Il corretto funzionamento del nostro cervello è intrinsecamente legato all’efficienza e alla salute delle cellule nervose. Per garantire questa efficienza, le cellule nervose sono sottoposte a un rigoroso e continuo processo di controllo di qualità, durante il quale i componenti cellulari difettosi vengono identificati, smaltiti e riciclati. Tra questi componenti rivestono un’importanza cruciale i mitocondri, spesso definiti le centrali energetiche delle nostre cellule, responsabili della produzione dell’energia necessaria per le loro funzioni vitali. È ormai accertato che un’alterazione nei meccanismi di controllo di qualità dei mitocondri gioca un ruolo patogenetico centrale nello sviluppo e nella progressione del morbo di Parkinson, una delle principali malattie neurodegenerative.

Il ruolo critico del controllo di qualità mitocondriale nel morbo di Parkinson: nuove speranze terapeutiche
Un significativo passo avanti nella comprensione dei meccanismi molecolari alla base del Parkinson è stato compiuto dal gruppo di ricerca guidato da Malte Gersch presso il Max Planck Institute for Molecular Physiology di Dortmund (MPI). Attraverso un approccio innovativo basato sulla progettazione di proteine chimeriche, i ricercatori sono riusciti a chiarire la precisa modalità d’azione di un promettente inibitore della proteina mitocondriale USP30, una proteina che è stata strettamente associata alla patogenesi del morbo di Parkinson. Questi risultati rappresentano una base scientifica fondamentale per lo sviluppo di terapie innovative in grado di contrastare non solo il Parkinson, ma potenzialmente anche altre malattie neurodegenerative caratterizzate da disfunzioni mitocondriali.
“Movimenti tremuli involontari, combinati con una ridotta forza muscolare”: con queste parole precise e incisive, il medico britannico James Parkinson descrisse per la prima volta nel dettaglio la condizione clinica che sarebbe poi stata universalmente riconosciuta come morbo di Parkinson, una patologia neurodegenerativa che porta il suo nome. Dopo il morbo di Alzheimer, il Parkinson si colloca come la seconda malattia neurodegenerativa più comune a livello globale, con un impatto significativo sulla qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari.
Ad oggi, nonostante gli intensi sforzi della ricerca scientifica, non esiste ancora una terapia specifica in grado di arrestare o invertire la progressione della sindrome parkinsoniana; le strategie terapeutiche attuali si concentrano principalmente sul trattamento dei sintomi motori e non motori associati alla malattia. La patologia è causata dalla progressiva perdita di cellule nervose situate in specifiche aree del tronco encefalico, in particolare nella substantia nigra, con una conseguente e significativa carenza del neurotrasmettitore dopamina, essenziale per la regolazione del movimento e di altre funzioni cerebrali.

Attualmente, la comunità scientifica ripone grandi speranze nello sviluppo di nuovi farmaci capaci di proteggere e potenzialmente rigenerare le cellule nervose danneggiate, aprendo così la strada a strategie terapeutiche in grado di contrastare la perdita neuronale caratteristica del morbo di Parkinson.
Nonostante i progressi compiuti nella comprensione dei meccanismi patogenetici del Parkinson, la causa esatta che innesca la morte delle cellule nervose rimane ancora un aspetto non completamente chiarito. Tuttavia, un crescente corpo di evidenze scientifiche suggerisce che difetti funzionali a carico dei mitocondri potrebbero rappresentare un fattore cruciale eziologico. Le cellule nervose, in particolare quelle ad alta attività metabolica come i neuroni dopaminergici, dipendono in modo critico dalla funzionalità efficiente di questi organelli per soddisfare le loro elevate richieste energetiche. In condizioni fisiologiche, i mitocondri sono sottoposti a un continuo e sofisticato processo di controllo di qualità.
I mitocondri che presentano danni o malfunzionamenti vengono specificamente marcati con la proteina ubiquitina, un segnale molecolare che ne avvia il processo di degradazione cellulare attraverso un meccanismo chiamato mitofagia, una forma specializzata di autofagia selettiva per i mitocondri. Tuttavia, recenti scoperte hanno rivelato che una marcatura difettosa dei mitocondri danneggiati ne impedisce l’efficace eliminazione. Questa compromissione del processo di tagging è stata collegata all’alterazione funzionale di alcuni enzimi chiave coinvolti nella mitofagia, i quali risultano patologicamente modificati nelle forme ereditarie del morbo di Parkinson, suggerendo un ruolo causale nella neurodegenerazione.
USP30: un enzima chiave nella mitofagia
Il Dottor Gersch, responsabile del gruppo di ricerca presso l’MPI, evidenzia la difficoltà intrinseca nello studio strutturale della proteina umana USP30: “Un problema con la proteina umana USP30 è che è difficile da ‘fotografare’: la sua struttura molecolare è difficile da chiarire. Ma se si vuole vedere come l’inibitore si lega alla proteina, si possono usare i raggi X per produrre un cosiddetto ‘modello di diffrazione’ dei due partner in un cristallo.

