La teoria dell’immortalità quantistica non è un’affermazione sulla possibilità fisica di vivere per sempre nel senso convenzionale. Essa emerge, piuttosto, come una peculiare e controversa conseguenza logica dell’interpretazione a molti mondi (IM) della meccanica quantistica, una delle interpretazioni più radicali e affascinanti del comportamento del mondo subatomico. Per comprendere appieno questa teoria, è fondamentale addentrarsi nelle fondamenta dell’IM e nel modo in cui essa concettualizza la realtà a seguito di una misurazione quantistica.

L’emergere dell’immortalità quantistica dal T tessuto del multiverso
L’interpretazione a molti mondi, proposta originariamente da Hugh Everett III negli anni ’50, cerca di risolvere il cosiddetto “problema della misurazione” nella meccanica quantistica. Secondo la formulazione standard di Copenaghen, un sistema quantistico può esistere in una sovrapposizione di stati (descritta da una funzione d’onda) fino a quando non viene misurato. L’atto di misurazione provoca un “collasso” della funzione d’onda, forzando il sistema a scegliere uno degli stati possibili. Questo processo di collasso è sempre stato un punto problematico e misterioso della teoria quantistica.
L’interpretazione a molti mondi offre una soluzione audace: non c’è alcun collasso della funzione d’onda. Invece, ogni volta che si verifica una misurazione quantistica (o più in generale, un’interazione che porta a una decoerenza), l’universo si divide in tanti universi quanti sono gli esiti possibili di quell’evento. In ognuno di questi universi “ramificati”, si realizza uno specifico esito della misurazione, e l’osservatore si ritrova in uno di questi rami, percependo solo l’esito che si è verificato nel suo particolare universo.
Immaginiamo una particella che può avere spin su o spin giù. Secondo l’IM, quando misuriamo lo spin, l’universo si divide in due: in un universo, il risultato della misurazione è “spin su”, e in un altro universo, il risultato è “spin giù”. L’osservatore si sdoppia anch’egli, con una copia di sé stesso in ogni universo, ognuna percependo un risultato diverso. Tutti gli esiti possibili sono reali e coesistono in universi separati.

L’esperimento mentale del “suicidio quantistico”, ideato per illustrare le implicazioni estreme dell’IM, coinvolge un individuo e un dispositivo quantistico progettato per ucciderlo con una probabilità del 50% ad ogni attivazione. Il dispositivo è collegato a una misurazione quantistica con due esiti equiprobabili. Se il risultato della misurazione è uno, il dispositivo si attiva e uccide l’individuo. Se il risultato è l’altro, il dispositivo non si attiva e l’individuo sopravvive.
Consideriamo ora la prospettiva dell’individuo che si sottopone a questo esperimento ripetutamente. Ad ogni attivazione del dispositivo, secondo l’IM, l’universo si divide in due rami: uno in cui il dispositivo si è attivato e l’individuo è morto, e un altro in cui il dispositivo non si è attivato e l’individuo è sopravvissuto.La chiave della teoria dell’immortalità quantistica risiede nella coscienza dell’individuo.
Dal suo punto di vista soggettivo, egli sperimenterà solo gli universi in cui è sopravvissuto. Ogni volta che il dispositivo viene attivato, ci sarà un ramo dell’universo in cui lui è morto, ma la sua coscienza non esisterà più in quel ramo per percepirlo. Invece, la sua coscienza continuerà a esistere solo nel ramo (o nei rami) in cui è sopravvissuto.

Dopo un numero arbitrariamente elevato di tentativi, l’individuo si troverebbe ancora vivo, percependo una sequenza di risultati in cui il dispositivo non si è mai attivato. Dal suo punto di vista, sembrerebbe di essere diventato “immortale” di fronte a questo specifico pericolo quantistico. Tuttavia, è cruciale capire che questo non significa che tutte le “copie” di lui negli altri rami dell’universo siano sopravvissute. In un numero infinito di universi paralleli, le altre versioni di lui sarebbero morte.
Da un punto di vista esterno, un osservatore che guarda l’esperimento vedrebbe che in metà degli universi l’individuo muore ad ogni tentativo. Non c’è nulla di speciale o di “immortale” riguardo all’esito complessivo dell’esperimento dal punto di vista del multiverso nel suo complesso. L’immortalità quantistica è un fenomeno puramente soggettivo, una conseguenza della “selezione per sopravvivenza” operata dalla coscienza dell’individuo all’interno del panorama del multiverso.
L’intreccio inestricabile tra multiverso e soggettività
La teoria dell’immortalità quantistica non si configura come una dottrina scientifica consolidata, bensì come un audace esperimento mentale che affonda le sue radici nel terreno fertile e controverso dell’interpretazione a molti mondi (IM) della meccanica quantistica. Questa interpretazione, con la sua radicale affermazione della coesistenza di universi paralleli, fornisce il substrato concettuale da cui emerge l’idea, tanto affascinante quanto paradossale, di una potenziale “immortalità” soggettiva. Per svelare la complessità di questa teoria, è necessario esplorare in profondità le sue fondamenta nell’IM, il ruolo cruciale attribuito alla coscienza e le inevitabili conclusioni paradossali che ne derivano.

