Un gruppo di ricerca europeo dell’Università di Valladolid e dall’Università nazionale d’Irlanda a Galway, che ha visto la partecipazione dell’Università di Milano-Bicocca sta studiando ad un idrogel iniettabile, che si basa su una famiglia di biomateriali creati proprio per la medicina rigenerativa, che potrebbe essere utile per prevenire e riparare i danni al cuore dopo un infarto.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine.
Infarto: come funziona l’idrogel iniettabile
Abhay Pandit, ricercatore a capo del progetto, ha dichiarato: ” L’idrogel è stato sviluppato per imitare l’ambiente intorno al cuore a seguito di un infarto e quindi personalizzato per avere la capacità di proteggere e promuovere la rigenerazione del tessuto cardiaco“. La terapia, una volta somministrata, ha permesso a una minore fibrosi (la cicatrizzazione del tessuto cardiaco) e a un aumento della generazione di nuovi vasi sanguigni nell’area.
Gli studiosi sono riusciti anche ad osservare l’aumento della conservazione e della sopravvivenza nella zona interessata all’impiego dell’idrogel, dei cardiomiociti, un tipo di cellula che consente al cuore di svolgere il suo lavoro.
La cardiopatia ischemica è una delle principali cause di mortalità a causa di danni irreversibili al muscolo cardiaco. Gli idrogel acellulari hanno mostrato risultati promettenti nel migliorare la funzione cardiaca dopo infarto miocardico in modelli animali preclinici. Trattare le cavie con un idrogel polipeptidico simile all’elastina degradabile, che imita la matrice extracellulare, riduce la fibrosi e l’angiogenesi nella regione ischemica, migliora la funzione cardiaca e mantiene l’integrità dei cardiomiociti nella zona di confine degli infarti. I risultati suggeriscono che questo idrogel può aiutare a modulare il rimodellamento cardiaco post-ischemico.
Secondo uno studio condotto dalla Società Italiana di Cardiologia, è triplicata la mortalità per infarto in Italia: a mortalità, tre volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019, è passata al 13.7% dal 4.1 %. Carmen Spaccarotella, coautrice dello studio, sotiene che l’aumento è “Dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente. Infatti, il tempo tra l’inizio dei sintomi e la riapertura della coronaria durante il periodo Covid è aumentato del 39%”.
“Questo ritardo è spesso fatale perché nel trattamento dell’infarto il tempo è un fattore cruciale”, specifica Spaccarotella. L’età media dei soggetti cardioppatici è stata di 65 anni. All’aumento della mortalità è associata una riduzione dei ricoveri per infarto superiore al 60%.