La ketamina è un farmaco che è stato utilizzato per l’anestesia a partire dagli anni ’70, ed è stata tradizionalmente evitata per i pazienti con trauma cranico a causa dei primi studi che avrebbero rivelato che potesse aumentare la pressione all’interno del cranio, nota come pressione intracranica (ICP). Una nuova ricerca invece l’ha rivalutata, affermando che potrebbe essere utile nel ridurre la pressione all’interno del cranio dei bambini con lesioni cerebrali traumatiche (TBI).
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Critical Care Medicine.
Ketamina: si aprono strade per nuovi utilizzi?
La nuova ricerca sulla ketamina ha rivelato che il farmaco anestetico potrebbe essere utile nel trattamento delle lesioni cerebrali dei bambini, ha spiegato l’autore principale dello studio Michael Wolf, MD, assistente professore di Pediatria e Chirurgia Neurologica e direttore di Neurocritical Care al Monroe Carell Jr. Children’s Hospital di Vanderbilt.
Wolf, insieme ai suoi collaboratori, ha deciso di riesaminare gli effetti della ketamina sull’ICP nei bambini ricoverati nell’unità di terapia intensiva pediatrica (PICU) con trauma cranico grave, analizzando i dati di 33 pazienti di età compresa tra 1 mese e 16 anni, 22 dei quali hanno ricevuto il farmaco come parte di un protocollo di trattamento informato da linee guida basate sull’evidenza.
Diciotto dosi di ketamina sono state somministrate durante le crisi della pressione intracranica in 11 pazienti ed è stata osservata una diminuzione complessiva della pressione intracranica stessa.
“Abbiamo scoperto che non solo la ketamina non aumenta l’ICP, ma in alcuni casi può addirittura ridurla”, ha dichiarato Wolf: “I bambini con trauma cranico grave sono a rischio di morte o di avere compromissione neurologica a lungo termine, come difficoltà a camminare e parlare. Nei giorni cruciali successivi alla lesione iniziale, il nostro obiettivo in PICU è ridurre al minimo i danni in corso al loro cervello, con un concentrarsi sulla prevenzione e il trattamento dell’ICP elevato”.
“Nonostante decenni di ricerca, le nostre opzioni terapeutiche rimangono limitate a una manciata di farmaci e tecniche”, ha continuato lo studioso: “Questo studio potrebbe aiutare ad aprire la porta a un nuovo uso di un vecchio farmaco che potrebbe aiutarci a continuare a migliorare il nostro approccio alla cura di questi bambini vulnerabili “.
Wolf ha affermato che i risultati dello studio sono “Entusiasmanti, sebbene preliminari” perché la ketamina è stata associata a una riduzione dell’ICP durante le crisi dell’ICP stesso. Se i risultati verranno riprodotti in uno studio più ampio, la ketamina potrà essere presa in considerazione come trattamento per l’ipertensione endocranica nei bambini con trauma cranico grave.
“Andando avanti, abbiamo in programma di studiare gli effetti della ketamina in un numero maggiore di bambini con lesioni cerebrali traumatiche, collaborando con i colleghi di altri ospedali pediatrici per farlo”, ha aggiunto Wolf: “Se siamo in grado di migliorare la nostra comprensione degli effetti della ketamina in uno studio più ampio, potremmo scoprire che la ketamina rappresenta un altro strumento per fornire il miglior trattamento possibile per i bambini con trauma cranico “.
I risultati dello studio potrebbero invertire quasi due decenni di pensiero relativo alla ketamina e alla pressione intracranica, secondo il coautore John C. “Jay” Wellons, III, MD, MSPH, presidente Cal Turner e capo della neurochirurgia pediatrica presso Monroe Carell.
“Questo è un fantastico esempio di ciò di cui è capace la ricerca nella cura neurocritica pediatrica”, ha detto Wellons. “Il dottor Wolf e i suoi colleghi di terapia intensiva pediatrica non solo forniscono cure eccellenti, ma conducono anche ricerche cliniche di grande impatto sul campo.
“Questo studio da solo rappresenta un’inversione quasi completa del modo in cui pensiamo alla relazione tra ketamina e pressione intracranica. I risultati porteranno probabilmente a ulteriori studi che credo cambieranno 20 anni di pensiero passato”, ha specificato l’esperto.
