In uno studio pubblicato su PNAS, si è parlato di come si è estinto il Megalodonte, e di cosa effettivamente ha fatto sì che ciò succedesse; chiunque sia un fan dei moderni film sui mostri conoscerà sicuramente il Megalodonte, lo squalo megatooth che un tempo dominava gli oceani.
Questo enorme predatore marino è stato il cacciatore supremo del suo tempo e il più grande predatore mai esistito, tuttavia la nuova ricerca ha svelato un aspetto interessante: sembra che il megalodonte fosse un animale a sangue caldo, e questa caratteristica potrebbe aiutare a spiegare la sua estinzione.
Il megalodonte, scientificamente chiamato Otodus megalodon ma popolarmente noto come “Meg”, vagava nei mari di tutto il mondo da 15 a 3,6 milioni di anni fa e poteva raggiungere una lunghezza di almeno 15 metri (50 piedi). Per lungo tempo, si è ipotizzato che il Meg fosse un animale a sangue caldo o, almeno, endotermico a livello regionale, e questa è una caratteristica che permette a alcune specie di pesci, tra cui alcuni squali moderni come il mako e lo squalo bianco, di sopravvivere in acque troppo fredde per altre specie.
Fino a poco tempo fa, questa idea era solo una supposizione, ma ora un team di ricercatori ha trovato prove concrete a sostegno di questa teoria.
“La nuova ricerca fornisce la prima evidenza empirica del fatto che lo squalo estinto fosse a sangue caldo, basandosi su analisi geochimiche condotte su denti fossilizzati”
ha affermato il ricercatore principale Kenshu Shimada, professore presso il College of Science and Health della DePaul University.
Shimada e il suo team hanno analizzato gli isotopi presenti nello smalto dei denti di questo antico predatore per testare l’ipotesi dell’endotermia.
La componente principale dei denti è un minerale chiamato apatite, che contiene atomi di carbonio e ossigeno, questi atomi esistono in diverse forme isotopiche, e la loro composizione all’interno del dente dipende da vari fattori ambientali.
Pertanto, analizzando questa composizione isotopica, è possibile ottenere informazioni sul luogo in cui viveva l’animale, sulla sua alimentazione e, nel caso del megalodon e di altre specie marine, sulla chimica dell’acqua di mare presente all’epoca e sulla temperatura corporea dell’animale.
“Potremmo pensare agli isotopi conservati nei minerali dei denti come a una sorta di termometro, la cui lettura può essere mantenuta per milioni di anni”
ha spiegato Randy Flores, uno studente di dottorato presso l’UCLA e membro del Center for Diverse Leadership in Science.
“Dato che i denti si formano nel tessuto di un animale ancora vivo, possiamo misurare la composizione isotopica dei denti fossili per stimare la temperatura alla quale si sono formati e, di conseguenza, ottenere un’idea della temperatura corporea approssimativa dell’animale quando era vivo”.
Quali sono stati i risultati dei test effettuati sui denti del megalodonte?
I risultati delle analisi condotte dal team suggeriscono che il megalodonte fosse in grado di mantenere una temperatura corporea di circa 7°C (13°F) superiore a quella dell’acqua circostante, e questo livello di differenza è ancora maggiore rispetto ad altre specie di squali che vivevano nello stesso periodo, ed è proprio questa differenza che ha portato i ricercatori a concludere che il megalodonte era un animale a sangue caldo.
Mentre il megalodonte è ben documentato grazie ai numerosi fossili dei suoi enormi denti, la nostra conoscenza della sua biologia generale è ancora limitata perché non è mai stato trovato uno scheletro completo di questo pesce cartilagineo.
“Otodus megalodon era uno dei più grandi carnivori mai esistiti, e comprendere la sua biologia ci fornisce informazioni cruciali sul ruolo ecologico ed evolutivo che i grandi carnivori hanno svolto negli ecosistemi marini nel corso del tempo geologico”
ha dichiarato Shimada.
La capacità del megalodonte di regolare la propria temperatura corporea è significativa perché l’evoluzione del sangue caldo è spesso vista come un fattore chiave per spiegare le sue dimensioni gigantesche.
In passato, l’endotermia regionale è stata suggerita come un modo per spiegare la somiglianza tra questo gigante dei mari e gli squali bianchi moderni, almeno a livello di forma, e sebbene questa ipotesi rimane ancora speculativa, la nuova ricerca dimostra che il vecchio re dei mari aveva un metabolismo più elevato rispetto agli squali ectotermici.
Tuttavia, questo metabolismo elevato potrebbe avere avuto un costo. I ricercatori ritengono che potrebbe aver contribuito all’estinzione della specie nel momento in cui si è verificato un raffreddamento climatico globale che potrebbe aver influenzato gli habitat delle prede del megalodonte.
“L’implicazione è che anche se il megalodonte possedeva tratti come il sangue caldo che gli consentivano di adattarsi ai cambiamenti di temperatura degli oceani, non era immune agli effetti del cambiamento climatico. Ciò sottolinea l’importanza degli sforzi di conservazione per proteggere gli squali odierni”
ha affermato Shimada.
“Mantenere un livello di energia che consentisse al megalodonte di mantenere una temperatura corporea elevata richiedeva un’appetito vorace, che potrebbe non essere stato sostenibile in un periodo di cambiamento negli equilibri degli ecosistemi marini, quando potrebbe anche essere stato in competizione con nuove specie come lo squalo bianco”
ha aggiunto Flores.
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