso degli organismi, la vita è un incessante balletto di reazioni biochimiche che generano un’inattesa sinfonia di luce. Definita emissione fotonica ultra-debole, questa “aura” di biofotoni è stata a lungo un sussurro ai confini della scienza. Ora, una ricerca pionieristica cattura per la prima volta il suo epilogo più definitivo: l’osservazione in tempo reale della sua graduale estinzione con il sopraggiungere della morte. Un fenomeno che ridefinisce la nostra comprensione dei processi vitali e del loro ineluttabile termine.

Contenuti di questo articolo
Dalla comunicazione chimica all’ipotesi della radiazione mitogenicaLa rivoluzionaria visualizzazione dell’estinzione dei biofotoni con la morteLa definitiva validazione dell’emissione fotonica Uutra-debole come fenomeno biologico intrinseco
La morte silenzia i fotoni: un nuovo indizio sul mistero dell'esistenza?

Dalla comunicazione chimica all’ipotesi della radiazione mitogenica

Sebbene concetti come meridiani e chakra appartengano al dominio del pensiero esoterico, distanti dalle rigorose metodologie scientifiche, la biologia moderna ha portato alla luce un fenomeno inaspettatamente affine: l’emissione fotonica ultra-debole. Questa sottile irradiazione, costantemente emanata da ogni creatura vivente, rappresenta un bagliore infinitesimale di biofotoni rilasciati durante i processi metabolici che si svolgono all’interno delle cellule.

La sua estrema debolezza ha a lungo alimentato uno scetticismo radicato nella comunità scientifica, relegandola ai margini della ricerca. Tuttavia, un recente studio condotto dall’Università di Calgary segna un punto di svolta cruciale, fornendo una visualizzazione in tempo reale dell’emissione fotonica ultra-debole proveniente dall’intero corpo di un organismo vivente, nello specifico un topo, e documentandone le dinamiche inesorabili con l’approssimarsi della morte.

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Fin dagli albori della biologia moderna, il paradigma dominante ha postulato che la comunicazione intercellulare e tra gli organelli subcellulari avvenga primariamente attraverso la mediazione di segnali chimici. Tuttavia, negli anni ’20 del secolo scorso, il biologo sovietico Aleksandr Gavrilovič Gurvič intraprese un’audace esplorazione di un’ipotesi alternativa: l’esistenza di una forma di comunicazione cellulare a distanza, un meccanismo attraverso il quale le cellule potessero scambiarsi informazioni e interagire reciprocamente senza la necessità di messaggeri chimici.

La morte silenzia i fotoni: un nuovo indizio sul mistero dell'esistenza?

Attraverso una serie di ingegnosi esperimenti che utilizzavano cipolle come modello biologico, Gurvič osservò un fenomeno intrigante: le radici di una pianta sembravano in grado di influenzare il tasso di replicazione cellulare di un’altra radice di cipolla posta a brevissima distanza, separate unicamente da un sottile strato di quarzo. Sorprendentemente, questo effetto non si manifestava quando il separatore era costituito da una sostanza opaca.

Fortemente convinto di aver scoperto una nuova forma di radiazione biologica in grado di facilitare la comunicazione tra cellule, Gurvič la battezzò “radiazione mitogenica” e dedicò i successivi vent’anni della sua carriera a difendere questa teoria dalle critiche di una parte considerevole della comunità scientifica. Nonostante i suoi sforzi, i tentativi di replicare i suoi esperimenti non produssero risultati consistenti, gettando un’ombra di dubbio sulla validità della sua ipotesi.

Nonostante le difficoltà incontrate da Gurvič nel dimostrare in modo definitivo l’esistenza della radiazione mitogenica, l’idea che potesse esistere una forma di radiazione biologica intrinsecamente legata all’attività cellulare continuò a persistere sottotraccia nel lavoro di diversi gruppi di ricerca. Tra questi, spicca l’impegno scientifico della figlia di Gurvič, Anna Gurvič, che proseguì l’esplorazione delle intuizioni paterne.

La morte silenzia i fotoni: un nuovo indizio sul mistero dell'esistenza?

Fu solo negli anni ’60, in Russia, che l’esistenza di questi segnali luminosi, ribattezzati in seguito “biofotoni”, ricevette una prima conferma sperimentale. Successivamente, negli anni ’70, grazie ai significativi progressi nella sensibilità degli strumenti di analisi, anche il mondo accademico occidentale riconobbe la loro esistenza. Oggi, la comunità scientifica preferisce riferirsi a questi fenomeni come “emissioni fotoniche ultra-deboli”, sottolineandone la natura elusiva e la necessità di sofisticate tecniche di rilevazione.

