Un recente studio pubblicato su JAMA Neurology da parte dell’Università della Pennsylvania lancia un nuovo allarme: vivere anche solo un anno in aree ad alta concentrazione di inquinamento atmosferico può peggiorare i sintomi del morbo di Alzheimer.

Lo studio su 600 persone con Alzheimer
I ricercatori hanno analizzato i tessuti cerebrali di oltre 600 persone con Alzheimer, confrontando i dati con le concentrazioni di PM2.5 (polveri sottili) nei luoghi dove abitavano. Il risultato? Un incremento di appena 1 microgrammo per metro cubo di particolato fine nell’aria corrisponde a un 19% di aumento del rischio di accumulo delle proteine tossiche associate all’Alzheimer: le famose placche amiloidi e i grovigli di tau.

Non solo. Chi viveva in zone più inquinate mostrava anche un declino cognitivo più rapido: perdita di memoria, difficoltà nel linguaggio, giudizio compromesso e problemi nelle attività quotidiane.
“Non si tratta solo di un aumento del rischio di demenza. L’inquinamento peggiora attivamente l’Alzheimer,” ha dichiarato il neurologo Edward Lee, co-direttore del Penn’s Institute on Aging.
Inquinamento e cervello: un legame sottovalutato
Il particolato fine (PM2.5) è presente nel fumo degli incendi, nei gas di scarico, nella combustione industriale e nei cantieri. Le sue particelle sono talmente piccole da penetrare nel sangue e raggiungere il cervello.
Già in passato si era parlato del legame tra inquinamento e declino cognitivo, ma è la prima volta che uno studio post-mortem mostra un effetto così diretto sulla gravità dell’Alzheimer.

I ricercatori hanno usato dati satellitari e centraline locali per stimare l’esposizione ambientale, ma riconoscono che non è stato possibile valutare l’impatto di fonti individuali, come il fumo passivo in casa o l’esposizione a sostanze chimiche sul lavoro.
Perché è importante?
Nonostante i livelli di inquinamento negli Stati Uniti siano tra i più bassi degli ultimi decenni, lo studio evidenzia che basta un anno in un’area inquinata per accelerare il declino cerebrale. Una conferma ulteriore dell’importanza della giustizia ambientale e della prevenzione su base territoriale.
Lo studio è stato finanziato dai National Institutes of Health e dal National Institute of Environmental Health Sciences.