L’interpretazione a molti mondi si discosta radicalmente dalla visione più tradizionale della meccanica quantistica, in particolare per quanto concerne il processo di misurazione. Laddove l’interpretazione di Copenaghen postula un misterioso “collasso” della funzione d’onda che costringe un sistema quantistico a scegliere un singolo stato definito, l’IM propone uno scenario cosmico di ben più vasta portata. Secondo l’IM, ogni qualvolta si verifica un evento quantistico con esiti multipli e probabilistici, l’universo non collassa in un unico stato, bensì si scinde in un numero di universi paralleli pari al numero di esiti possibili.
In ciascuno di questi universi nascenti, si realizza uno specifico esito dell’evento quantistico, e tutti questi esiti coesistono simultaneamente in rami separati della realtà. L’atto di misurazione, lungi dal forzare una singola realtà, funge da punto di biforcazione cosmica. L’osservatore stesso, coinvolto nell’interazione quantistica, si ritrova “diviso” in copie di sé stesso, ognuna residente in uno dei nuovi universi e percepente un esito differente.
Consideriamo nuovamente l’esempio di una particella con spin quantistico. Prima della misurazione, la particella si trova in una sovrapposizione di “spin su” e “spin giù”. Secondo l’IM, l’atto di misurare lo spin non porta la particella ad “assumere” uno dei due stati. Invece, l’universo si divide in due: un universo in cui la misurazione rivela “spin su” e un altro in cui rivela “spin giù”. Un osservatore che effettua la misurazione si ritrova in entrambi gli universi, come due distinte “versioni” di sé stesso, ognuna ignara dell’esistenza dell’altra. Questa continua ramificazione dell’universo ad ogni interazione quantistica porta a un multiverso in costante espansione, popolato da una miriade di realtà parallele.

È in questo contesto di proliferazione universale che si inserisce il concetto di immortalità quantistica, con la coscienza individuale come elemento chiave. L’esperimento mentale del suicidio quantistico, come accennato, pone un individuo di fronte a un evento potenzialmente letale governato da un processo quantistico. Ad ogni ripetizione dell’evento, vi è una probabilità non nulla di morte.
Secondo la logica dell’IM, ad ogni esecuzione dell’esperimento, l’universo si ramifica in almeno due esiti per l’individuo: sopravvivenza e morte. La tesi centrale della teoria dell’immortalità quantistica è che, dal punto di vista soggettivo dell’individuo che si sottopone all’esperimento, egli continuerà a esistere unicamente negli universi in cui è sopravvissuto.
La sua coscienza, in qualche modo, “segue” il filo della sopravvivenza attraverso le diramazioni del multiverso. Ogni volta che si verifica l’evento quantistico, esiste un ramo (o più rami) in cui l’individuo muore. Tuttavia, la coscienza associata a quella particolare “versione” dell’individuo cessa di esistere in quel ramo. Invece, la coscienza dell’individuo continua a persistere e a sperimentare la realtà unicamente nei rami in cui l’esito è la sopravvivenza.

Immaginiamo l’individuo che attiva il dispositivo quantistico letale ripetutamente. Ad ogni tentativo, si creano universi in cui muore e universi in cui sopravvive. La sua esperienza soggettiva, tuttavia, sarà una sequenza ininterrotta di sopravvivenze. Dal suo punto di vista, sembrerà che il dispositivo non si attivi mai, anche se da una prospettiva esterna, che abbraccia l’intero multiverso, egli muore in un numero infinito di rami.
Questa prospettiva conduce a conclusioni intrinsecamente paradossali. L’individuo che si sottopone all’esperimento potrebbe percepire di essere diventato “immortale” di fronte a questo specifico pericolo quantistico, non perché abbia eluso le leggi della fisica, ma perché la sua coscienza continua a esistere solo nei rami dell’universo in cui è ancora vivo. Le innumerevoli “copie” di sé stesso che muoiono negli altri universi non fanno più parte della sua esperienza soggettiva.
È fondamentale sottolineare che questa “immortalità” non è assoluta né universale. Essa è strettamente legata a specifici eventi quantistici con esito di morte e si manifesta unicamente nella prospettiva soggettiva dell’individuo coinvolto. L’individuo rimane vulnerabile a tutte le altre cause di morte non direttamente legate a quel particolare processo quantistico.

