Ricordi la scena iconica di Un giorno di ordinaria follia, quando Douglas è nel traffico imbottigliato, in quell’estate infernale a Los Angeles del ’92? Non si sa quale fu di preciso la scintilla a scatenare la sua rabbia, ma tutti più o meno abbiamo provato subito un’incredibile empatia con lui, ed abbiamo tifato per lui fino alla fine, capendo che la costante pressione può far esplodere chiunque.
Ma ora ti racconterò una storia di cui abbiamo invece ben chiara la genesi, non siamo nel traffico di Los Angeles, ma in un data center di Google nella Carolina del sud, è sempre estate e Shannon Wait, una dipendente assetata dal caldo, si accorge che la sua bottiglia fornita da Google si è rotta.
Immediatamente informa il suo responsabile, in questo caso un subappaltatore di Google, che rifiuta categoricamente di fornirgliene un’altra.
Questo è l’inizio di quella che tutti conosciamo come reazione a catena, quel famoso battito di ali di una farfalla che scatena un uragano dall’altra parte del mondo, causato da chi della farfalla se ne frega, e a volte se ne frega anche delle conseguenze.
Il comportamento standard nelle Big Tech negli anni è diventato sempre più opprimente, luoghi di lavoro dove cane mangia cane, un insostenibile pressione competitiva, di cui non si discute mai abbastanza, ma di cui in realtà tutti siamo a conoscenza, e che la maggior parte di noi ignora volontariamente, salvo poi manifestare contrizione ed empatia al momento sociale opportuno.
Shannon Wait è una donna con una formazione didattica superiore, si laurea nel 2018 e l’anno successivo si ritrova a lavorare per Google in un data center per 15$ l’ora, che ricordiamo in America è meno di quanto percepisce un cameriere di un buon ristorante, e a malapena un salario minimo per i nostri standard nello stesso settore tecnologico.
“Stai riparando i server, il che include la sostituzione dei dischi rigidi, la sostituzione delle schede madri, il sollevamento di batterie pesanti, di circa 13,6 kg ciascuno. Un lavoro difficile”
La dura realtà di Google
“Le persone non giocano tutto il giorno come si vede nei film … il data center è completamente diverso”
Una realtà molto lontana dalle università online, sale ristoro e riposo con musica e buffet, che alcuni impiegati raccontavano di vivere o che il film The Internship ci mostrava, e che forse era solo propaganda forzata.
Shannon Wait spiega anche, nella sua storia raccontata alla BBC, che un sistema complesso di subappalti rende possibile il disinteresse da parte di Google sulle condizioni di lavoro dei dipendenti. Lei era a tutti gli effetti un imprenditrice di sé stessa, a servizio non di Google, ma di un subappaltatore, tale Modis, che aveva un contratto con l’azienda di Mountain View tramite l’azienda proprietaria Adecco.
Il sistema appare quindi semplice, Google può totalmente estraniarsi dalla faccenda, rilanciando la colpa al subappaltatore, che a sua volta può far decadere sull’imprenditrice che in questo caso non risulterebbe subordinata. Uno scarica barili che non è un caso isolato, ma a quanto sostiene Shannon è un modus operandi, dato che la metà degli impiegati è sotto appaltatori.
Essere assunti direttamente da Google è possibile? Shannon Wait ce lo spiega
Shannon Wait rincara la dose e descrive una specie di cultura della dilazione del “perma-temps” (l’equivalente del nostro tempo determinato) da parte di Google, tutti vengono invogliati a produrre incessantemente al meglio delle loro possibilità, un test che dovrebbe essere temporaneo, con la presenza anche di bonus produzione per addolcire la pillola del lavoro precario, ma che poi non si risolve mai nell’assunzione definitiva, come effettivi impiegati diretti dell’azienda.
Su questo vorrei aprire una parentesi, visto che in Italia questo metodo era applicato da moltissimi imprenditori, che forzavano chi voleva lavorare per loro ad aprire partita IVA, per poi usarla in esclusiva con loro.
Per fortuna la Legge n. 92/2012 ha introdotto la presunzione di lavoro dipendente in base alla quale, in certe condizioni, come per esempio collaborazioni esclusive con il committente, senza presenza di prestazioni fatturate ad altre aziende, per lunghi periodi di tempo, devono essere a tutti gli effetti riconosciute come rapporti di lavoro dipendente.
Normalmente, tali prestazioni possono essere definite come “esclusivamente personali, continuative, ripetitive e organizzate dal committente rispetto al luogo e all’orario di lavoro”.
Una volta accertate le condizioni, il committente di lunga data dovrà quindi convertire il rapporto di lavoro a contratto di dipendente a tempo indeterminato.
Ed è per questo bonus, che la reazione a catena è partita, per poi esplodere per l’evento della bottiglietta d’acqua. Shannon Wait ed i suoi colleghi hanno cominciato a chiedersi se questo bonus sarebbe stato effettivamente percepito, soprattutto perché Google aveva dichiarato che data la crisi della pandemia, l’azienda avrebbe agito onorevolmente, elargendolo a tutti i dipendenti compresi gli appaltatori.
Purtroppo nessuno, controllando gli estratti conto, lo aveva ricevuto, e quindi cominciarono a discuterne tra di loro e con la direzione, che li esortò a non parlarne tra di loro in quanto poteva essere considerata una violazione dei termini contrattuali sulla riservatezza, violando loro stessi una legge federale.
Così torniamo al giorno fatidico della richiesta di sostituzione della bottiglietta rotta, che a quanto pare era capitato anche ad un’altra collega, che si è sentita dare lo stesso secco NO. Shannon, tornata a casa, decide di sfogarsi su Facebook con un post, dove riassumeva tutte le questioni che l’avevano portata a dire “ADESSO BASTA” e quindi a supportare il sindacato AWU.
Il giorno dopo la convocazione in direzione e la sospensione:
“Il giorno dopo, ero al lavoro, sono stata chiamata in una sala conferenze con tutti, per lo più, i manager presenti. Mi hanno riferito che il mio post su Facebook violava l’accordo di non divulgazione ed essendo un rischio per la sicurezza, dovevo consegnare immediatamente il mio badge e il mio laptop ed essere scortata fuori.”
L’Alphabet Workers Union, un sindacato di minoranza costituito per i dipendenti Google, ma di cui la stragrande maggioranza non è iscritta, ha deciso a febbraio di quest’anno di sostenere Shannon Wait su due fronti, la prima per la violazione delle leggi sulla pratica del lavoro sleale, sotenendo che la sospensione fosse una ritorsione per il suo sostegno al sindacato, e la seconda perché i suoi manager le avevano chiesto, illegalmente, di non discutere della sua paga.
Il mese scorso Google, Modis e l’Alphabet Workers Union hanno raggiunto un accordo. La sospensione di Shannon è stata annullata, e Google ha firmato un documento in cui si afferma che i suoi dipendenti:
“hanno il diritto di discutere i tassi salariali, i bonus e le condizioni di lavoro”
Shannon ha infine festeggiato la vittoria con il sindacato:
“Le persone che lavorano nei magazzini e nei data center di queste aziende da trilioni di dollari sono stanche che anche i loro più piccoli diritti vengano calpestati. Si stanno rendendo conto che le aziende non stanno ascoltando i loro lavoratori. Quindi noi li faremo ascoltare. ”