La Luna torna a essere terreno di sfida. Dopo i test estivi della navetta cinese Mengzhou, del lanciatore Lunga Marcia 10 e del lander Lanyue, Pechino ha mostrato al mondo di avere un piano chiaro: portare i suoi astronauti sul suolo lunare entro il 2030. Un obiettivo che mette pressione agli Stati Uniti, impantanati nelle incertezze politiche e nei tagli al budget della NASA. Il programma Artemis, fiore all’occhiello della nuova esplorazione americana, rischia di rallentare proprio mentre la Cina prende slancio.
Artemis tra dubbi e ostacoli
Negli Usa la tensione è salita durante l’audizione del 3 settembre davanti alla Commissione Commercio del Senato. Tema dell’incontro: “Sta sorgendo una brutta Luna”. Non un titolo a caso, visto che i testimoni – tra cui l’ex amministratore NASA Jim Bridenstine e l’ex generale John Shaw hanno lanciato un allarme chiaro: senza certezze nei fondi, Artemis e le alleanze costruite attorno al programma rischiano grosso.
Artemis 2, la prima missione con equipaggio a orbitare intorno alla Luna dai tempi di Apollo, è prevista per l’inizio del 2026. Ma la vera sfida è Artemis 3, fissata per il 2027: al momento gli Stati Uniti non hanno un lander pronto per scendere sul suolo lunare. La NASA si è affidata a SpaceX e alla sua Starship, ma i test non hanno ancora dato piena affidabilità. Prima di ospitare astronauti, il veicolo dovrà completare una missione senza equipaggio, con tempistiche già strette.
Cina: obiettivi chiari e strategia unificata

Mentre Washington discute di budget, Pechino procede senza esitazioni. La Cina ha dimostrato progressi costanti: la capsula Mengzhou è pronta per portare astronauti, il razzo Lunga Marcia 10 ha superato i test e il lander Lanyue ha già mostrato capacità di allunaggio.
Il messaggio è chiaro: non si tratta più di missioni isolate, ma di una strategia integrata Terra-Luna. E questo spaventa gli Stati Uniti. Come ha detto Mike Gold di Redwire durante l’udienza: “Chi arriverà per primo detta le regole del gioco sulla Luna”.
Regole che riguardano non solo il prestigio politico, ma anche lo sfruttamento delle risorse, dalle terre rare all’acqua ghiacciata dei poli.
Il ruolo della Gateway
Altro nodo critico: la stazione spaziale Gateway, avamposto destinato all’orbita lunare. Dovrebbe diventare il centro di smistamento per le missioni Artemis e per una futura presenza stabile, ma i finanziamenti americani per il 2026 sono stati prima cancellati e poi ripristinati. Segnale evidente che la sua realizzazione non è affatto scontata.
Qui si gioca una partita globale: l’Europa, il Giappone e il Canada hanno investito risorse e credibilità nel progetto. Se gli Stati Uniti si tirassero indietro, i partner internazionali potrebbero guardare altrove. E “altrove” oggi significa Cina.
SpaceX e la sfida privata

Lo Space Launch System (SLS), il colosso sviluppato dalla NASA, è stato più volte criticato per costi e ritardi. In questo scenario, la Starship di SpaceX appare come la vera alternativa, capace di abbattere i prezzi e offrire più flessibilità. Ma anche qui non mancano i problemi: i test falliti hanno rallentato lo sviluppo e l’azienda di Elon Musk deve dimostrare che può garantire affidabilità quando si parla di missioni lunari con equipaggio.
Se Starship non dovesse rispettare la tabella di marcia, Artemis rischierebbe un nuovo rinvio. E intanto la Cina avanza.
Corsa geopolitica, non solo spaziale

La nuova corsa alla Luna non è un semplice revival della sfida anni Sessanta tra Usa e Urss. Qui non c’è solo in gioco il “chi arriva primo”, ma la possibilità di stabilire regole e infrastrutture permanenti. Chi controllerà i poli lunari avrà accesso alle risorse e potrà dettare standard tecnologici e politici.
Per la NASA e i suoi partner, ogni ritardo rischia di trasformarsi in un passo falso strategico. Per la Cina, ogni successo tecnico diventa un tassello verso la leadership spaziale.