Inoltre, la teoria solleva profonde questioni sulla natura dell’identità e della coscienza attraverso le ramificazioni del multiverso. Cosa definisce la “continuità” della coscienza attraverso le divisioni cosmiche? Siamo lo stesso individuo che “salta” da un ramo all’altro, o siamo semplicemente una sequenza di “copie” che sperimentano realtà diverse? La meccanica quantistica, nella sua attuale formulazione, non fornisce risposte definitive a questi interrogativi filosofici.
In definitiva, la teoria dell’immortalità quantistica non offre una via per sfuggire alla morte nel senso convenzionale. Essa rappresenta piuttosto un’esplorazione delle implicazioni più estreme e controintuitive dell’interpretazione a molti mondi, evidenziando come la natura probabilistica del mondo quantistico, combinata con una particolare interpretazione della realtà e della coscienza, possa condurre a scenari paradossali e profondamente stimolanti dal punto di vista concettuale.
Lungi dall’essere una teoria scientifica accettata, essa funge da potente strumento per sondare i confini della nostra comprensione della realtà quantistica e della nostra stessa esistenza.
Dal gatto di Schrödinger all’immortalità quantistica: un salto concettuale nella natura della realtà e della coscienza
L’esperimento mentale del gatto di Schrödinger, ideato da Erwin Schrödinger nel 1935, è divenuto un’icona della meccanica quantistica, illustrando in modo vivido e paradossale le implicazioni della sovrapposizione quantistica e il ruolo enigmatico della misurazione. Un gatto chiuso in una scatola con un meccanismo che ha il 50% di probabilità di rilasciare un veleno letale a seguito del decadimento di un atomo radioattivo si trova, prima dell’apertura della scatola, in uno stato di sovrapposizione: è sia vivo che morto simultaneamente.

Questa bizzarra coesistenza di stati contraddittori a livello quantistico, apparentemente non riscontrabile nel mondo macroscopico della nostra esperienza quotidiana, pone interrogativi fondamentali sulla transizione dal regno quantistico al regno classico e sul ruolo dell’osservatore.
La teoria dell’immortalità quantistica compie un salto concettuale audace, estendendo il principio della sovrapposizione e le sue conseguenze, come interpretate dall’interpretazione a molti mondi (IM), fino a includere la coscienza e la sopravvivenza di un osservatore. Mentre il gatto di Schrödinger si trova in una sovrapposizione di stati vitali, l’immortalità quantistica suggerisce che anche la coscienza di un individuo coinvolto in un evento quantistico con esito di morte potrebbe persistere attraverso le ramificazioni del multiverso, sperimentando solo gli esiti di sopravvivenza.
Il cuore dell’esperimento del gatto di Schrödinger risiede nel principio di sovrapposizione. Un sistema quantistico può esistere in una combinazione lineare di più stati possibili contemporaneamente. L’atomo radioattivo nella scatola si trova in una sovrapposizione di “decaduto” e “non decaduto”. Poiché il destino del gatto è entangled con lo stato dell’atomo (se decade, il gatto muore; se non decade, il gatto vive), anche il gatto si ritrova in uno stato di sovrapposizione di “vivo e morto”.

