Le proteine mal ripiegate, ritenute attori cruciali nello sviluppo di numerose patologie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, potrebbero presto essere bloccate nella loro formazione di placche tossiche grazie all’iniezione di un nanomateriale appositamente progettato. Questo straordinario progresso è opera di un team internazionale di ricercatori che ha sviluppato minuscole particelle, dotate di proprietà che le rendono affini sia ai grassi che all’acqua. Queste particelle si sono dimostrate capaci di intrappolare le proteine beta-amiloidi anomale prima che possano raggrupparsi, offrendo una potenziale protezione ai tessuti dai danni che si ritiene siano responsabili del morbo di Alzheimer e di altre malattie simili.

Morbo di Alzheimer: inibire le fibre tossiche fin dalle prime fasi
Samuel Stupp, scienziato dei materiali della Northwestern University, ha spiegato come il meccanismo agisca: “In molte di queste malattie, le proteine perdono la loro struttura funzionale ripiegata e si aggregano formando fibre distruttive che penetrano nei neuroni e sono altamente tossiche per essi.” Ha aggiunto che “Intrappolando le proteine mal ripiegate, il nostro trattamento inibisce la formazione di queste fibre in una fase iniziale.
Si ritiene che le fibre amiloidi corte, allo stadio iniziale, che penetrano nei neuroni, siano le strutture più tossiche. Con ulteriori studi, riteniamo che questo potrebbe ritardare significativamente la progressione della malattia.” Questa strategia mirata alle fasi iniziali dell’aggregazione proteica è fondamentale per prevenire il danno neuronale.

Il cuore di questo innovativo trattamento risiede in composti noti come peptidi anfifili. Queste molecole sono caratterizzate dalla loro capacità di mescolarsi facilmente sia con i lipidi che con l’acqua, una proprietà che le rende estremamente versatili. È interessante notare che molecole simili sono già impiegate in altri farmaci di uso comune, come il semaglutide, meglio noto come Ozempic.
Il successo di questo nanomateriale non si ferma qui: un altro ingrediente segreto, il trealosio, uno zucchero naturale, gioca un ruolo cruciale. Il trealosio ha già dimostrato la sua efficacia nell’impedire alle proteine di ripiegarsi in modo anomalo, un comportamento patologico che porta alla formazione dei pericolosi aggregati proteici, amplificando così l’effetto protettivo del nanomateriale.
Il ruolo cruciale del trealosio
Il trealosio, uno zucchero naturale che si trova in abbondanza in piante, funghi e insetti, è da tempo noto per le sue capacità protettive. Come ha spiegato il chimico organico Zijun Gao, anch’egli della Northwestern University, questo zucchero “li protegge dalle variazioni di temperatura, in particolare dalla disidratazione e dal congelamento.” Gli scienziati avevano già osservato che il trealosio può proteggere molte macromolecole biologiche, comprese le proteine, dall’anomalo ripiegamento. Partendo da questa consapevolezza, il team ha cercato di verificare se potesse essere utilizzato per stabilizzare le proteine mal ripiegate, prevenendo così la formazione di aggregati tossici.

La vera svolta è avvenuta quando il team ha scoperto un’interazione sinergica speciale tra i peptidi anfifili e il trealosio. In questa combinazione, lo zucchero non rende la struttura molecolare più stabile e solida, come ci si potrebbe aspettare, ma la rende meno stabile, favorendo inaspettatamente reazioni con proteine come la beta-amiloide.
A seguito di questo cambiamento strutturale, le proteine beta-amiloidi, dannose per i neuroni, vengono incanalate all’interno della struttura peptidica anfifila arricchita di zuccheri, dove non possono più arrecare alcun danno. Questo meccanismo intrappola efficacemente le proteine potenzialmente pericolose, riducendo il rischio per i neuroni in quello che i ricercatori hanno definito una vera e propria “squadra di pulizia” per le proteine mal ripiegate.
Questo approccio si distingue da quanto osservato in precedenza nella lotta alle proteine tossiche. Invece di mirare a fibre amiloidi già consolidate e difficili da rimuovere, il nuovo metodo punta a destabilizzarle in una fase iniziale, prima che possano arrecare danni significativi. Sebbene la ricerca sia ancora in una fase iniziale, i risultati sono estremamente promettenti. I prossimi studi saranno focalizzati sulla misurazione dell’impatto che queste molecole ricoperte di zucchero potrebbero avere sull’organismo delle persone affette da patologie neurodegenerative. Sarà cruciale valutare l’efficacia e la sicurezza di questo trattamento in modelli biologici più complessi, aprendo la strada a potenziali nuove terapie per queste malattie devastanti.
Il potenziale trasformativo dei nanomateriali ingegnerizzati
È un dato di fatto ineludibile: l’urgente bisogno di trattamenti innovativi per l’Alzheimer e altre patologie neurodegenerative simili è assoluto. Le stime attuali dipingono un quadro preoccupante, con circa 10 milioni di nuove diagnosi di demenza ogni anno a livello globale. Questa cifra, già allarmante, è destinata a crescere esponenzialmente in parallelo con l’invecchiamento progressivo della popolazione mondiale. L’impatto di queste malattie non è solo sulla salute e sulla qualità della vita degli individui e delle loro famiglie, ma anche sui sistemi sanitari ed economici a livello planetario. Pertanto, lo sviluppo di terapie efficaci non è più solo un obiettivo scientifico, ma una priorità sociale pressante.

In questo contesto di crescente necessità, la ricerca sui nanomateriali offre una luce di speranza. Come affermato con entusiasmo da Stupp, “Il nostro studio mette in luce l’entusiasmante potenziale dei nanomateriali ingegnerizzati a livello molecolare per affrontare le cause profonde delle malattie neurodegenerative”.
Questa prospettiva è entusiasmante perché i nanomateriali, grazie alle loro dimensioni e proprietà uniche, possono interagire con le proteine mal ripiegate a un livello fondamentale, bloccando i processi patologici del morbo di Alzheimer fin dalle loro origini. La capacità di progettare e manipolare la materia su scala nanometrica apre dunque orizzonti inediti per lo sviluppo di terapie mirate e altamente efficaci, promettendo di trasformare radicalmente il modo in cui affrontiamo queste complesse e devastanti condizioni.
Lo studio è stato pubblicato sul Journal of the American Chemical Society.