Un altro studio interessante che ha coinvolto la ketamina, riguarda la diminuzione del consumo di alcol nei ratti maschi. I risultati dello studio suggeriscono che la ketamina può essere una valida opzione terapeutica per i pazienti di sesso maschile con un disturbo da uso di alcol.
Studi precedenti avevano già rivelato che la ketamina riduceva i sintomi del disturbo da uso di alcol sia nei ratti che negli esseri umani, ma il farmaco è stato somministrato una volta, piuttosto che per un periodo di tempo di trattamento più realistico. La ketamina è di per sé una droga che crea dipendenza, quindi è fondamentale esaminare come influisce sui pazienti in caso di uso prolungato.
Forte et al. ha diviso i ratti maschi e femmine in gruppi in base alla quantità di alcol che erano inclini a consumare. Ai topi è stato consentito l’accesso illimitato all’alcol tre volte alla settimana. Tre settimane dopo, sono stati attivati i trattamenti con ketamina.
La somministrazione di ketamina ha ridotto il consumo di alcol nei ratti maschi ad alto consumo e gli effetti sono durati almeno tre settimane dopo la fine dei trattamenti con il farmaco. La ketamina non ha influenzato le abitudini dei ratti femmina ad alto consumo e ha aumentato il consumo di alcol nelle femmine a basso consumo. I ratti femmina hanno anche mostrato un rischio maggiore di abuso dell’anestetico rispetto ai ratti maschi.
La ketamina ha prodotto risultati importanti anche in uno studio che ha analizzato i pensieri suicidari nei pazienti con diagnosi di depressione. Sembra infatti che il farmaco sia risultato significativamente piu efficace di un sedattuvo nel trattamento di questi fenomeni.
La ricerca, sviluppata da un team di studiosi del Columbia University Medical Center (CUMC), ha altresì rivelato che gli effetti anti-suicida della ketamina si sono verificati poche ore dopo la sua somministrazione.
“C’è una finestra critica in cui i pazienti depressi che hanno tendenze suicide hanno bisogno di un rapido sollievo per prevenire l’autolesionismo”, ha spiegato Michael Grunebaum, MD, ricercatore psichiatra al CUMC, che ha guidato lo studio.
“Gli antidepressivi attualmente disponibili possono essere efficaci nel ridurre i pensieri suicidari nei pazienti con depressione, ma possono richiedere settimane per avere effetto. I pazienti depressi e con tendenze suicide hanno bisogno di trattamenti che siano rapidamente efficaci nel ridurre i pensieri suicidari quando sono a più alto rischio. Attualmente, non esiste un trattamento del genere per un rapido sollievo dai pensieri suicidari nei pazienti depressi”.
La maggior parte degli studi sugli antidepressivi ha escluso i pazienti con pensieri e comportamenti suicidari, limitando i dati sull’efficacia degli aantidepressiv. Tuttavia, studi precedenti hanno dimostrato che basse dosi di ketamina, provocano una rapida riduzione dei sintomi della depressione e possono essere accompagnate da una diminuzione dei pensieri suicidari.
Gli 80 adulti con diagnosi di depressione e che presentavano pensieri suicidari clinicamente significativi arche hanno partecipato alla ricerca sono stati assegnati in modo casuale a ricevere un’infusione di ketamina a basso dosaggio o midazolam, un sedativo.
Entro 24 ore, il gruppo che ha ricevuto la ketamina ha avuto una riduzione clinicamente significativa dei pensieri suicidari che era maggiore rispetto al gruppo a cui invece è stato somministrato il midazolam. Il miglioramento dei pensieri suicidari e della depressione nel gruppo ketamina sembrava persistere fino a sei settimane.
Quelli del gruppo destinato alla ketamina hanno anche avuto un miglioramento maggiore dell’umore generale, della depressione e della stanchezza rispetto al gruppo a cui è stato assegnato il midazolam. L’effetto della ketamina sulla depressione ha rappresentato circa un terzo del suo effetto sui pensieri suicidari, suggerendo che il trattamento ha uno specifico effetto anti-suicidario.
Gli effetti collaterali, principalmente la dissociazione (sensazione di vuoto) e un aumento della pressione sanguigna durante l’infusione, sono stati da lievi a moderati e in genere si sono risolti entro pochi minuti o ore dopo la somministrazione di ketamina.
