Hai notato qualcosa di strano ultimamente quando cerchi su Google? Tipo… che non devi più cliccare su niente? Esatto. Le nuove funzioni AI integrate nel motore di ricerca ti danno già una risposta, bella pronta, togliendoti anche lo “sbatti” di aprire un link. Bello, vero? Sì, finché non ti accorgi che quel sistema sta lentamente strangolando i siti da cui quella risposta è stata presa. Senza clic, senza visite, senza soldi. Il giornalismo digitale sta affondando. E stavolta, per davvero.
Cosa sta succedendo davvero a Google Search
Google non è più un motore di ricerca. È un motore di risposte. Risposte generate da IA, confezionate su misura per non farti mai uscire dalla pagina. La chiamano “esperienza trasformata”, ma per chi lavora nell’informazione è una trasformazione che sa di fine corsa.
Le funzioni AI Overview e AI Mode fanno proprio questo: ti servono un riassunto generato automaticamente, pescato da articoli veri, senza che tu debba leggere quegli articoli. Risultato? I siti di news ricevono la metà delle visite rispetto a qualche anno fa. Business Insider, per esempio, ha perso il 55% del traffico da ricerca tra aprile 2022 e aprile 2025. Hai capito bene: cinquantacinque per cento. E non sono i soli.
Meno clic = meno pubblicità = meno giornalismo

Per chi non lo sapesse: molti siti di news vivono di pubblicità. E la pubblicità vive dei clic. Meno clic, meno introiti. E in un mondo in cui l’IA di Google si pappa tutto e non restituisce nulla, la filiera dell’informazione collassa.
Barbara Peng, CEO di Insider, lo ha detto senza mezzi termini: stanno licenziando il 21% del personale perché il traffico è “crollato per cause fuori dal nostro controllo”.
La parte più grottesca? Google continua a dire che le sue ricerche “stanno aumentando”. Sarà, ma intanto il flusso verso i siti che producono contenuti reali è ai minimi storici. E gli algoritmi AI sono sempre più bravi a saccheggiare le fonti senza dare credito.
L’IA ha bisogno di contenuti. Ma sta uccidendo chi quei contenuti li crea
C’è un paradosso in tutto questo: l’IA non funziona senza testi scritti da umani. Se i siti spariscono, sparisce anche il carburante per queste AI. Ma chi le sviluppa (vedi Google, OpenAI, Microsoft) sembra ignorare il problema. O forse, peggio, lo accetta come inevitabile. L’editoria digitale? Effetto collaterale.
Eppure il punto è serio: se chi produce informazione smette di farlo perché non ci guadagna più nulla, l’ecosistema diventa un deserto. O peggio, una discarica di contenuti generati da AI su contenuti generati da AI. Hai presente quando chiedi a ChatGPT qualcosa e ti risponde con una boiata? Ecco, moltiplica per mille.
Qualcuno prova a reagire, ma la battaglia è tosta

Il New York Times ha denunciato OpenAI e Microsoft per uso illegale dei suoi articoli. Altri stanno cercando nuovi modelli di business. Ma nel frattempo i licenziamenti aumentano, i piccoli siti scompaiono dai risultati di ricerca e le redazioni si svuotano.
Anche perché — ironia della sorte — l’AI Overview di Google privilegia i grandi nomi (tipo Reuters, CNN e soci), mentre i siti indipendenti faticano a essere visti. È un gioco truccato, e Google fa da arbitro e da giocatore allo stesso tempo.
E ora?
Serve una risposta. Serve un sistema in cui chi crea valore venga pagato per davvero. E serve in fretta. Altrimenti il giornalismo digitale rischia di diventare un ricordo. E con lui la possibilità di leggere notizie fatte da persone vere, verificate, non filtrate da un algoritmo addestrato su chissà cosa.
Nel frattempo, il consiglio è semplice: se leggi qualcosa che ti interessa, clicca. Visita la fonte. Sostieni i siti che ti informano, anche solo con un click. Perché finché quei siti esistono, esiste anche una rete dove l’informazione vale qualcosa.
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