Ti ricordi la missione DART della NASA? Quella che nel 2022 ha colpito un asteroide per testare una difesa planetaria alla “Armageddon”, ma senza Bruce Willis. Tutto ok, tutto sotto controllo, si diceva: l’asteroide Dimorphos ha cambiato orbita, missione compiuta. Ma a distanza di tempo, c’è un piccolo dettaglio emerso dai dati: l’impatto ha funzionato, sì, ma con conseguenze tutt’altro che semplici.
L’impatto ha deviato Dimorphos. Ma non solo
Un nuovo studio guidato dall’Università del Maryland, pubblicato su The Planetary Science Journal, ha analizzato le immagini scattate subito dopo l’impatto da LiciaCube, la sonda italiana che ha seguito la scena come un drone da guerra.
E il verdetto è chiaro: l’impatto ha generato detriti ad altissima velocità, talmente potenti da influenzare non solo il moto orbitale, ma anche l’orientamento di Dimorphos.
Come dire: non abbiamo solo dato uno spintone all’asteroide, lo abbiamo anche fatto girare su se stesso in modo imprevedibile.
Rocce lanciate a 52 metri al secondo (più veloci della sonda stessa)

I ricercatori sono riusciti a tracciare 104 massi rocciosi espulsi dall’impatto, alcuni sparati nello spazio a oltre 50 metri al secondo, una velocità tripla rispetto a quella della sonda DART al momento del contatto.
Ecco il punto critico: queste rocce hanno agito come dei piccoli razzi a reazione, imprimendo forze supplementari non previste. Risultato? Un effetto “calcio del mulo” che ha alterato l’orientamento dell’asteroide.
In pratica, oltre al colpo principale, i detriti hanno dato una spinta secondaria quasi altrettanto potente. E questo cambia parecchio le regole del gioco.
Serve un nuovo modello per le missioni future

“Abbiamo modificato l’orbita, sì, ma l’effetto dei detriti è stato sorprendentemente significativo”, ha spiegato Tony Farnham, che ha coordinato lo studio.
Fino a oggi, nelle simulazioni, l’attenzione era tutta sul punto d’impatto. Ora invece è chiaro che serve includere anche la dinamica dei detriti, che può essere imprevedibile — e non poco.
Questo significa che le prossime missioni simili (e ce ne saranno, perché la difesa planetaria non è più un tema da film) dovranno tenere conto di questi effetti collaterali, per evitare che un intervento correttivo diventi, ironia della sorte, un casino orbitale.
Il contributo italiano è stato fondamentale
A rendere possibile l’analisi è stato LiciaCube, la mini-sonda italiana lanciata da NASA ma costruita e gestita in gran parte dall’Italia.
Dietro le quinte ci sono stati l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), l’INAF, il Politecnico di Milano, le università di Napoli Parthenope, Bologna, e l’Istituto di Fisica Applicata di Sesto Fiorentino.
Grazie a loro abbiamo avuto non solo immagini spettacolari, ma anche dati tecnici cruciali per capire che l’impatto è stato tutto tranne che semplice.
Prossima volta, colpi più precisi (e controllati)
L’esperimento DART ha dimostrato che deviare un asteroide è tecnicamente possibile, ma non è solo questione di colpirlo come al flipper. Bisogna capire cosa succede dopo.
Con tutta probabilità, le future sonde anti-asteroide dovranno avere strumenti per monitorare e compensare anche le spinte secondarie, come quelle prodotte dai frammenti.
Perché sì, possiamo spostare una montagna. Ma non è detto che la montagna non si metta a girare su se stessa mentre lo facciamo.
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