“Questo studio dimostra che la ketamina offre una promessa come trattamento ad azione rapida per ridurre i pensieri suicidari nei pazienti con depressione “, ha affermato il Dottor Grunebaum: “Ulteriori ricerche per valutare gli effetti antidepressivi e anti-suicidi della ketamina possono aprire la strada allo sviluppo di nuovi farmaci antidepressivi che agiscono più rapidamente e hanno il potenziale per aiutare le persone che non rispondono ai trattamenti attualmente disponibili”.
La ketamina ha avuto effetti benefici anche nei pazienti con diagnosi di depressione bipolare. Il disturbo bipolare è una condizione grave e debilitante in cui gli individui sperimentano gravi sbalzi di umore tra mania e depressione. Gli episodi di umore basso o elevato possono durare giorni o mesi e il rischio di suicidio è alto.
Gli antidepressivi sono comunemente prescritti per trattare o prevenire gli episodi depressivi , ma non sono universalmente efficaci. Molti pazienti continuano a sperimentare periodi di depressione anche durante il trattamento e molti pazienti devono provare diversi tipi di antidepressivi prima di trovarne uno che mitighi i sintomi di questa misteriosa patologia. Inoltre, possono essere necessarie diverse settimane di trattamento prima che un paziente inizi a provare sollievo dagli effetti del farmaco.
Per tutte queste ragioni è importante trovare nuovi trattamenti per la depressione. Uno studio pubblicato sulla rivista Biological Psychiatry, ha confermato che gli scienziati potrebbero averne trovato uno nella ketamina.
Un gruppo di ricercatori del National Institute of Mental Health, guidato dal Dr. Carlos Zarate, aveva precedentemente scoperto che una singola dose di ketamina produceva rapidi effetti antidepressivi in pazienti depressi con disturbo bipolare. Successivamente hanno replicato quella scoperta in un gruppo indipendente di pazienti con diagnosi di depressione, compreso anche il disturbo bipolare. La replica è una componente importante del metodo scientifico, poiché aiuta a garantire che la scoperta iniziale non sia casuale e possa essere ripetuta.
Durante lo studio studio, i ricercatori hanno somministrato una singola dose di ketamina e una singola dose di placebo a un gruppo di pazienti in due giorni diversi, a due settimane di distanza. I pazienti sono stati quindi attentamente monitorati e hanno ripetutamente completato le valutazioni per “segnare” i loro sintomi depressivi e pensieri suicidi.
Quando i pazienti hanno ricevuto la ketamina, i loro sintomi depressivi sono migliorati significativamente entro 40 minuti e sono rimasti stabili per 3 giorni. Complessivamente, il 79% dei pazienti è migliorato con la ketamina, ma lo 0% ha riportato un miglioramento quando ha ricevuto il placebo.
È importante sottolineare che, e per la prima volta in un gruppo di pazienti con depressione bipolare, hanno anche scoperto che la ketamina riduce significativamente i pensieri suicidari . Anche questi effetti antisuicidi si sono verificati entro un’ora. Considerando che il disturbo bipolare è uno dei più letali di tutti i disturbi psichiatrici, questi risultati dello studio potrebbero avere un impatto importante sulla salute pubblica.
“La nostra scoperta che una singola infusione di ketamina produce rapidi effetti antidepressivi e antisuicidi entro un’ora e che è abbastanza sostenuta è davvero eccitante”, ha commentato il dottor Zarate. “Pensiamo che questi risultati siano davvero importanti dato che abbiamo solo pochi trattamenti approvati per la depressione bipolare acuta, e nessuno di loro ha questa rapida insorgenza d’azione; di solito ci vogliono settimane o più per avere effetti antidepressivi paragonabili a quelli della ketamina. ”
La ketamina è un antagonista del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA), il che significa che agisce bloccando le azioni dell’NMDA. Il dottor Zarate ha aggiunto: “È importante sottolineare che la conferma che il blocco del complesso del recettore NMDA è coinvolto nella generazione di rapidi effetti antidepressivi e antisuicidi offre una strada per lo sviluppo della prossima generazione di trattamenti per la depressione che sono radicalmente diversi da quelli esistenti”.
La Dottoressa Renata Dal Palù ha raccontato della sua esperienza con i pazienti colpiti da disturbo bipolare: “La mia esperienza è decisamente traumatizzante. Sia io che mio marito siamo medici. Mio marito all’epoca era direttore di una clinica universitaria (Clinica Medica 1ª). Nella stessa clinica lavoravo anch’io come aiuto corresponsabile: era una medicina al top, d’avanguardia. Quando mio figlio si è ammalato ci siamo imbattuti in una disciplina, la psichiatria, di cui non sapevamo nulla.