” Questa tecnica di cristallografia a raggi X richiede la formazione di cristalli stabili della proteina o del complesso proteina-inibitore per poter ottenere informazioni sulla loro struttura tridimensionale. Tuttavia, come spiega ulteriormente il Dottor Gersch, “poiché l’USP30 è molto flessibile (si potrebbe dire che si muove di fronte alla telecamera), è difficile da cristallizzare e la sua struttura altamente mobile non consente di ottenere immagini nitide”. Questa elevata flessibilità conformazionale ha rappresentato un ostacolo significativo per la determinazione della sua struttura e per la comprensione del suo meccanismo di inibizione a livello atomico.
Per superare le sfide legate alla flessibilità strutturale dell’USP30 e ottenere una visualizzazione dettagliata dell’interazione con un inibitore, il team di ricerca guidato dal Dottor Gersch ha adottato un’ingegnosa strategia di ingegneria proteica. In particolare, Nafizul Kazi, dottorando del gruppo di ricerca e primo autore dello studio, ha creato un ibrido proteico chimerico, paragonabile al leggendario Minotauro della mitologia greca.
Questo approccio innovativo ha comportato l’incorporazione di elementi strutturali correlati provenienti da altre proteine deubiquitinasi umane all’interno della sequenza dell’USP30. Questa manipolazione ha prodotto una variante “fotogenica” dell’USP30, ovvero una forma della proteina con una maggiore stabilità conformazionale e una maggiore propensione alla cristallizzazione, facilitando così l’analisi strutturale mediante diffrazione di raggi X.

Le immagini di diffrazione ottenute dalla variante chimerica dell’USP30 in complesso con l’inibitore hanno fornito preziose informazioni sul meccanismo di inibizione a livello molecolare. L’analisi strutturale ha rivelato che l’inibitore interagisce con l’USP30 attraverso due modalità distinte. In primo luogo, si lega a una regione della proteina che era precedentemente sconosciuta e che si apre conformazionalmente solo in seguito all’interazione con la molecola inibitrice, suggerendo un meccanismo di “blocco indotto”.
In secondo luogo, l’inibitore interagisce anche con un “hotspot” sulla superficie dell’USP30, una regione che risulta essere accessibile anche ad altri inibitori noti per questa proteina. Questa duplice modalità di interazione potrebbe spiegare l’efficacia dell’inibitore studiato e fornire indicazioni preziose per la progettazione di farmaci ancora più selettivi e potenti per modulare l’attività di USP30 nel contesto del morbo di Parkinson e di altre patologie correlate.
Verso nuovi farmaci
La delucidazione del preciso meccanismo d’azione di questo promettente farmaco candidato contro il morbo di Parkinson non rappresenta solamente un avanzamento cruciale per il suo ulteriore sviluppo clinico e la sua potenziale applicazione terapeutica. Come sottolinea il Dottor Gersch, questa scoperta fondamentale getta solide basi per la progettazione razionale di nuove molecole farmacologiche mirate specificamente all’inibizione dell’enzima USP30. Comprendere a livello molecolare come un inibitore si lega e disattiva l’USP30 fornisce informazioni preziose per ottimizzare le interazioni farmaco-proteina e per sviluppare composti ancora più efficaci e selettivi, minimizzando potenziali effetti collaterali.

È importante sottolineare che il processo di mitofagia e gli enzimi appartenenti alla famiglia delle deubiquitinasi (DUB), di cui USP30 è un membro significativo, non rivestono un ruolo patogenetico esclusivo nel morbo di Parkinson. Un crescente corpo di evidenze scientifiche li associa anche alla patogenesi di altre gravi condizioni mediche, tra cui un indebolimento della funzionalità del sistema immunitario e la crescita incontrollata delle cellule tumorali. Questa pleiotropicità del ruolo di USP30 e di altri DUB apre prospettive terapeutiche ancora più ampie per la modulazione della loro attività.
Il Dottor Gersch esprime un cauto ma deciso ottimismo riguardo al potenziale trasformativo della loro nuova strategia basata sulla creazione di proteine chimeriche: “La nostra nuova strategia basata su proteine chimeriche potrebbe rappresentare una vera svolta per lo sviluppo di nuovi inibitori contro i DUB.” La capacità di “rendere fotogeniche” proteine altrimenti difficili da studiare strutturalmente apre nuove frontiere nella ricerca farmacologica.

Guardando al futuro, il Dottor Gersch conclude con una visione ambiziosa e promettente: “Ciò ci consentirà di decifrare la struttura di altre proteine DUB rilevanti per le malattie nel contesto delle molecole, aprendo la possibilità di sviluppare nuovi inibitori di legame specifici per un’ampia gamma di malattie.” La possibilità di visualizzare e comprendere le interazioni molecolari tra i DUB e i potenziali farmaci inibitori rappresenta un passo fondamentale verso la progettazione di terapie mirate e personalizzate per un vasto panorama di patologie umane, offrendo nuove speranze per il trattamento di malattie attualmente orfane di cure efficaci.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Structural & Molecular Biology.