Nonostante la conferma dell’esistenza dei biofotoni, o emissioni fotoniche ultra-deboli, il loro ruolo biologico preciso rimane un argomento di intenso dibattito e di fervente ricerca. Molti scienziati nutrono ancora un certo scetticismo riguardo alla loro effettiva rilevanza fisiologica, sostenendo che la loro intensità sia talmente esigua da rendere improbabile che le cellule possano distinguerli dal rumore termico intrinseco emesso da qualsiasi corpo con una temperatura superiore allo zero assoluto.

L’accumularsi di nuove evidenze sperimentali, come lo studio dell’università di Calgary che visualizza in tempo reale la loro dinamica in un organismo vivente, sta gradualmente erodendo i dubbi sulla loro esistenza stessa. Il futuro della ricerca si concentrerà ora sulla decifrazione del potenziale ruolo comunicativo o regolatorio di queste flebili emissioni luminose nel complesso orchestra sinfonica della vita cellulare.

La rivoluzionaria visualizzazione dell’estinzione dei biofotoni con la morte

Sebbene la scienza abbia ormai accertato l’esistenza di una tenue emissione luminosa, un’aura di biofotoni costantemente emanata dagli organismi viventi, le precise dinamiche della sua origine a livello biologico rimangono un campo di intensa indagine. L’ipotesi scientifica prevalente suggerisce che questa peculiare radiazione sia una diretta conseguenza dei complessi processi metabolici che incessantemente si svolgono all’interno delle cellule. In particolare, si ritiene che un ruolo cruciale sia svolto dalle specie reattive dell’ossigeno, comunemente note come radicali liberi, molecole instabili prodotte durante la respirazione cellulare e coinvolte in svariate vie metaboliche.

La morte silenzia i fotoni: un nuovo indizio sul mistero dell'esistenza?

Si ipotizza che i mitocondri, le centrali energetiche della cellula, e altre analoghe strutture molecolari deputate alla produzione di energia, siano i principali siti di generazione di questi biofotoni. Tuttavia, la quantità di luce emessa è straordinariamente esigua: le misurazioni indicano l’emissione di appena qualche fotone al secondo per ogni centimetro quadrato della superficie cutanea di un essere vivente. Questa intensità luminosa infinitesimale la rende non solo impercettibile all’occhio umano, ma anche al di là della capacità di rilevazione della maggior parte degli strumenti scientifici convenzionali, richiedendo tecnologie di analisi che rappresentano la frontiera più avanzata nel campo della fotonica.

Per superare le sfide tecniche legate alla rilevazione di un segnale luminoso così debole e per investigare la sua dinamica in relazione allo stato di vita, un team di ricercatori canadesi guidati dal fisico Daniel Oblak ha intrapreso un esperimento meticoloso e innovativo presso l’università di Calgary. Nella loro ricerca, hanno impiegato telecamere digitali di ultima generazione, dotate di una sensibilità tale da raggiungere la risoluzione del singolo fotone.

Questa tecnologia avanzata ha permesso loro di acquisire immagini con tempi di esposizione straordinariamente lunghi, superiori alle due ore, di quattro topi glabri. Il protocollo sperimentale prevedeva la registrazione dell’emissione fotonica in due fasi distinte: una prima, mentre gli animali erano ancora in vita, e una successiva, dopo la loro morte. Un aspetto cruciale del disegno sperimentale è stato il rigoroso controllo delle variabili ambientali. Gli animali sono stati mantenuti a una temperatura costante e uniforme per escludere la possibilità che il calore corporeo potesse essere la fonte delle radiazioni osservate.

La morte silenzia i fotoni: un nuovo indizio sul mistero dell'esistenza?

Inoltre, l’esperimento è stato condotto in condizioni di oscurità assoluta, al fine di eliminare qualsiasi potenziale contaminazione luminosa esterna che avrebbe potuto inficiare i risultati. Al termine di questo scrupoloso processo di raccolta dati, i ricercatori si sono trovati di fronte a immagini di una chiarezza sorprendente.