Quello che ci ha più colpito è stato il fatto di trovarci di fronte a persone che non sembravano nostri colleghi, ma piuttosto psicologi, sociologi, filosofi. Questo ci ha molto disorientato. Noi chiedevamo una diagnosi e loro non volevano o non sapevano farla. Chiedevamo per quale ragione venivano dati i vari farmaci e le risposte erano evasive e insoddisfacenti.
Tra l’altro, ci siamo resi conto subito, nel corso del primo ricovero di mio figlio, che i farmaci usati in psichiatria possono provocare effetti collaterali molto importanti, per esempio sbalzi pressori, blocchi della peristalsi intestinale, ritenzione urinaria etc.
In ogni reparto, questi sono dati controllati ogni giorno, cioè quotidianamente al paziente viene misuratala pressione arteriosa ,la diuresi, si prende il polso, si chiede com’è l’alvo, etc. Tutto questo non veniva fatto, anche se mio figlio era trattato con farmaci potenti. Mi sono rivolta ad un’infermiera e ho chiesto: “Scusi, ha misurato la pressione?”. Lei si è molto stupita che io interferissi sul suo operato.
Comunque ho preso il mio apparecchio della PA e ho misurato la pressione a mio figlio: era 220 su 120 mmHg, cioè un livello pericoloso: la frequenza cardiaca era elevata; mio figlio non ragionava più, gli avevano dato tutto e il contrario di tutto, neurolettici, che abbassano l’umore e, contemporaneamente, antidepressivi, che lo alzano, entrambi i farmaci a dosi elevate, e senza controllare i parametri vitali.
Esasperata, mi sono rivolta al primario e gli ho detto: “Senti, io vorrei vedere, per piacere, la grafica, sono una collega”. La grafica è dove vengono registrati i farmaci somministrati (o sospesi), la pressione, gli esami fatti, l’alvo, la diuresi. “La voglio vedere”, ho insistito. Era sconvolto all’idea e non me l’ha fatta vedere. Ho portato via mio figlio. Per fortuna mi è stata data l’ indicazione giusta, l’ho portato a Roma al centro Bini diretto dal prof. Koukopoulos, e in 15 giorni, con la terapia corretta, mio figlio è stato riequilibrato.
Il grande problema della psichiatria è che da 30 anni esistono farmaci che vanno senz’altro considerati salvavita, ma che purtroppo non sempre vengono usati al meglio; in molti casi non c’è sufficiente preparazione, cultura, capacità di saperli usare.
Cioè se una persona ha uno scompenso cardiaco, e devo usare la digitale, so che se la uso ad un dosaggio troppo basso, quella persona può morire per scompenso cardiaco ma se la uso ad un dosaggio troppo elevato, posso provocare una fibrillazione ventricolare e può ugualmente morire. Così è per molti farmaci che abitualmente usiamo: occorre sempre fare attenzione al dosaggio.
Ecco, queste cose, in quella psichiatria, in quel luogo, in quel momento, non le sapevano o comunque non le tenevano nel debito conto. Questo ci ha sconvolto.
Purtroppo mio figlio è stato colpito da questa malattia nella sua forma più grave (si parla di “disturbo bipolare di tipo I”). Come tutti i bipolari inoltre non accettava di essere ammalato per cui buttava via i farmaci. È stata una tragedia.
È in generale difficile ottenere la compliance, ovvero la fiducia, la collaborazione, di questi pazienti, che infatti tendono a non curarsi. Così è stato anche nel caso di mio figlio, che ha eliminato i farmaci e quindi ha tentato di nuovo il suicidio.
A quel punto ci siamo recati in un centro più vicino, a Pisa, dove il Professor Cassano con la sua notevole esperienza, è riuscito a riequilibrarlo nuovamente.
A quel punto ho capito che non dovevo più mollare mio figlio, nel senso che i farmaci dovevo darglieli io; ed essendo necessario somministrali mattina e sera dovevo essere sempre con lui. Non era immaginabile, in questa ottica, andare in vacanza per 10 giorni, o a un congresso. E così ho rinunciato a tutto, non c’era alternativa.
