La scoperta di due parassiti, legati alla malaria umana, che infettano le scimmie africane, ha risolto l’enigma secolare di come la malattia sia arrivata ad affliggere gli esseri umani.
Il parassita Malariae Plasmodium è una cosa strana, questo perché non è un virus e nemmeno un batterio, ma è più strettamente correlato alle piante, tra l’altro solo sei specie infettano gli esseri umani, mentre molte altre trascorrono una fase del loro ciclo vitale nel sangue di mammiferi, rettili o uccelli, prima di essere trasmesse tramite insetti.
Poiché la maggior parte delle specie di Plasmodium che infettano l’uomo non infettano altri vertebrati, gli scienziati sono rimasti perplessi sulle loro origini.
Tra le specie che infettano l’uomo, la P. falciparum è quella che provoca di gran lunga il maggior danno, essendo sia la più diffusa che la più probabile che uccida, tuttavia le origini di P. malariae si sono rivelate più intriganti per i parassiti, al punto che un articolo su Nature Communications lo descrive come “il parassita umano meno caratterizzato”, ma ora, dopo 100 anni di domande, il giornale afferma di avere finalmente una risposta.
Le risposte sulla malaria che si attendevano da anni
Negli anni ’20, parassiti che sembravano identici al P. malariae furono trovati nel sangue degli scimpanzé, ma questo significava che lo stesso parassita stava infettando umani e scimmie?
Il P. knowlesi è noto per fare questo, quindi non era troppo difficile da immaginare, successivamente però la questione è stata ulteriormente confusa con la scoperta del P. brasilianum, una forma di malaria apparentemente simile che infetta le scimmie nelle Americhe.
Tuttavia, i microscopi possono rivelare solo fino ad un certo punto, ed è qui che entrano in gioco gli scienziati; la dott.ssa Lindsey Plenderleith dell’Università di Edimburgo e i coautori hanno confrontato il DNA di P. malariae con le controparti delle scimmie, hanno scoperto che in realtà esistono tre specie separate.
La prima di queste tre speice, che gli autori chiamano P. celatum, è diffuso negli scimpanzé, nei gorilla e nei bonobo ma, nonostante le apparenze, non è poi così geneticamente simile alle varietà umane, tuttavia l’altro è una corrispondenza molto più stretta e quindi indicato come simile a P. malariae.
Il confronto tra P. malariae-like e P. malariae ha permesso agli autori di esplorare la sua storia genetica, andando infine a concludere che P. malariae si è evoluto da un parassita che infetta le scimmie e ha attraversato un collo di bottiglia genetico dove è diventato molto raro, probabilmente quando stava colonizzando di recente gli esseri umani.
Il processo è molto simile a quello che si pensa abbia subito P. falciparum evolvendosi da un parassita esclusivamente gorilla, d’altra parte però, il P. brasilianum sembra essere un distacco da P. malariae che è passato dall’uomo alle scimmie dopo essere stato portato nelle Americhe, probabilmente con la tratta degli schiavi, andando poi rapidamente ad infettare più di 30 specie di scimmie.
P. malariae è stato trascurato per lo studio rispetto agli altri parassiti della malaria perché i suoi sintomi tendono ad essere lievi, tuttavia secondo quanto si può vedere in un’osservazione nel documento:
“il parassita può anche persistere cronicamente e [ripresentarsi] anni o decenni dopo l’infezione iniziale”.
Di conseguenza, può essere un rischio per la salute maggiore di quello normalmente riconosciuto, e può anche esacerbare altre infezioni.
“I nostri risultati potrebbero fornire indizi vitali su come [P. malariae] è diventato in grado di infettare le persone, oltre ad aiutare gli scienziati a valutare se sono probabili ulteriori salti di parassiti delle scimmie negli esseri umani”
ha affermato Plenderleith in una nota.
Inoltre, la comprensione di altri parassiti della malaria può aiutare a migliorare la nostra capacità di combattere il P. falciparum, che rimane una delle maggiori cause di morte prevenibile, in particolare nei bambini.
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