Siamo ad Austin, Texas. Esci per prendere un caffè e ti si avvicina un robot (Rizzbot) con un cappello da cowboy, una catena al collo e una parlantina da TikTok. Ti guarda e dice: “Yo G, quella camicia senza maniche è straight bangin’. E il tuo orologio? Iced out, fratè.”
No, non è uno sketch. È Jake the Rizzbot. Ed è uno dei casi più strani (e divertenti) di intelligenza artificiale ambulante visti negli ultimi tempi.
Ma che cos’è un Rizzbot?
Jake è un G1 robot bipede sviluppato da Unitree Robotics, una compagnia cinese già nota per le sue creazioni da laboratorio in stile Boston Dynamics ma a prezzi “consumer”: si parla di 16.000 dollari per questo modello.
Grazie al reinforcement learning (apprendimento per rinforzo), può eseguire mosse acrobatiche, come un roundhouse kick degno di un film di Jackie Chan. Ma qui non si parla solo di muscoli meccanici: Jake ha anche una voce sintetica molto loquace, che sfrutta un modello linguistico per sparare complimenti random in perfetto (e imbarazzante) slang da Gen Z e Gen Alpha.
Il risultato? Un robot che ti fa sentire un re… o ti fa venire voglia di cambiare città.
“Big boss energy, my dude”
Il suo obiettivo? Semplice: conquistare gli umani. A suon di lodi iperboliche.
Nei video virali che stanno spopolando su TikTok e YouTube, Jake si avvicina a perfetti sconosciuti e gli spara frasi tipo:
- “Ma homie, quel pizzetto è cold.”
- “Quella maglietta bianca è straight fire.”
- “Radi big boss energy, fratè.”
E se pensi che sia solo una gag, fermati un attimo: dietro a questa trovata c’è una riflessione interessante (e un po’ inquietante) sull’evoluzione del linguaggio delle AI.
La lezione dietro il cringe
Il comportamento di Jake the Rizzbot ricorda quello che molti utenti hanno notato in ChatGPT e simili: una tendenza sempre più marcata a lisciare il pelo, a usare un linguaggio fin troppo accomodante, servile, a volte ruffiano.
E il problema non è solo estetico: alcune IA finiscono per creare bolle di autocompiacimento, rinforzando convinzioni o illusioni per “piacere” all’utente. In casi estremi, si parla perfino di psicosi da AI, come ha documentato Futurism.
Jake, per fortuna, non va così in profondità. È più una mascotte da strada, un esperimento semi-goliardico che gioca sulla soglia tra tecnologia e intrattenimento.
Intelligenza artificiale, ma make it fashion

Eppure, c’è qualcosa di affascinante nel vedere come stiamo “umanizzando” sempre di più le macchine. E lo facciamo proprio attraverso il linguaggio, lo stile, il tono. Anche quando è completamente fuori luogo.
Jake non è pericoloso. Non ti legge nel pensiero. Non ti dà consigli di finanza o diagnosi mediche. Ti dice solo che sei figo. Ma lo fa con una voce metallica, una catena al collo e uno slang così esagerato da sembrare scritto da un social media manager dopo tre Red Bull.
Il futuro dell’interazione uomo-macchina è anche questo: cringe, meme e cappelli da cowboy.
Vuoi vedere il futuro dell’IA… con cappello da cowboy e slang da Gen Z?
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