Con la somministrazione adeguata e monitorata dei farmaci, siamo arrivati a quella che è la dose minima efficace, la dose “ad personam”, che è molto più bassa di quella di partenza. Comunque, per due medici che avevano passato la loro vita all’Università, convinti che se qualcosa non era di loro competenza, c’era un collega specialista che forniva tutte le spiegazioni, trovarci in questa situazione è stato molto traumatizzante ,cioè trovarci di fronte a colleghi che non ci davano alcuna spiegazione(fino al momento in cui siamo approdati a Roma e a Pisa).
Ci sono alcuni centri, nel nostro Paese, che sono ad alto livello. Purtroppo, altrove la situazione è drammatica. Oserei dire che molti psichiatri nostrani hanno difficoltà ad usare correttamente i farmaci psicoattivi.
La depressione bipolare è nota anche come disturbo bipolare. Una volta si usava un termine più stigmatizzante: malattia maniaco-depressiva. E’ una malattia che insorge quasi sempre intorno ai 20 anni (ma può insorgere anche intorno ai 15) e può presentarsi via via con meno probabilità fino ai 40 anni. Dopo i 40 anni è raro che possa esordire.
Può esordire anche in maniera subdola, lenta, sembra semplicemente un disadattamento, un disagio, una non capacità di confrontarsi con gli altri, un modo di comportarsi che può apparire spesso segno di superficialità e megalomania, di scarsa considerazione degli altri; tutti atteggiamenti che fanno sì che la persona venga allontanata dagli altri, e però non impara mai, continua a commettere gli stessi errori.
Spesso sono persone che hanno qualità straordinarie, per cui in certi settori(soprattutto artistici) eccellono. Tant’è che ci si chiede: “Ma com’è possibile che una persona capace di essere così speciale, adesso si comporta in questo modo, senza alcuna autocritica, alcuna razionalità?”.
Sono persone che riescono anche a trascinare, a sedurre gli altri, portandoli ad affrontare progetti bellissimi, dopodiché, improvvisamente, se ne disinteressano, e lasciano chi li ha seguiti sperduti, senza una guida. Quando invece il disturbo è più lieve, si parla di “disturbo bipolare III”. Ma, come ho già detto, il D.B. può insorgere anche in modo violentissimo, e a quel punto è incompatibile con la vita.
Nel senso che il paziente tenta spesso di uccidersi, e purtroppo molte volte ci riesce. Passare dalle stelle alle stalle, cioè dalla fase euforica, maniacale, alla fase depressiva può essere atroce e se il malato l’ha provato solo un’altra volta, questo passaggio terribile, cioè di sentirsi forte, pieno di vita, pieno di sicurezza, di capacità di dominio sugli altri, e poi vedersi invece ridotto a niente; se l’ha provato una volta, non lo tollera più la seconda, e appena sente che sta arrivando la depressione, tenta di togliersi la vita.
La depressione bipolare è perciò incompatibile con la vita per questa ragione, ma a volte purtroppo questa malattia è incompatibile con la vita anche perché nei momenti di esaltazione il malato può diventare imprudente e affronta con incoscienza imprese pericolose; può’ diventare aggressivo. Non parlo soltanto di aggressività verbale, a volte si può arrivare all’aggressione fisica. Nella fase di eccitazione maniacale chi soffre di questa malattia può commettere vari reati e rovinarsi per tutta la vita, fino a ritrovarsi in quei manicomi criminali che sono così tristemente noti.
Nel caso di mio figlio l’avvisaglia è stata un evidente decadimento nel rendimento scolastico. Lui, che era sempre stato bravo a scuola, tra l’altro con estrema facilità, senza impegnarsi molto, ha superato gli esami di maturità con difficoltà. Subito dopo ha fatto l’esame di ammissione alla facoltà di Medicina: è arrivato ultimo. Non riusciva più a concentrarsi nello studio, era preso continuamente da centomila pensieri, che giravano, giravano vorticosamente, senza che riuscisse a fermarli. Questo ovviamente ci aveva lasciati stupefatti e increduli.
Durante l’estate, poi, si sentiva così male, che è ricorso (come accade frequentemente in questi casi) all’autoterapia. Pensava di sentirsi bene prendendo l’ecstasy, che lo “tirava su” quando si sentiva troppo depresso. E questa è stata benzina sul fuoco: la situazione è peggiorata. Così siamo arrivati a settembre.
