Immagina un mini-robot capace di viaggiare nel tuo corpo, raggiungere un punto preciso — magari un’infiammazione o una lesione — e lì rilasciare farmaci o cellule curative. No, non è una scena di un film sci-fi, ma il cuore di uno studio appena pubblicato da un team tra l’Università di Oxford e quella del Michigan. E questi piccoli eroi si chiamano PMDM: Permanent Magnetic Droplet-derived Microrobots.
Come funzionano i PMDM: minuscoli ma multitasking
Alla base c’è un’idea semplice (in teoria): prendere una goccia di idrogel biocompatibile, infilarci dentro microparticelle magnetiche e trasformarla in un robot modulare, capace di assemblarsi e muoversi in catena. Sotto l’effetto di campi magnetici esterni, questi microrobot si allineano, si connettono, si muovono e… fanno il loro lavoro terapeutico.
Le particelle, infatti, non servono solo per “guidare” il robot, ma anche per farlo cambiare forma a seconda di dove si trova. Come? Con campi magnetici dinamici: oscillano, camminano, strisciano, si piegano e si allungano per superare ostacoli come scalini, cilindri e corridoi strettissimi. Sì, anche in ambienti complessi come l’intestino.
Un’architettura ingegnosamente semplice

La produzione è stata affidata a un sistema microfluidico a cascata che sforna 300 gocce magnetiche al minuto. Ogni droplet, grande mezzo millimetro, è metà gel e metà materiale magnetico (sono i cosiddetti “droplet di tipo Janus”, per via della doppia faccia). Dopo la solidificazione e magnetizzazione, il PMDM è pronto all’azione.
La cosa più intrigante? Questi robot non hanno bisogno di essere costruiti uno a uno. Si auto-assemblano da soli in catene più o meno lunghe e si adattano al terreno: si spezzano se devono passare in uno spazio stretto, si riuniscono se devono scavalcare un ostacolo alto. Insomma, sono veri e propri Transformers su scala microscopica.
Cargo intelligente: da farmaci a cellule staminali
Il gel può essere personalizzato. Se vuoi trasportare qualcosa di rigido (tipo microsfere fluorescenti), usi PEGDA. Se invece vuoi caricare cellule, meglio un gel più morbido come l’alginato/gelatina. Non solo: i test hanno dimostrato che i PMDM possono trasportare cellule staminali (hMSC) senza comprometterne la vitalità. E una volta arrivati a destinazione, rilasciano il carico in modo controllato grazie a un enzima (collagenasi) che degrada il gel.
Il rilascio può anche essere “programmato”: in una versione ibrida, il robot è fatto di segmenti rigidi e degradabili. I primi rilasciano lentamente, i secondi rilasciano di botto. Quindi si può gestire anche la “tabella di marcia” del trattamento.
Test nell’intestino (suino) e nella cartilagine umana
I ricercatori hanno testato i microrobot su un’intestino di maiale ex vivo: si sono mossi con successo sulla superficie vischiosa senza perdere l’assetto a catena. E anche in un modello 3D di cartilagine umana, i PMDM sono riusciti a raggiungere un punto di lesione, rilasciare il carico e — colpo di scena — tornare indietro per essere recuperati con un catetere magnetico.
Questo punto è fondamentale: poter rimuovere i microrobot dopo l’uso li rende molto più sicuri rispetto ad altri sistemi che lasciano frammenti magnetici nel corpo. Meno rischi di infiammazioni o risposte immunitarie impreviste.
Simulazioni al computer: quando la fisica incontra la medicina
Il gruppo di ricerca non si è fermato agli esperimenti in laboratorio. Hanno anche sviluppato un modello computazionale per prevedere il comportamento dei PMDM in diverse condizioni. Questo ha permesso di capire meglio le interazioni magnetiche e progettare versioni più resistenti e performanti, adatte a navigare anche in ambienti complessi come il sangue in movimento o tessuti irregolari.
Il prossimo passo? Prototipi ancora più avanzati, con resistenza meccanica superiore e più funzioni integrate. Lo scopo è portarli nei test clinici e — si spera — in futuro usarli direttamente nei pazienti.
Perché vale la pena tenerli d’occhio

I PMDM potrebbero rivoluzionare il modo in cui curiamo le malattie localizzate: meno effetti collaterali, più precisione, dosi più efficaci. Immagina di trattare un’artrosi, una lesione intestinale o un’infiammazione cronica con un’iniezione mirata e zero chirurgia invasiva.
Ma non solo: la capacità di portare cellule vive a destinazione apre a scenari di medicina rigenerativa su misura. E la rimozione controllata dopo l’uso alza l’asticella della biosicurezza.
Come spesso succede con le tecnologie emergenti, siamo ancora ai primi test, ma le basi sono solide. Questi piccoli robot, invisibili a occhio nudo, hanno tutte le carte in regola per cambiare le regole del gioco.
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