Molte isole che vedi nel mezzo dell’oceano non sono solo vulcani nati da magma profondo. Una parte di esse arriva da frammenti di continenti antichissimi, staccati dalla loro base e trascinati nel mantello per distanze enormi. Questa conclusione arriva da uno studio pubblicato su Nature Geoscience e guidato dall’Università di Southampton insieme al centro tedesco GFZ Helmholtz di Potsdam. È un risultato che riscrive una pagina importante della geologia moderna, perché la presenza di materiale continentale negli oceani era un enigma aperto da decenni.
Perché il mantello oceanico contiene elementi continentali
I geologi sapevano che il mantello sotto alcune isole oceaniche contiene elementi chimici più vicini alla crosta continentale che a quella oceanica. Questa contaminazione appariva senza una vera spiegazione. Non era chiaro come pezzi di continente potessero finire sotto regioni lontane migliaia di chilometri dalle coste. Le analisi delle rocce indicavano una firma chimica anomala, difficilmente compatibile con il semplice rimescolamento del mantello terrestre.
Cosa succede quando un continente si frammenta

La nuova ricerca introduce un concetto chiave: i continenti non si separano solo in superficie. La divisione avviene anche alla loro base, tra 150 e 200 chilometri di profondità. Quando due placche si allontanano, una zona instabile si forma proprio sotto la radice continentale. Questa instabilità agisce come una frattura lenta e costante. La parte più profonda del continente, fatta di rocce molto dense, può staccarsi in blocchi. Non parliamo di lastre enormi che si muovono velocemente. Il processo è talmente lento che i ricercatori lo hanno paragonato a un milionesimo della velocità di una lumaca.
Come viaggiano i frammenti nelle profondità della Terra
Una volta staccati, questi blocchi continentali iniziano un viaggio laterale nel mantello. Lì vengono trascinati per centinaia di chilometri, anche fino a 1.000 km dalla loro posizione originale. È un percorso che dura milioni di anni, fisicamente invisibile in superficie, ma decisivo per capire l’origine delle isole oceaniche. Questi frammenti restano intrappolati nelle zone calde del mantello finché non vengono raggiunti da colonne di magma che li fondono parzialmente. Il materiale prodotto sale attraverso le dorsali e alimenta nuovi vulcani.
Da dove arrivano davvero i materiali delle isole vulcaniche
Quando il magma sale verso la superficie trasporta con sé i resti di quei blocchi continentali. Il risultato è una miscela: parte del materiale è oceanico, parte è continentale. Ecco perché isole come le Hawaii e altre catene vulcaniche mostrano tracce chimiche che non dovrebbero esistere in quell’ambiente. Fino ad oggi non c’era un modello in grado di spiegare questo comportamento. Lo studio di Southampton e Potsdam chiude il cerchio e fornisce un percorso fisico preciso.
Perché questo modello funziona meglio dei precedenti
Le ipotesi più vecchie parlavano di micro-continenti sommersi o di frammenti rimasti intrappolati nel mantello durante l’apertura degli oceani. Il limite era sempre lo stesso: nessuna spiegazione rendeva conto delle distanze. La nuova teoria introduce un movimento profondo e orizzontale dei continenti. Non si tratta solo di spaccature in superficie, ma di un distacco alla base, molto più profondo e molto più esteso. Questa dinamica è coerente con i dati sismici, con le analisi chimiche e con i modelli numerici utilizzati nel nuovo studio.
Il ruolo delle instabilità alla base dei continenti

Il processo parte da un’onda di instabilità che si forma quando i continenti si allontanano. Questa onda si propaga nella parte inferiore della litosfera, una zona densa e rigida. La propagazione è lentissima, ma continua nel tempo. È come se la base del continente venisse tirata fino a spezzarsi in piccoli blocchi. Ciò rende possibile un trasferimento profondo di materiale verso regioni remote del mantello oceanico. È un meccanismo che, una volta avviato, può proseguire per decine di milioni di anni.
Collegamento con le eruzioni di diamanti
Lo stesso processo che trasporta i frammenti continentali può spiegare anche le eruzioni di diamanti, cioè le kimberliti che portano in superficie queste pietre preziose. Le kimberliti sono legate a movimenti profondi del mantello e spesso contengono resti di materiali molto antichi. La base dei continenti è ricca di diamanti perché sono rocce sottoposte a pressioni altissime. Se queste rocce profonde vengono trascinate nel mantello e poi incontrano un flusso magmatico violento, finiscono in superficie. Il collegamento tra isole oceaniche e kimberliti suggerisce che molti fenomeni geologici, considerati separati, condividono in realtà lo stesso motore.
Quanto cambia la lettura della storia geologica

Il quadro che emerge porta a rivedere molte ricostruzioni sui movimenti dei continenti. La geologia classica si concentra sulle placche come entità rigide che si spaccano e si muovono. Il nuovo modello introduce invece una dimensione più complessa, in cui la base dei continenti si comporta in modo diverso dalla superficie. Capire come si muovono questi frammenti aiuta anche a ricostruire antiche geografie oggi scomparse e a interpretare meglio le anomalie chimiche presenti nelle rocce oceaniche.
Cosa significa per il futuro della ricerca
Le prossime analisi puntano a individuare altri punti del pianeta dove potrebbero esistere tracce di questi frammenti. Le moderne tecniche sismiche permettono di vedere il mantello con maggiore precisione rispetto al passato. Se nuovi studi confermeranno questo meccanismo, molte isole oceaniche dovranno essere rilette come capitoli staccati dei continenti, trasportati lentamente e poi riciclati nei processi vulcanici che modellano la superficie terrestre.