Lui, che amava il cinema, che spesso frequentava i cineforum, era stato assunto nello staff della stampa alla Biennale del Cinema a Venezia, ma non riusciva neanche a scrivere “Ore 17, conferenza stampa di Nicholson”. Scriveva tutto sbagliato, per cui il capo-ufficio stampa mi ha chiamato e mi ha detto: “Ma, Renata, cosa sta succedendo?”. Poi una sera siamo andati a cena fuori, e sempre il capo-ufficio stampa ha chiesto a mio figlio: “Qual è l’attore che ti è piaciuto di più?”, “Mah… Fellini”, “Come Fellini, ma Fellini è un regista. Cosa dici?”, “No, non è vero, non è un regista, è un attore”. Quindi un disorientamento totale. E poi, subito dopo, ha tentato il suicidio.
L’esordio che ha avuto mio figlio è stato di quelli fulminanti, come nel disturbo bipolare di tipo I, in cui si osserva, oltre allo squilibrio dell’umore (momenti di grande eccitazione e momenti di grande depressione), anche la confusione mentale. Mio figlio ha esordito proprio con la confusione mentale, che può aggravarsi in deliri e allucinazioni.
Ora, quando questi malati vengono visti da psichiatri poco esperti, il risultato è che vengono imbottiti di farmaci neurolettici; il paziente si riduce all’imbambolamento, ad una vita quasi vegetale. Questo è quel che capita, purtroppo, a molti di questi malati.
Bisogna sapere che c’è una variante del disturbo bipolare grave, in cui si manifestano poche fasi maniacali, e invece prevale la depressione, ma una depressione che non è soltanto rallentamento del pensiero, ma anche dello stato fisico: il paziente ha le spalle reclinate, la testa reclinata, non esce di casa, non ha fame, non riesce ad alzarsi dalla sedia, sta spesso disteso a letto. C’è un rallentamento anche della peristalsi intestinale con conseguente stipsi.
In generale, l’intero organismo è rallentato, c’è ipersonnia, dormirebbe sempre, al contrario della fase maniacale in cui il paziente non dormirebbe mai. Cioè nella fase “up” queste persone sono talmente sicure di sé, sprezzanti degli altri, inclini alle battute feroci, che diventano poco sopportabili e la reazione degli altri si fa sentire quando sono deboli e fragili cioè nella depressione; inoltre se fanno qualcosa di bello, qualcosa per cui gli atri potrebbero essere loro grati per tutta la vita, con un comportamento all’opposto, lo distruggono.Sono autodistruttivi.
Apro solo una parentesi per dire che a soffrire di questa patologia sono stati anche grandi attori, pittori, scrittori, musicisti perché queste persone frequentemente sono straordinari nell’attività artistica, ovviamente quando la malattia non è alla sua massima gravità, ma concede una pausa o sono in quel periodo straordinario che difficilmente chi non conosce questa malattia può immaginare, l’ipomania.
Molti di questi artisti purtroppo hanno concluso la loro vita con un suicidio (Virginia Woolf, Schuman, lord Byron, ecc.). La fase di maniacalità è distruttiva e allontana da questi malati anche chi vorrebbe aiutarli, portandoli all’isolamento.
Se il disturbo bipolare è di lieve e media entità, i farmaci possono non essere necessari. Può essere efficace la psicoterapia, ma quella comportamentale, non la psicoanalisi. Va detto che in un primo momento il paziente la rifiuta, perché vorrebbe parlare parlare parlare, invece la psicoterapia comportamentale ti dice: “Bene, adesso ci troviamo di fronte a questa situazione, mi pare che l’unica strada sia questa. La tentiamo, insieme, cioè tu provi a fare così: con calma, cerchiamo di eliminare tutti gli altri problemi, facciamo solo questo…”.
Cioè la psicoterapia comportamentale ti dà compiti precisi, semplici, ma nella fase iniziale queste persone sono in preda al caos, per cui non sono disponibili a seguire questi consigli. Allora è necessario rimandare la psicoterapia a un secondo momento, quando il paziente è stato riequilibrato farmacologicamente.
All’inizio è molto importante dire: “Lei ha questa malattia, deve cambiare stile di vita”. Cosa vuol dire “cambiare stile di vita”? Vuol dire andare a letto sempre alla stessa ora, dormire come minimo otto ore, rispettare rigorosamente il ritmo sonno-veglia, anche a costo, all’inizio, di indurre il sonno con qualche farmaco (e a volte basta solo quello per riequilibrare un paziente bipolare di lieve entità).
