Le montagne dell’Italia settentrionale non hanno solo assistito al disastro del 2023, ma ne sono state parte attiva. Un nuovo studio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) di Bologna, pubblicato su Scientific Reports, ha dimostrato che la barriera naturale formata da Alpi e Appennini ha intrappolato l’umidità proveniente dall’Adriatico, alimentando la devastante alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna nel maggio di due anni fa.
Una scoperta che spiega non solo cosa è successo, ma anche perché eventi simili potrebbero ripetersi nel Mediterraneo.
Quando le montagne bloccano le nuvole
La ricerca, guidata dal climatologo Enrico Scoccimarro del CMCC, mostra che l’alluvione non è stata causata da una singola tempesta, ma da un sistema meteorologico intrappolato per giorni.
Un’area di bassa pressione stazionaria ha convogliato umidità calda e densa verso la costa adriatica. Lì, gli Appennini hanno funzionato come una parete: l’aria umida si è sollevata, si è raffreddata rapidamente e ha rilasciato piogge continue.
Il risultato è stato un accumulo progressivo di precipitazioni, un effetto definito nello studio “cul-de-sac meteorologico”, perché le nubi, bloccate dalla catena montuosa, non riuscivano a disperdersi.
Nel giro di pochi giorni, in alcune zone dell’Emilia-Romagna sono caduti oltre 500 millimetri di pioggia, più del doppio della media mensile.
Un fenomeno che può ripetersi altrove

I ricercatori avvertono che questo tipo di configurazione non è unica. Lo stesso schema può verificarsi in altre aree del Mediterraneo dove le catene montuose si affacciano su mari caldi e ricchi di umidità, come la Croazia, la Grecia, la Catalogna o il Sud Italia.
Il rischio è aggravato dal riscaldamento globale, che rende più probabili eventi di pioggia estrema: un’atmosfera più calda trattiene più vapore acqueo e può scaricarlo in modo violento.
«La combinazione tra orografia e cambiamento climatico crea condizioni favorevoli a piogge persistenti», spiega Scoccimarro. «Non è un fenomeno isolato, ma un segnale di quello che potremmo aspettarci nei prossimi decenni».
Il ruolo del cambiamento climatico
Lo studio, realizzato con la collaborazione dell’Istituto di Bioeconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), evidenzia come i cambiamenti climatici modifichino non solo la temperatura, ma anche la dinamica atmosferica.
Il rallentamento delle correnti a getto, causato dallo scioglimento dei ghiacci artici, favorisce la formazione di sistemi di bassa pressione più lenti e duraturi.
Queste condizioni aumentano la possibilità che una perturbazione resti bloccata su un’area per giorni, amplificando i danni idrogeologici.
Nel 2023, il risultato è stato devastante: fiumi esondati, terreni saturi, frane e allagamenti diffusi in una regione che raramente aveva affrontato un evento così esteso.
Come l’orografia amplifica i rischi
La morfologia dell’Italia gioca un ruolo cruciale. Gli Appennini corrono come una spina dorsale lungo la penisola, separando l’aria umida proveniente dall’Adriatico da quella più secca tirrenica.
Quando una perturbazione si blocca su questo asse, l’umidità resta intrappolata e il ciclo di condensazione e precipitazione si autoalimenta.
L’Emilia-Romagna è particolarmente vulnerabile perché combina valli chiuse, pianure impermeabili e corsi d’acqua a lenta risposta.
Una volta che le precipitazioni si intensificano, il deflusso è minimo e l’acqua tende ad accumularsi. È un equilibrio fragile, reso ancora più instabile dall’urbanizzazione e dalla riduzione delle aree naturali di assorbimento.

Allerta e prevenzione: cosa serve davvero
Per gli autori dello studio, la lezione più importante riguarda la gestione del rischio.
Non è sufficiente prevedere quanta pioggia cadrà, ma dove e per quanto tempo.
Il CMCC suggerisce di investire in modelli climatici ad alta risoluzione capaci di simulare con precisione le interazioni tra mare, orografia e atmosfera.
Serve anche un sistema di allerta precoce più efficace, che integri dati satellitari e previsioni locali, in modo da informare in anticipo cittadini e autorità.
In un Paese come l’Italia, dove montagne e mare convivono a pochi chilometri di distanza, la comprensione di questi meccanismi è fondamentale per salvare vite umane.
Un segnale per tutto il Mediterraneo
Lo studio di Scoccimarro non riguarda solo l’Emilia-Romagna, ma l’intero bacino mediterraneo.
Eventi di pioggia estrema, una volta considerati eccezionali, stanno diventando parte di una nuova normalità climatica.
Il Mediterraneo è ormai riconosciuto come hotspot climatico globale, un’area dove l’aumento delle temperature e la riduzione delle correnti fredde creano squilibri che amplificano i fenomeni meteo estremi.
In questo contesto, le montagne non sono solo una protezione naturale, ma anche un amplificatore del rischio.
Capire il loro ruolo è essenziale per costruire strategie di adattamento basate su dati reali e per evitare che l’alluvione del 2023 diventi solo la prima di una lunga serie.
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