Un gruppo di ricercatori ha compiuto un passo avanti significativo nella lotta contro il morbo di Parkinson, sviluppando un esame del sangue di semplice esecuzione ed economicamente accessibile, in grado di identificare la malattia neurodegenerativa in una fase presintomatica, ovvero molto prima della comparsa delle manifestazioni cliniche conclamate.

Una nuova era per la diagnosi precoce del morbo di Parkinson
Gli scienziati tracciano un parallelo illuminante tra l’attuale stato della diagnosi delle malattie neurodegenerative e la situazione che si presentava nella lotta contro il cancro cinquant’anni or sono, un’epoca in cui la maggior parte dei casi veniva diagnosticata in uno stadio troppo avanzato per un intervento terapeutico efficace. Questa analogia sottolinea l’urgente necessità di strumenti diagnostici precoci per migliorare significativamente le prospettive di trattamento e la qualità della vita dei pazienti affetti da Parkinson.
Il fulcro di questo promettente test ematico risiede nella quantificazione di specifici frammenti di acido ribonucleico (RNA) presenti nel circolo sanguigno. In particolare, l’analisi si concentra su una sequenza ripetitiva di RNA che tende ad accumularsi progressivamente nei pazienti affetti dal morbo di Parkinson. Parallelamente, il test rileva un concomitante declino dell’RNA mitocondriale, una molecola cruciale per la funzionalità cellulare che subisce un deterioramento progressivo con l’avanzare della patologia neurodegenerativa. La misurazione congiunta di questi due biomarcatori molecolari offre un profilo diagnostico precoce e potenzialmente accurato del morbo di Parkinson.
Attraverso la precisa misurazione del rapporto quantitativo tra i specifici frammenti di RNA accumulati e il parallelo declino dell’RNA mitocondriale nel sangue, il test sviluppato si configura come uno strumento diagnostico di elevata accuratezza. La sua natura non invasiva, la rapidità di esecuzione e la relativa convenienza economica lo rendono particolarmente promettente per un’ampia applicazione clinica. Questa innovazione offre una concreta speranza per l’implementazione di interventi terapeutici e trattamenti precoci, con il potenziale di modificare significativamente la progressione del morbo di Parkinson e migliorare la qualità di vita dei pazienti.

L’attuale scenario diagnostico delle malattie neurodegenerative presenta analogie inquietanti con le sfide che si affrontavano nella diagnosi del cancro cinquant’anni or sono. In entrambi i contesti, la malattia viene spesso individuata in una fase avanzata, quando una porzione significativa delle cellule interessate – nel caso del Parkinson, i neuroni – ha già subito danni irreversibili o è andata perduta. Di conseguenza, le opzioni terapeutiche risultano limitate nella loro efficacia nel contrastare la progressione della malattia.
Per affrontare questa critica problematica, un team di ricercatori presso l’Università Ebraica di Gerusalemme ha compiuto un’importante svolta con la presentazione di un esame del sangue innovativo. Questo test ematico possiede il potenziale per rivoluzionare radicalmente la diagnosi precoce del morbo di Parkinson (MP), aprendo nuove prospettive per interventi terapeutici tempestivi e, di conseguenza, per risultati clinici significativamente migliori per i pazienti affetti da questa debilitante patologia neurodegenerativa.
Biomarcatori inesplorati della neurodegenerazione
Una ricerca innovativa introduce un approccio inedito per l’identificazione precoce del morbo di Parkinson (PD), basato sull’analisi di specifici frammenti di RNA di trasferimento (tRF). Queste piccole molecole di RNA, tradizionalmente trascurate nell’ambito della ricerca sul Parkinson, emergono ora come promettenti indicatori di cambiamenti significativi a livello molecolare che si verificano nell’organismo in concomitanza con i processi di neurodegenerazione. Il loro studio apre nuove prospettive per la comprensione e la diagnosi precoce di questa complessa patologia.

