Finché si parla di viaggi su Marte, hotel in orbita e tute spaziali firmate, tutto bello. Ma c’è una domanda che nessuno vuole fare e che, prima o poi, ci toccherà affrontare: cosa succede se un astronauta muore nello spazio?
La risposta è: la NASA ci sta già lavorando. E sul serio.
Un body bag in orbita (già dal 2012)
Nessun comunicato stampa. Nessuna fanfara. Ma nel 2012 la NASA ha mandato in orbita una sacca mortuaria. Sì, hai letto bene: una sacca per contenere un cadavere nello spazio. Si chiama HRCU, Human Remains Containment Unit.
Apparentemente sembra una borsa termica gigante. In realtà è un sistema militare modificato, pensato per conservare un corpo umano in microgravità abbastanza a lungo da riportarlo sulla Terra.
Include:
- filtri antiodore
- assorbenti d’umidità
- zip invertite per rispetto (apertura dal lato della testa)
- agganci per posizionarlo in un sedile della capsula
- patch per nome e bandiera
E no, non è mai stato usato. Ma è pronto.
Non è più un “se”. È un “quando”

Fino a oggi, nessun astronauta è morto nello spazio per cause naturali. I pochi decessi (come nella missione Soyuz 11) sono avvenuti al rientro o durante il lancio. Ma ora le cose stanno cambiando.
- Le missioni sono più lunghe
- Gli astronauti sono più vecchi (età media: 50 anni)
- Le destinazioni sono più lontane (Luna, Marte, deep space)
La morte in orbita non è più un’ipotesi remota. È una voce reale nelle checklist delle agenzie spaziali.
Non c’è un medico legale lassù
Se un astronauta muore, serve capire come è successo.
Guasto tecnico? Problema medico? Contaminazione?
Serve una specie di autopsia. Peccato che a bordo non ci sia un patologo.
Allora la NASA ha creato un protocollo: In-Mission Forensic Sample Collection.
Ogni astronauta lo conosce. Anche se non ne parla volentieri.
- Si fotografa il corpo
- Si raccolgono sangue, capelli, umor vitreo
- Si archiviano i dati
- Poi il corpo viene inserito nell’HRCU
Non è macabro. È scienza. Ogni morte è anche un’occasione per salvare vite future.
E se muore fuori dalla navetta?

Anche lì c’è un piano. Se un astronauta muore durante una passeggiata spaziale, o magari in un futuro su Marte, si usa un telo apposito: una specie di “sudario spaziale”. Serve a contenere il corpo, ma anche a proteggerlo dalla contaminazione e – dettaglio non banale – a non traumatizzare il pubblico, nel caso finisse davanti a una telecamera satellitare.
Sì, è successo in simulazioni: la NASA ci tiene che nessuno veda un cadavere galleggiare in orbita su YouTube.
Sepoltura lunare? Ecco come funziona
Se il rientro non è possibile, ci sono già regole per trattare il corpo come un artefatto storico. Che venga sepolto nel regolite lunare o spedito in orbita solare, il corpo sarà tracciato, catalogato e rispettato.
E verrà celebrato. Gli astronauti superstiti hanno istruzioni chiare: cerimonia simbolica e poi si torna alla missione. Il lutto nello spazio è già parte dell’addestramento.
Ma chi ha giurisdizione in caso di morte?
Qui le cose si complicano.
Sulla ISS il paese d’origine del defunto ha l’autorità. Ma quando si va sulla Luna con equipaggi misti, o peggio, su voli commerciali privati?
Cosa succede se ci sono sospetti di foul play?
Il vecchio Outer Space Treaty del 1967 non copre questi scenari. I nuovi accordi come gli Artemis Accords iniziano a impostare qualche regola, ma restano tante zone grigie legali ed etiche.
Morire nello spazio sarà un test per l’umanità
La prima morte nello spazio sarà una tragedia. Ma sarà anche una prova:
- per i sistemi tecnici
- per la gestione psicologica
- per il diritto internazionale
- per la nostra capacità di essere umani, anche tra le stelle
La NASA lo sa. E si prepara. Perché lo spazio non ha pietà. Ma noi sì.
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