È l’atto di aprire la scatola, ovvero l’atto di misurazione da parte di un osservatore esterno, che apparentemente “collassa” la funzione d’onda del sistema, forzando il gatto a trovarsi in uno stato definito: vivo o morto. L’interpretazione a molti mondi offre una prospettiva radicalmente diversa su questo processo. Invece di un collasso, l’IM postula che l’universo si divide in due rami distinti al momento della misurazione. In un ramo, l’atomo è decaduto e il gatto è morto; nell’altro ramo, l’atomo non è decaduto e il gatto è vivo. L’osservatore stesso si “sdoppia”, con una versione di sé stesso in ciascun ramo, ognuna percependo un esito differente.
La teoria dell’immortalità quantistica porta questa logica alle sue estreme conseguenze, applicandola a uno scenario in cui l’esito dell’evento quantistico è la vita o la morte di un osservatore cosciente. L’esperimento del suicidio quantistico, come discusso precedentemente, immagina un individuo di fronte a un dispositivo letale azionato da un processo quantistico con una probabilità di morte.
Analogamente al gatto di Schrödinger, prima dell’esito dell’esperimento, l’individuo e il sistema quantistico (e potenzialmente l’intero universo) si trovano in una sorta di “sovrapposizione” di stati futuri: un futuro in cui l’individuo è vivo e un futuro in cui è morto. Secondo l’IM, entrambi questi futuri si realizzano in rami separati dell’universo.

La tesi cruciale dell’immortalità quantistica è che la coscienza dell’individuo, al momento della “misurazione” (ovvero, l’attivazione del dispositivo), continuerà a esistere solo nel ramo dell’universo in cui è sopravvissuto. La coscienza associata alla “versione” dell’individuo nel ramo in cui è morto cessa di esistere con la sua morte. Pertanto, dal punto di vista soggettivo dell’individuo che si sottopone ripetutamente all’esperimento, egli sperimenterà una sequenza ininterrotta di sopravvivenze, proprio come se il gatto di Schrödinger percepisse di essere sempre vivo nel ramo dell’universo in cui sopravvive.
In conclusione, la teoria dell’immortalità quantistica può essere vista come un’estensione radicale e speculativa delle implicazioni concettuali sollevate dall’esperimento del gatto di Schrödinger. Entrambi gli esperimenti mentali ci costringono a confrontarci con la natura controintuitiva della meccanica quantistica e con le profonde domande sulla natura della realtà, della coscienza e del nostro posto in un universo che potrebbe essere molto più strano e ramificato di quanto la nostra intuizione classica ci porti a credere.
Mentre il gatto di Schrödinger illustra la sovrapposizione a livello di un sistema macroscopico, l’immortalità quantistica porta questo concetto all’estremo, suggerendo che la nostra stessa esistenza e la nostra percezione della realtà potrebbero essere intrinsecamente legate alla continua ramificazione di un multiverso quantistico.

La teoria dell’immortalità quantistica non è un’affermazione sulla possibilità fisica di vivere per sempre nel senso convenzionale. Essa emerge, piuttosto, come una peculiare e controversa conseguenza logica dell’interpretazione a molti mondi (IM) della meccanica quantistica, una delle interpretazioni più radicali e affascinanti del comportamento del mondo subatomico. Per comprendere appieno questa teoria, è fondamentale addentrarsi nelle fondamenta dell’IM e nel modo in cui essa concettualizza la realtà a seguito di una misurazione quantistica.
L’emergere dell’immortalità quantistica dal T tessuto del multiverso
L’interpretazione a molti mondi, proposta originariamente da Hugh Everett III negli anni ’50, cerca di risolvere il cosiddetto “problema della misurazione” nella meccanica quantistica. Secondo la formulazione standard di Copenaghen, un sistema quantistico può esistere in una sovrapposizione di stati (descritta da una funzione d’onda) fino a quando non viene misurato. L’atto di misurazione provoca un “collasso” della funzione d’onda, forzando il sistema a scegliere uno degli stati possibili. Questo processo di collasso è sempre stato un punto problematico e misterioso della teoria quantistica.
L’interpretazione a molti mondi offre una soluzione audace: non c’è alcun collasso della funzione d’onda. Invece, ogni volta che si verifica una misurazione quantistica (o più in generale, un’interazione che porta a una decoerenza), l’universo si divide in tanti universi quanti sono gli esiti possibili di quell’evento. In ognuno di questi universi “ramificati”, si realizza uno specifico esito della misurazione, e l’osservatore si ritrova in uno di questi rami, percependo solo l’esito che si è verificato nel suo particolare universo.