Il team di ricerca, guidato dal dottorando Nimrod Madrer sotto la supervisione della Professoressa Hermona Soreq presso l’Edmond and Lily Safra Center for Brain Sciences (ELSC) e l’Alexander Silberman Institute of Life Sciences dell’Università Ebraica di Gerusalemme, in collaborazione con il Dottor Iddo Paldor dello Shaare Zedek Medical Center e il Dottor Eyal Soreq dell’Università del Surrey e dell’Imperial College di Londra, ha compiuto un’importante scoperta.
Essi hanno identificato due biomarcatori chiave nel sangue dei pazienti affetti da Parkinson: un aumento significativo dei tRF specifici per la malattia, caratterizzati da un motivo di sequenza conservato (RGTTCRA-tRF), e una concomitante diminuzione dei tRF di origine mitocondriale (MT-tRF), riflettendo il progressivo deterioramento della funzionalità mitocondriale associato alla patologia.
Attraverso la misurazione accurata del rapporto quantitativo tra questi due biomarcatori identificati, il nuovo test diagnostico si dimostra in grado di distinguere i pazienti in fase presintomatica di Parkinson dai soggetti di controllo sani con un livello di precisione che supera le capacità degli strumenti diagnostici clinici attualmente disponibili. Questa elevata accuratezza diagnostica rappresenta un avanzamento significativo nel campo della diagnosi precoce del morbo di Parkinson, offrendo la possibilità di intervenire terapeuticamente in una fase più precoce della malattia.

“Questa scoperta rappresenta un importante passo avanti nella nostra comprensione del morbo di Parkinson e offre un esame del sangue semplice e minimamente invasivo come strumento per la diagnosi precoce”, ha affermato con entusiasmo la Professoressa Hermona Soreq. “Concentrandoci sui tRF, abbiamo aperto una nuova finestra sui cambiamenti molecolari che si verificano nelle fasi iniziali della malattia, fornendo preziose informazioni sui meccanismi patogenetici sottostanti e aprendo la strada a nuove strategie terapeutiche”.
Un metodo di analisi conveniente e accessibile: il test qPCR doppio
L’innovativo test diagnostico si basa sull’impiego di un semplice test qPCR doppio (reazione a catena della polimerasi quantitativa), una tecnica molecolare consolidata e ampiamente disponibile. Questo metodo consente la misurazione precisa del rapporto quantitativo tra il motivo breve ripetuto specifico per il Parkinson (RGTTCRA-tRF) e una sequenza di RNA mitocondriale rappresentativa. La semplicità e l’economicità del test qPCR lo rendono particolarmente adatto per un’ampia implementazione in diversi contesti sanitari, superando le limitazioni di metodologie più complesse o costose.
L’efficacia del test è stata rigorosamente valutata attraverso studi clinici che hanno coinvolto l’analisi di campioni biologici provenienti da diverse coorti internazionali, tra cui la prestigiosa Parkinson’s Progression Markers Initiative. I risultati ottenuti hanno dimostrato una notevole accuratezza diagnostica, raggiungendo l’86%, un valore significativamente superiore rispetto all’affidabilità dei tradizionali metodi di punteggio clinico, spesso basati sull’osservazione dei sintomi motori che si manifestano in una fase avanzata della malattia. Questa elevata accuratezza conferisce al test un potenziale trasformativo nella pratica clinica.

Un’ulteriore scoperta di notevole importanza emersa dallo studio è la correlazione tra i livelli di RGTTCRA-tRF e la risposta alla stimolazione cerebrale profonda (DBS), una procedura neurochirurgica utilizzata per alleviare i sintomi motori del Parkinson. I ricercatori hanno osservato che i livelli di questo specifico frammento di RNA tendono a diminuire in seguito all’applicazione della DBS. Questa evidenza rafforza ulteriormente il legame tra questi biomarcatori molecolari sia con i meccanismi patogenetici intrinseci della malattia sia con le risposte terapeutiche, aprendo nuove prospettive per il monitoraggio della progressione della malattia e della sua risposta al trattamento.
Il ricercatore principale dello studio, Nimrod Madrer, ha posto un forte accento sull’importanza cruciale di una diagnosi precoce del morbo di Parkinson, sottolineando come la malattia venga spesso identificata solo quando si sono già verificati danni cerebrali significativi e irreversibili. “Questo test ha il potenziale di alleviare la profonda incertezza che pazienti e medici si trovano ad affrontare nel percorso diagnostico”, ha affermato Madrer. “Offre un metodo affidabile e rapido per identificare la malattia nelle sue fasi iniziali, aprendo la strada a interventi terapeutici più tempestivi e potenzialmente più efficaci nel modulare la progressione della patologia”.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Aging.