C’è un confine che la biologia non aveva mai osato superare davvero: creare la vita senza ovulo né spermatozoo. Ma oggi, nei laboratori di mezzo mondo, grappoli di cellule staminali vengono spinti a imitare gli embrioni umani. Non sono “veri” embrioni, ma gli somigliano sempre di più. Ed è questo che sta facendo tremare scienza, legislatori e comitati etici.
Cellule che diventano qualcosa di molto simile a un embrione
Il concetto è semplice e sconvolgente allo stesso tempo: si prendono cellule staminali pluripotenti, si guida la loro crescita in modo mirato e si ottengono strutture che imitano lo sviluppo embrionale. Niente fecondazione, nessun impianto uterino. Solo scienza. O quasi.
Questi modelli embrionali non hanno ancora tutte le caratteristiche di un embrione vero e proprio: non possono diventare feti, né si sviluppano in modo completo. Ma iniziano ad avere sacco vitellino, amnios, strie primitive, e in alcuni esperimenti sui topi sono arrivati a formare cuore e rudimenti cerebrali.
“È incredibile quanto velocemente stia evolvendo il campo,” ha detto Amander Clark, co-direttrice del gruppo internazionale dell’ISSCR. “Ora dobbiamo chiederci: quanto possiamo spingerci oltre?”
A cosa servono davvero questi modelli?

L’obiettivo non è creare esseri umani in provetta, ma capire come si sviluppa un embrione, in particolare nella fase critica dell’impianto. È lì che avvengono molti aborti spontanei, ed è una fase quasi impossibile da studiare nei veri embrioni umani, anche quelli donati per la ricerca.
Secondo la biologa Magdalena Zernicka-Goetz, la capacità di arrivare al 14° giorno di sviluppo in laboratorio è un cambio di paradigma: “È il punto in cui inizia l’impianto nell’utero, e dove molte gravidanze falliscono.”
Etica, legge e il rischio del “troppo tardi”
Finché i modelli restano “non integrati” – cioè non replicano tutto l’embrione – la questione resta gestibile. Ma la distinzione si fa sottile, e la scienza non aspetta.
Clark e altri ricercatori parlano già di un possibile “Turing test per embrioni”: quando sapremo se un modello è funzionalmente simile a un vero embrione? Due i criteri proposti:
- Sviluppo coerente e replicabile dei modelli per un determinato periodo.
- Formazione di individui viventi da modelli animali trapiantati, come accaduto in Cina con modelli da cellule di macaco.
“Non sono ancora embrioni,” dice la ricercatrice Naomi Moris, “ma se non li distinguiamo in tempo, potremmo oltrepassare un punto di non ritorno.”
La corsa globale alla regolamentazione
La situazione, a livello legale, è una giungla. Solo Australia e Olanda trattano i modelli embrionali come veri embrioni, richiedendo permessi speciali. Il Giappone ha linee guida proprie, mentre in USA ogni istituzione decide per conto suo.
Nel frattempo, l’ISSCR sta aggiornando le linee guida globali, vietando:
- Il trasferimento di modelli in utero umano o animale
- Qualsiasi esperimento che porti alla ectogenesi: sviluppo embrionale in utero artificiale
Eppure, alcuni ricercatori privati stanno già esplorando questa possibilità. La scienza avanza, le barriere etiche scricchiolano.
La metafora del diamante
La giurista Emma Cave usa un’immagine efficace: “Un diamante naturale e uno sintetico sono chimicamente uguali, ma hanno valore diverso. Così dovremmo trattare embrioni reali e modelli”.
Ma fino a quando potremo dire che un modello non è un embrione?
Il futuro è un filo sottile
Da un lato, i modelli embrionali promettono enormi progressi nella lotta contro l’infertilità, nelle diagnosi genetiche, nella sicurezza dei farmaci in gravidanza. Potrebbero persino ridurre l’uso di veri embrioni nella ricerca.
Dall’altro, il confine tra ricerca utile e ingegneria della vita è sempre più labile. E il rischio che qualcuno decida di varcarlo, per scopi commerciali o ideologici, è concreto.
“Per capire davvero come nasce un essere umano,” ha detto Clark, “dobbiamo avvicinarci al mistero… senza dissolverlo.”
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