La malattia epatica pediatrica o più precisamente la steatosi epatica non alcolica (NAFLD) è la malattia epatica pediatrica più comune, che colpisce da 5 a 8 milioni di bambini solo negli Stati Uniti. Nella NAFLD, le cellule del fegato immagazzinano grosse goccioline di grasso, che possono influenzare la funzione del fegato. I medici hanno da tempo osservato una relazione tra NAFLD e diabete di tipo 2 negli adulti, ma si sa molto meno di una correlazione simile nei bambini.
In una nuova ricerca condotta da un team nazionale di ricercatori, coordinato dall’autore senior Schwimmer, fornisce numeri concreti che descrivono la connessione tra malattia epatica pediatrica e rischio di contrarre il diabete, rivelando che tra 892 bambini con NAFLD arruolati nel Rete di ricerca clinica sulla steatoepatite non alcolica, il diabete di tipo 2 è stato individuato nel 6,6% dei bambini alla valutazione iniziale, con il tasso di incidenza in aumento del 3% all’anno nei quattro anni successivi.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Clinical Gastroenterology and Hepatology.
Malattia epatica pediatrica: ecco qual è la correlazione con il rischio di contrarre il DT2
I tassi di diabete di tipo 2 sono raddoppiati nei bambini negli ultimi 20 anni. I bambini con malattia epatica pediatrica hanno caratteristiche di insulino-resistenza, un fattore chiave del diabete di tipo 2, e quindi possono essere a rischio di sviluppare la malattia: “C’è una crescente crisi di salute pubblica quando i bambini con diabete diventano adulti con diabete. Dobbiamo capire meglio come la NAFLD contribuisce al rischio di diabete di tipo 2 nei bambini in modo da poter lavorare attivamente per prevenirlo”, ha affermato Jeffrey Schwimmer, Professore di pediatria presso la University of California San Diego School of Medicine e Direttore della Fatty Liver Clinic presso il Rady Children’s Hospital-San Diego.
Il team internazionale di ricercatori ha rivelato che un bambino su sei h sviluppato il diabete di tipo 2: “Questo è allarmante perché il diabete di tipo 2 nei giovani è una malattia molto più aggressiva rispetto agli adulti, con complicazioni ed esiti più immediati e gravi“, ha affermato Schwimmer.
“Questi risultati hanno implicazioni cliniche per i gastroenterologi che si prendono cura dei bambini con NAFLD“, ha detto Schwimmer: “Dovrebbero essere consapevoli del rischio e fornire monitoraggio, guida preventiva e interventi sullo stile di vita che aiutino i loro pazienti a evitare di sviluppare il diabete di tipo 2″.
In Italia nei mesi scorsi si è assistito ad una malattia epatica pediatrica di forma acuta che ha colpito diversi bambini. Il Marcello Lanari, direttore della Pediatria d’urgenza e del Pronto soccorso pediatrico del Sant’Orsola, ha dichiarato: Un’allerta più che un allarme che riguarda un numero superiore del normale di epatiti di causa infettiva ma sconosciuta. La diffusione di questi casi riguarda principalmente il Regno Unito, con episodi in Scozia e in Irlanda, ma anche in Danimarca e Olanda”.
“Stiamo seguendo le indicazioni del Ministero della Salute e della Regione Emilia-Romagna e ci comportiamo basandoci sul protocollo interaziendale e metropolitano (la task force di cui si è parlato) che nel caso in cui bambini al di sotto dei 10 anni abbiano segni clinici quali dolori addominali, febbre, nausea e vomito, diarrea e soprattutto se associati a ittero (non solo colorazione della pelle ma anche della sclera dell’occhio) con urine scure e feci chiare, allora siamo tenuti ad effettuare ulteriori approfondimenti“, ha continuato Lanari
“Oltre agli esami di base ci spingiamo a testare la funzionalità epatica attraverso un semplice e non invasivo prelievo che ci dia indicazioni sul livello delle transaminasi e della birilubina. Se le transaminasi risultano superiori a 500 avviamo una ricerca su tutte le epatiti conosciute e predisponiamo il ricovero in ospedale“, Ha spiegato l’esperto.
“Poi il bivio: se il test è positivo ed è una di quelle virali acute, viene identificato l’agente causale noto e facciamo un trattamento su dieta e idratazione; qualora fosse negativo (e quindi non corrisponde alle infezioni che conosciamo) siamo di fronte a un’epatite acuta sconosciuta e allarghiamo così l’approfondimento escludendo anche patologie non infettive, per esempio metaboliche o legate a un’intossicazione del fegato”.
Trattandosi di un’epatite non classificabile tra quelle già conosciute come la A e la E, Lanari ha precisato: “Specifico che in pediatria abbiamo comunemente delle forme di epatite acuta che per le quali non riusciamo a identificare la causa, ma questo non ha mai destato allarme. Ora però, siccome nel Regno Unito ci sono stati casi numerosi e ravvicinati, collegati in pochi casi a un’insufficienza epatica grave (tanto da rendere necessario un trapianto) è stata appunto avviata una procedura particolare e lo speciale protocollo che coinvolge gli specialisti del Sant’Orsola e dell’Ausl, volto all’individuazione di eventuali casi anche nel nostro territorio”.