E ancora si dice e si insiste: “Lei, l’alcool, lo deve eliminare. Deve eliminare tutte le sostanze eccitanti, perché se prende un caffè, è come se una persona senza D.B. ne prendesse dieci, e questo vale anche per la coca cola (che contiene caffeina), il the, la nicotina…”. E poi, cosa ancor più difficile, devi spiegare: “Guardi che lei, se si trova ad affrontare emozioni forti, non regge, perché le emozioni creano uno squilibrio nel sistema regolatore cerebrale serotonina-dopamina, per cui rischia di andare in uno stato di eccitazione seguito poi dalla depressione. Lei deve evitare le emozioni forti”.
Figurarsi! E’ come prospettare a questo individuo la morte! Rispondono: “Ma come, cosa vuol dire? Ma io cerco sempre e soltanto di innamorarmi, io cerco sempre e soltanto emozioni, io se non posso andare in montagna e fare scalate che pochi vogliono affrontare, non me ne frega niente… ma come? Mi metto in pantofole!?!”. È molto difficile. Infatti, di solito non ti ascoltano. E ritornano in una fase successiva, in cui stanno ancora peggio. Ma non ti ascoltano ancora.
Sapessi com’è difficile… e così poi arrivano a quella fase in cui è ancor più difficile curarli .In pratica, bisogna al più presto cominciare con gli stabilizzatori dell’umore. È quello il farmaco più adatto. Non si devono usare fin dall’inizio (a meno che non sia assolutamente necessario) neurolettici, antipsicotici, e tanto meno, oppure con molta attenzione, si devono dare gli antidepressivi.
Gli antidepressivi possono anche aiutarli, nella fase della depressione, ma dopo un po’ di tempo possono portarli allo switch, cioè alla fase maniacale, e allora, se continuano a prendere l’antidepressivo, è molto difficile recuperarli.
Per quanto riguarda gli stabilizzatori dell’umore, il più antico, conosciuto anche dagli antichi greci, è il Litio, che continua a essere il farmaco meno dannoso, perché è un sale minerale, qualcosa che abbiamo già in natura, ha perciò pochi effetti collaterali, tanto più che oggi non si usano più le alte dosi di una volta (fino a 2000 mg), ma dosi minori (circa 700 mg).
Il Litio ha un forte effetto stabilizzante dell’umore, e può essere associato ad altri farmaci stabilizzanti, anch’essi a basso dosaggio. Si preferisce cioè associare due farmaci a basso dosaggio piuttosto che un solo farmaco ad alto dosaggio, perché così si riducono gli effetti collaterali.
Non è accettabile che ci sia un’ignoranza tale, tra tutti i medici (e parlo anche per noi): bisogna, cioè, che si diffonda una maggior conoscenza delle patologie psichiatriche e in particolare di questa malattia, il disturbo bipolare, che è molto diffusa. Il disturbo bipolare è la malattia mentale più diffusa, complessivamente colpisce il 10% della popolazione, nelle forme gravi intorno al 3% della popolazione.
Sono percentuali fornite dalle più importanti ricerche epidemiologiche. In una città di 300.000 abitanti, possiamo ipotizzare che il 3% della popolazione (cioè 9000 persone) sia grave, cioè incompatibile con una vita normale. Ma allora come mai, secondo i dati epidemiologici forniti dalla Regione, vengono curate poche centinaia di persone dai servizi psichiatrici pubblici?
Il fatto è che la malattia mentale, come è risaputo, è vittima di un grave stigma, per cui varcare le porte della psichiatria pubblica è traumatizzante; vanno nelle cliniche private, che sono strapiene. Ma questo vuol dire dissanguare le famiglie. Oppure si ricorre allo psichiatra privato, di nascosto, che li vede una o due volte la settimana: 150 euro, 200 euro… Sai cosa vuol dire per le famiglie con poche possibilità economiche?
La rovina, perché una volta che lo psichiatra è riuscito ad agganciare il ragazzo, questi non vuol più staccarsene, quindi la famiglia è disperata, perché non ha soldi e deve continuare a pagare.
Ho detto che non vanno al servizio pubblico per lo stigma, però si potrebbe obiettare che andare nelle case di cura private non è così diverso, perché tutti sanno che sono residenze per malattie mentali, nonostante i nomi “Villa Serenità”, “Parco dei fiori”, “Villa Sole”, in cui la parola “psichiatria” non appare. Allora perché lì lo superano, lo stigma? La risposta è che nel privato la situazione logistica e di accoglienza è completamente diversa.
