Succede a New York, al planetario Hayden: parte la proiezione del nuovo spettacolo Encounters in the Milky Way, e sul soffitto compare qualcosa di strano. Una spirale. Ma non una qualsiasi: una spirale nel bel mezzo della Nube di Oort, quella distesa di corpi ghiacciati ai confini estremi del Sistema Solare che nessuno ha mai visto davvero.
Una trovata scenica? Un errore di rendering? No, era tutto vero. Talmente vero che da quella scena è nata una scoperta scientifica finita su The Astrophysical Journal.
Una spirale dove doveva esserci una sfera
Fino a ieri, la Nube di Oort era considerata sferica. Un gigantesco guscio di detriti ghiacciati lasciati dalla formazione del Sistema Solare, esteso fino a 1,5 anni luce dal Sole. Mai osservata direttamente, ma ipotizzata in base alle orbite lunghissime delle comete più esterne.
Poi arriva il colpo di scena: una simulazione 3D rivela una forma a spirale nella zona interna della Nube. E tutto parte da un rendering progettato per un pubblico generalista.
La prima a notarla è Jackie Faherty, astrofisica e curatrice del planetario: “Ho pensato fosse un glitch. Ma no: era proprio lì.”
Il fisico dietro l’effetto speciale

Il modello visualizzato era stato costruito sui dati di David Nesvorny, esperto di dinamiche del Sistema Solare al Southwest Research Institute. All’inizio, anche lui sospetta un bug. Ma va a controllare, e la spirale è davvero nei dati. Solo che, finora, nessuno l’aveva mai guardata in coordinate cartesiane.
“Dovevo conoscere meglio i miei dati”, ha detto Nesvorny con un sorriso. Invece è servita la proiezione su un planetario per accorgersene.
E la colpa è della galassia
Ma cosa genera questa spirale?
Non è magia. È fisica. I corpi nella parte più esterna del Sistema Solare sono così lontani da risentire non solo della gravità del Sole, ma anche di quella della Via Lattea. Questo “marea galattica” (galactic tide) deforma lentamente le orbite degli oggetti nella Nube di Oort, avvolgendole a spirale.
Un effetto visibile solo nella parte interna della nube. Quella esterna – probabilmente – resta sferica. Almeno per ora.
Simulazioni da supercomputer (non da desktop)

Per verificare l’effetto, Nesvorny ha usato uno dei supercomputer più potenti al mondo, il Pleiades della NASA, e ha testato la simulazione con vari parametri. Risultato? La spirale c’era sempre. In ogni modello. Nessuna illusione ottica. Nessuna anomalia locale.
E a quel punto, è scattata la pubblicazione scientifica. Una di quelle che fanno rumore. Perché riscrive una delle idee base sul bordo del nostro Sistema Solare.
Cosa c’entra il Rubin Observatory?
Il telescopio Rubin, appena attivato in Cile, è tra i pochi strumenti che potrebbero dare un senso a tutto questo. Grazie alla sua capacità di mappare il cielo ogni due o tre notti per dieci anni, potrebbe identificare decine di oggetti della Nube di Oort interna.
Ma serviranno centinaia, se non migliaia, di corpi osservabili per confermare visivamente la struttura a spirale. E per ora, la quantità di oggetti noti della Nube si conta sulle dita.
Cambia tutto (anche per le origini della vita)
Perché tutto questo è importante? Perché la forma della Nube di Oort non è solo una curiosità geometrica. È una chiave per capire la storia del nostro Sistema Solare, e forse anche l’origine della vita sulla Terra.
Molte comete, infatti, arrivano dalla Nube. Alcune contengono acqua e molecole organiche. Se la loro distribuzione segue una spirale, potrebbe voler dire che l’evoluzione del nostro sistema è più dinamica e influenzata dall’ambiente galattico di quanto pensassimo.
Come ha detto Faherty: “Forse i mattoni della vita sono ancora là fuori, nella spirale invisibile che ci circonda.”
Il planetario come laboratorio scientifico
Il dato più assurdo? Questa scoperta non nasce da un telescopio, ma da uno spettacolo per il pubblico. Un rendering progettato per essere bello e coinvolgente ha generato una domanda scientifica, poi confermata dai modelli.
Faherty lo dice senza mezzi termini: “Il planetario è uno strumento di ricerca. Questo è scienza che non è ancora finita nei libri di testo.”
Ed è anche un bel promemoria: il modo in cui visualizziamo l’universo può cambiare la scienza stessa.
Siamo parte di una spirale
Secondo l’astrofisica Malena Rice (Yale), non coinvolta nello studio, questa scoperta “dà un nuovo senso dinamico alla nostra posizione nel cosmo”. Non siamo statici. Non siamo isolati. Il nostro sistema solare danza in armonia con la galassia. E la spirale nella Nube di Oort ne è un’eco.
Difficile dire se riusciremo mai a osservare direttamente questa struttura. Ma una cosa è certa: ora sappiamo che potrebbe esserci. E ogni nuovo oggetto scoperto ci aiuterà a vedere meglio quella spirale che, fino a ieri, era solo invisibile.
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