Per quasi due secoli, gli astronomi hanno guardato verso la costellazione della Vergine senza sapere davvero cosa stavano osservando e nel 1781, Charles Messier classificò un oggetto come “nebulosa senza stelle”, etichettandolo semplicemente come M87 e solo molto più tardi si è capito che si trattava di una galassia gigante, tra le più interessanti dell’universo visibile.

Il cuore pulsante di questa galassia è M87, un buco nero supermassiccio che contiene sei miliardi e mezzo di volte la massa del Sole. Ma non è solo la sua stazza a colpire: ruota su sé stesso a una velocità impressionante e genera un getto di particelle sparate nello spazio quasi alla velocità della luce, per una distanza che supera i 5.000 anni luce.
Sì, hai letto bene: è come se sparasse un raggio dritto nello spazio, alimentato dalla sua rotazione.
M87: e ora arriva la svolta…
Un team di astrofisici dell’Università Goethe di Francoforte, guidato dal professor Luciano Rezzolla, ha creato un software avanzatissimo chiamato FPIC (Frankfurt particle-in-cell code for black hole spacetimes), pensato per simulare con precisione come i buchi neri riescano a trasformare l’energia rotazionale in veri e propri getti cosmici.

Finora si pensava che il meccanismo chiavedietro M87 fosse uno solo: il cosiddetto effetto Blandford-Znajek, dove l’energia viene “estratta” grazie a campi magnetici super potenti, ma ora c’è una scoperta sorprendente: entra in gioco anche la riconnessione magnetica.
In parole semplici? Le linee del campo magnetico si spezzano e si ricompongono, creando energia sotto forma di calore, plasma ed emissioni luminose potenti.
Dietro le quinte sulla ricerca di M87: milioni di ore su supercomputer
Per arrivare a questi risultati e capire meglio M87, il team ha usato i supercomputer Goethe (Francoforte) e Hawk (Stoccarda), consumando milioni di ore di calcolo per simulare le equazioni fisiche più complesse: quelle di Einstein, combinate con i comportamenti delle particelle cariche nello spazio.

I risultati? Davvero spettacolari! E le simulazioni hanno mostrato catene di plasmoidi, ovverosia vere e proprie bolle di plasma ad altissima energia, che si formano attorno al buco nero e si muovono a velocità quasi luminari. Non solo: durante il processo si generano particelle con energia negativa, una specie di “carburante cosmico” che alimenta i getti osservati.
Perché tutto questo è importante?
Come spiega il dottor Filippo Camilloni, parte del team: “Finora pensavamo che solo il meccanismo di Blandford-Znajek potesse spiegare tutto. Ora sappiamo che c’è anche la riconnessione magnetica in gioco.”
Il professor Rezzolla aggiunge: “Abbiamo dimostrato che è possibile estrarre energia in modo efficiente da un buco nero rotante e incanalarla in getti potentissimi. Questo aiuta a spiegare l’incredibile luminosità dei nuclei galattici attivi, e come alcune particelle riescano a raggiungere velocità prossime a quella della luce.”
Un passo avanti verso il futuro
Per chi ama lo spazio, la tecnologia e le meraviglie dell’universo, questa scoperta è un’ulteriore conferma di quanto i buchi neri siano tutt’altro che “vuoti cosmici”: sono motori energetici straordinari, capaci di influenzare il destino di intere galassie.
E chissà: magari un giorno, queste stesse simulazioni potrebbero servire per generare energia in modi che oggi nemmeno immaginiamo o per capire meglio cosa c’è al confine tra scienza e fantascienza.