Queste non solo confermavano inequivocabilmente la presenza di un’emissione costante di biofotoni provenienti dall’organismo vivente dei topi, ma dimostravano in modo inequivocabile che questa emissione luminosa cessava completamente in seguito al decesso degli animali. Questa osservazione diretta e visualizzata dell’estinzione dell’aura di biofotoni con la morte rappresenta un avanzamento significativo nella comprensione di questo affascinante fenomeno biologico.

La definitiva validazione dell’emissione fotonica Uutra-debole come fenomeno biologico intrinseco

Parallelamente alla visualizzazione della cessazione dell’emissione fotonica ultra-debole con la morte, ulteriori esperimenti hanno fornito preziose indicazioni sulla dinamica e sulla modulabilità di questo fenomeno in relazione all’attività biologica. In un’altra linea di ricerca, gli stessi scienziati hanno condotto esperimenti utilizzando foglie di Schefflera arboricola (comunemente nota come schefflera), sulle quali erano state praticate delle incisioni controllate. Le osservazioni condotte hanno rivelato un incremento significativo nell’emissione di biofotoni in corrispondenza delle aree danneggiate.

La morte silenzia i fotoni: un nuovo indizio sul mistero dell'esistenza?

Questo aumento suggerisce che i complessi processi cellulari innescati per la riparazione dei tessuti biologici sono strettamente correlati a un’intensificazione dell’emissione fotonica ultra-debole. Un’ulteriore conferma di questa correlazione è emersa dall’applicazione di specifiche sostanze farmacologiche sulla superficie delle foglie lesionate. In particolare, è stato osservato che l’applicazione dell’anestetico locale benzocaina modulava l’emissione di biofotoni, fornendo ulteriori indizi sul legame tra l’attività metabolica cellulare e la produzione di questa tenue luce.

Le evidenze sperimentali accumulate, culminate nella visualizzazione diretta della sua scomparsa con la morte e nella sua modulazione in risposta a processi biologici attivi come la riparazione tissutale, hanno portato a una crescente accettazione dell’emissione fotonica ultra-debole come un fenomeno biologico intrinseco e significativo. Il fisico Daniel Oblak, in un’intervista rilasciata al New Scientist, ha sottolineato con forza questa conclusione: “Il fatto che le emissioni fotoniche ultra-deboli siano realtà è innegabile a questo punto.

Questo dimostra che non si tratta solamente di imperfezioni e che non sono causate da altri processi biologici. È realmente qualcosa che viene emesso da tutti gli esseri viventi”. Questa affermazione segna un importante punto di svolta, superando le precedenti obiezioni e consolidando l’emissione di biofotoni come una caratteristica fondamentale della vita.

La morte silenzia i fotoni: un nuovo indizio sul mistero dell'esistenza?

Secondo gli autori di questi studi pionieristici, la cessazione dell’emissione fotonica ultra-debole in seguito alla morte è verosimilmente attribuibile all’interruzione della circolazione sanguigna. Il flusso ematico è cruciale per il trasporto di ossigeno, un elemento essenziale per il mantenimento dei processi metabolici cellulari che, come ipotizzato, sono alla base della produzione di biofotoni. Questa stretta correlazione tra l’attività metabolica e l’emissione luminosa suggerisce affascinanti potenziali applicazioni future per l’emissione fotonica ultra-debole come strumento di monitoraggio biologico.

In ambito medico, si prospetta la possibilità di verificare l’attività dei tessuti dell’organismo umano in modo non invasivo, evitando le procedure diagnostiche tradizionali. Ad esempio, si potrebbe immaginare di monitorare la vitalità di un organo trapiantato o la risposta di un tessuto a un trattamento terapeutico attraverso la misurazione delle sue emissioni fotoniche.

La morte silenzia i fotoni: un nuovo indizio sul mistero dell'esistenza?

Allo stesso modo, in campo ambientale, la capacità di rilevare a distanza, magari attraverso sistemi aerei notturni, le variazioni nell’emissione di biofotoni dalle foreste potrebbe offrire un prezioso strumento per valutare lo stato di salute degli ecosistemi su larga scala, fornendo informazioni precoci su stress ambientali o malattie delle piante. Le prospettive aperte da questa linea di ricerca sono dunque molteplici e promettenti, suggerendo che questa “aura” luminosa, un tempo relegata al mistero, potrebbe presto rivelarsi un prezioso alleato per la scienza e la medicina del futuro.

Lo studio è stato pubblicato su sul Journal of Physical Chemistry Letters.

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