Immaginiamo una particella che può avere spin su o spin giù. Secondo l’IM, quando misuriamo lo spin, l’universo si divide in due: in un universo, il risultato della misurazione è “spin su”, e in un altro universo, il risultato è “spin giù”. L’osservatore si sdoppia anch’egli, con una copia di sé stesso in ogni universo, ognuna percependo un risultato diverso. Tutti gli esiti possibili sono reali e coesistono in universi separati.
L’esperimento mentale del “suicidio quantistico”, ideato per illustrare le implicazioni estreme dell’IM, coinvolge un individuo e un dispositivo quantistico progettato per ucciderlo con una probabilità del 50% ad ogni attivazione. Il dispositivo è collegato a una misurazione quantistica con due esiti equiprobabili. Se il risultato della misurazione è uno, il dispositivo si attiva e uccide l’individuo. Se il risultato è l’altro, il dispositivo non si attiva e l’individuo sopravvive.
Consideriamo ora la prospettiva dell’individuo che si sottopone a questo esperimento ripetutamente. Ad ogni attivazione del dispositivo, secondo l’IM, l’universo si divide in due rami: uno in cui il dispositivo si è attivato e l’individuo è morto, e un altro in cui il dispositivo non si è attivato e l’individuo è sopravvissuto.La chiave della teoria dell’immortalità quantistica risiede nella coscienza dell’individuo.

Dal suo punto di vista soggettivo, egli sperimenterà solo gli universi in cui è sopravvissuto. Ogni volta che il dispositivo viene attivato, ci sarà un ramo dell’universo in cui lui è morto, ma la sua coscienza non esisterà più in quel ramo per percepirlo. Invece, la sua coscienza continuerà a esistere solo nel ramo (o nei rami) in cui è sopravvissuto.
Dopo un numero arbitrariamente elevato di tentativi, l’individuo si troverebbe ancora vivo, percependo una sequenza di risultati in cui il dispositivo non si è mai attivato. Dal suo punto di vista, sembrerebbe di essere diventato “immortale” di fronte a questo specifico pericolo quantistico. Tuttavia, è cruciale capire che questo non significa che tutte le “copie” di lui negli altri rami dell’universo siano sopravvissute. In un numero infinito di universi paralleli, le altre versioni di lui sarebbero morte.
Da un punto di vista esterno, un osservatore che guarda l’esperimento vedrebbe che in metà degli universi l’individuo muore ad ogni tentativo. Non c’è nulla di speciale o di “immortale” riguardo all’esito complessivo dell’esperimento dal punto di vista del multiverso nel suo complesso. L’immortalità quantistica è un fenomeno puramente soggettivo, una conseguenza della “selezione per sopravvivenza” operata dalla coscienza dell’individuo all’interno del panorama del multiverso.
L’intreccio inestricabile tra multiverso e soggettività
La teoria dell’immortalità quantistica non si configura come una dottrina scientifica consolidata, bensì come un audace esperimento mentale che affonda le sue radici nel terreno fertile e controverso dell’interpretazione a molti mondi (IM) della meccanica quantistica. Questa interpretazione, con la sua radicale affermazione della coesistenza di universi paralleli, fornisce il substrato concettuale da cui emerge l’idea, tanto affascinante quanto paradossale, di una potenziale “immortalità” soggettiva. Per svelare la complessità di questa teoria, è necessario esplorare in profondità le sue fondamenta nell’IM, il ruolo cruciale attribuito alla coscienza e le inevitabili conclusioni paradossali che ne derivano.

L’interpretazione a molti mondi si discosta radicalmente dalla visione più tradizionale della meccanica quantistica, in particolare per quanto concerne il processo di misurazione. Laddove l’interpretazione di Copenaghen postula un misterioso “collasso” della funzione d’onda che costringe un sistema quantistico a scegliere un singolo stato definito, l’IM propone uno scenario cosmico di ben più vasta portata. Secondo l’IM, ogni qualvolta si verifica un evento quantistico con esiti multipli e probabilistici, l’universo non collassa in un unico stato, bensì si scinde in un numero di universi paralleli pari al numero di esiti possibili.
In ciascuno di questi universi nascenti, si realizza uno specifico esito dell’evento quantistico, e tutti questi esiti coesistono simultaneamente in rami separati della realtà. L’atto di misurazione, lungi dal forzare una singola realtà, funge da punto di biforcazione cosmica. L’osservatore stesso, coinvolto nell’interazione quantistica, si ritrova “diviso” in copie di sé stesso, ognuna residente in uno dei nuovi universi e percepente un esito differente.
Consideriamo nuovamente l’esempio di una particella con spin quantistico. Prima della misurazione, la particella si trova in una sovrapposizione di “spin su” e “spin giù”. Secondo l’IM, l’atto di misurare lo spin non porta la particella ad “assumere” uno dei due stati. Invece, l’universo si divide in due: un universo in cui la misurazione rivela “spin su” e un altro in cui rivela “spin giù”. Un osservatore che effettua la misurazione si ritrova in entrambi gli universi, come due distinte “versioni” di sé stesso, ognuna ignara dell’esistenza dell’altra. Questa continua ramificazione dell’universo ad ogni interazione quantistica porta a un multiverso in costante espansione, popolato da una miriade di realtà parallele.

