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Microplastiche nella placenta umana: i risultati della ricerca italiana

Stefania Guerra 5 anni fa Commenta! 6
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Microplastiche nella placenta umana: grazie alla scoperta di alcuni scienziati italiani che hanno reso pubbliche le loro scoperte, si conferma ciò che da tempo si sospettava, e cioè che l’utilizzo massiccio di plastica non potesse non cominciare a compromettere l’equilibrio non solo ambientale ma anche organico degli esseri viventi, uomo compreso.

Fino ad oggi vi erano sospetti sul potenziale “consumo” di microplastiche, ingerite attraverso cibo, acqua o respirazione, ma la reale quantità presente in organi non era mai stata misurata. Ci hanno pensato i ricercatori dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dal Politecnico delle Marche che hanno poi pubblicato sulla rivista scientifica Environment International gli inquietanti risultati.

Non è un fake, anche se potrebbe sembrare una notizia da social network acchiappa click, ma secondo un’altra recente analisi, ogni settimana ingeriamo 5 grammi di plastica, il corrispettivo, in pratica, di una carta di credito.

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Paradossalmente, la principale fonte di ingestione di microplastica sembrerebbe essere proprio l’acqua, soprattutto quella in bottiglia ma anche quella del rubinetto. Tra gli alimenti più contaminati da microplastiche troviamo birra, sale e molluschi. Ma anche miele e pesce – che a sua volta ingerisce le micloplastiche durante il ciclo vitale in acque contaminate -. Non è più possibile ignorare i danni causati dall’inquinamento da plastica e diviene sempre più urgente la necessità di interventi concreti per far fronte a quella che potrebbe divenire un’ecatombe per tutte le forme di vita del Pianeta.

Microplastiche nella placenta umana: lo studio

Approvata dal Comitato etico, la ricerca ha permesso di analizzare le placente di 6 donne sane, di età compresa tra i 18 e i 40 anni, in stato di gravidanza con decorso normale: le donne, informate dello studio, hanno dato il loro consenso. Attraverso la Raman microspettroscopia, in dotazione al Dipartimento di Scienze della vita e dell’Ambiente del Politecnico delle Marche, gli scienziati hanno identificato nelle placente delle donne 12 frammenti di materiale artificiale, particelle tra i 5 e i 10 μ, in pratica “grandi” come un globulo rosso o un batterio.

Microplastiche nella placenta umana

Dei 12 frammenti, 3 sono stati chiaramente identificati come polipropilene (materiale utilizzato per le bottiglie di plastica in primis) e 9 di “materiale sintetico verniciato”, che significa parti di cosmetici, smalto per unghie, ma anche dentifricio, e prodotti per la cura del viso e del corpo. Tutti questi frammenti sono stati isolati nella parte di placenta collegata al feto, in quella attaccata all’utero e persino nelle varie membrane che avvolgono il feto.

Antonio Ragusa – primo autore dello studio e direttore Uoc ostetricia e ginecologia Fatebenefratelli – ha affermato, suscitando lo shock nelle future madri e anche di tutti i colleghi, che: “Con la presenza di plastica nel corpo viene turbato il sistema immunitario che riconosce come “self” (se stesso) anche ciò che non è organico. È come avere un bimbo cyborg: non più composto solo da cellule umane, ma misto tra entità biologica e entità inorganiche.“

Microplastiche nella placenta umana

Sempre Ragusa aggiunge: “I rischi per la salute dei bambini che già alla nascita hanno dentro di sé delle microplastiche ancora non si conoscono, bisogna continuare a fare ricerca. Ma già sappiamo da altri studi internazionali che la plastica per esempio altera il metabolismo dei grassi. Riteniamo probabile che in presenza di frammenti di microplastiche all’interno dell’organismo la risposta del corpo, del sistema immunitario, possa cambiare, essere diversa dalla norma”

Già gli studi dell’EFSA (European Food Safety Authority) del 2016 avvertivano, tramite le parole di Peter Hollman, membro del Panel EFSA sulla Catena di contaminanti alimentari (Contam): “Una porzione di cozze (225 g) potrebbe contenere 7 microgrammi di microplastica. Nel peggiore dei casi questo può aumentare l’esposizione totale al PCB di meno dello 0, 01% o al BPA per meno del 2%”.

Non mancano gli interventi di altri studiosi, come ad esempio Marco Lambertini, direttore generale di WWF International, che dichiara:

“Queste scoperte devono servire come sveglia per i governi. Non solo le mater, ma nessuno di noi può sfuggire al consumo di materie plastiche. Un intervento risulta urgente ed essenziale per affrontare questa emergenza. Mentre la ricerca sta studiando i potenziali effetti negativi della plastica sulla salute umana, è chiaro a tutti che che siamo di fronte a un problema mondiale che può essere risolto solo affrontando la causa principale dell’inquinamento plastico. Se non vogliamo plastica nei nostri corpi, dobbiamo smettere di riversare in natura milioni di tonnellate di plastica. Per affrontare il problema dell’inquinamento da plastica, serve un’azione urgente da parte di governi, imprese e consumatori”.

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