Cioè queste cliniche sono degli alberghi, dove il cibo è buono, gli infermieri gentili, i medici sempre presenti. I malati hanno la loro stanza, col loro bagno, i familiari possono andarci molto spesso, è tutta un’altra cosa. Purtroppo, come s’è già detto, spesso i farmaci non li sanno usare bene né nel pubblico né nel privato, ma almeno in quelle cliniche sono coccolati, c’è un bel giardino, un posto all’aperto. Nei nostri ospedali non ci sono giardini, ci sono solo stanze di cui purtroppo ancora molte con le sbarre.
Quando mio figlio si è ammalato, io ho lasciato tutto, la clinica, l’attività professionale, ma io avevo le possibilità per farlo; ho avuto, nella mia sfortuna, la fortuna di poterlo fare. Non è così per tutti. Quando si parla di nuove povertà, sono queste: trovarsi con un figlio ammalato e nessuno che ti aiuta. Si è più aiutati con un figlio down, o autistico, o paraplegico.
L’unica strada mi sembra resti quella che Basaglia aveva previsto, cioè la psichiatria di territorio, solo che bisogna farla con molto rigore. Psichiatria di territorio significa che lo psichiatra -non l’assistente sociale o l’infermiere! – si reca nell’abitazione dell’ammalato e comincia a parlarci, a convincerlo, a dargli la prima terapia.
Se il paziente non si lascia convincere, si può ricorrere a quello strumento che è il TSO, vale a dire al “trattamento sanitario obbligatorio” (cui peraltro è raro si debba arrivare). Purtroppo invece è difficile che gli psichiatri vadano a domicilio, stanno più volentieri nei loro studi, dove incontrano i pazienti che poi rivedranno dopo 20 o 30 giorni.Ma questa non è medicina di territorio…
Questi malati vanno seguiti pressoché quotidianamente nella fase iniziale, a casa o in day-hospital o nei Centri Diurni; e se per caso il paziente non si fa trovare, nonostante l’appuntamento, va chiamata l’Unità mobile che lo cerchi perché queste persone possono diventare pericolose per sé e per gli altri, se non controllate farmacologicamente.
Comunque, per fortuna, situazioni di questo genere si verificano di rado perché se si riesce a individuare la terapia giusta, loro sentono che stanno bene e non appena cominciano a star bene, ritornano a una vita normale, fatta di progetti, di affetti, di lavoro.
Quanto al ricovero ospedaliero, è per lo più non necessario, va riservato ai momenti di acuzie della malattia. Da quando nostro figlio viene curato adeguatamente, non ha più avuto crisi, e ciò da circa dieci anni. Non ha più visto una clinica, non ha più parlato di suicidio, sta studiando, certo con difficoltà perché è stato colpito in forma grave e quindi i farmaci che prende non sono leggeri. Però riesce a studiare, a lavorare al computer, e sta facendo i suoi progetti.
Alla fine quello che conta è che una persona non stia male, non soffra, se poi non diventa un avvocato, un manager, uno che guadagna tanti soldi, che importanza ha? Sono assolutamente da evitare lavori non adatti a loro, ripetitivi, impiegatizi o addirittura umilianti e spesso per pochi euro: il risultato non è mai terapeutico ma solo dannoso e spesso con gravi conseguenze.
Cosa succederà quando noi non ci saremo più? Non dobbiamo pensarci. Speriamo sempre che succeda qualcosa, che escano farmaci più attivi e senza effetti collaterali. Anni fa è uscito un farmaco straordinario, che ha salvato tanta gente. Il corrispettivo della penicillina in psichiatria è stata la clozapina.
Ora c’è l’aripiprazolo, che non ha più gli effetti collaterali della clozapina, ed è molto maneggevole. Però ad alcuni fa effetto, ad altri no. Le neuroscienze sono in un momento di grande effervescenza; le scoperte sono continue. A noi non resta che sperare, e basta.
Ho imparato tante cose in questi anni; ignoravo totalmente questo aspetto della medicina. Quando vivi esperienze di questo genere sulla tua pelle, non resta che darsi da fare; capisci, senza alcun dubbio, che è una questione di vita o di morte. E allora impari e molto velocemente”.