È in questo contesto di proliferazione universale che si inserisce il concetto di immortalità quantistica, con la coscienza individuale come elemento chiave. L’esperimento mentale del suicidio quantistico, come accennato, pone un individuo di fronte a un evento potenzialmente letale governato da un processo quantistico. Ad ogni ripetizione dell’evento, vi è una probabilità non nulla di morte.
Secondo la logica dell’IM, ad ogni esecuzione dell’esperimento, l’universo si ramifica in almeno due esiti per l’individuo: sopravvivenza e morte. La tesi centrale della teoria dell’immortalità quantistica è che, dal punto di vista soggettivo dell’individuo che si sottopone all’esperimento, egli continuerà a esistere unicamente negli universi in cui è sopravvissuto.
La sua coscienza, in qualche modo, “segue” il filo della sopravvivenza attraverso le diramazioni del multiverso. Ogni volta che si verifica l’evento quantistico, esiste un ramo (o più rami) in cui l’individuo muore. Tuttavia, la coscienza associata a quella particolare “versione” dell’individuo cessa di esistere in quel ramo. Invece, la coscienza dell’individuo continua a persistere e a sperimentare la realtà unicamente nei rami in cui l’esito è la sopravvivenza.

Immaginiamo l’individuo che attiva il dispositivo quantistico letale ripetutamente. Ad ogni tentativo, si creano universi in cui muore e universi in cui sopravvive. La sua esperienza soggettiva, tuttavia, sarà una sequenza ininterrotta di sopravvivenze. Dal suo punto di vista, sembrerà che il dispositivo non si attivi mai, anche se da una prospettiva esterna, che abbraccia l’intero multiverso, egli muore in un numero infinito di rami.
Questa prospettiva conduce a conclusioni intrinsecamente paradossali. L’individuo che si sottopone all’esperimento potrebbe percepire di essere diventato “immortale” di fronte a questo specifico pericolo quantistico, non perché abbia eluso le leggi della fisica, ma perché la sua coscienza continua a esistere solo nei rami dell’universo in cui è ancora vivo. Le innumerevoli “copie” di sé stesso che muoiono negli altri universi non fanno più parte della sua esperienza soggettiva.
È fondamentale sottolineare che questa “immortalità” non è assoluta né universale. Essa è strettamente legata a specifici eventi quantistici con esito di morte e si manifesta unicamente nella prospettiva soggettiva dell’individuo coinvolto. L’individuo rimane vulnerabile a tutte le altre cause di morte non direttamente legate a quel particolare processo quantistico.

Inoltre, la teoria solleva profonde questioni sulla natura dell’identità e della coscienza attraverso le ramificazioni del multiverso. Cosa definisce la “continuità” della coscienza attraverso le divisioni cosmiche? Siamo lo stesso individuo che “salta” da un ramo all’altro, o siamo semplicemente una sequenza di “copie” che sperimentano realtà diverse? La meccanica quantistica, nella sua attuale formulazione, non fornisce risposte definitive a questi interrogativi filosofici.
In definitiva, la teoria dell’immortalità quantistica non offre una via per sfuggire alla morte nel senso convenzionale. Essa rappresenta piuttosto un’esplorazione delle implicazioni più estreme e controintuitive dell’interpretazione a molti mondi, evidenziando come la natura probabilistica del mondo quantistico, combinata con una particolare interpretazione della realtà e della coscienza, possa condurre a scenari paradossali e profondamente stimolanti dal punto di vista concettuale. Lungi dall’essere una teoria scientifica accettata, essa funge da potente strumento per sondare i confini della nostra comprensione della realtà quantistica e della nostra stessa esistenza.
Dal gatto di Schrödinger all’immortalità quantistica: un salto concettuale nella natura della realtà e della coscienza
L’esperimento mentale del gatto di Schrödinger, ideato da Erwin Schrödinger nel 1935, è divenuto un’icona della meccanica quantistica, illustrando in modo vivido e paradossale le implicazioni della sovrapposizione quantistica e il ruolo enigmatico della misurazione. Un gatto chiuso in una scatola con un meccanismo che ha il 50% di probabilità di rilasciare un veleno letale a seguito del decadimento di un atomo radioattivo si trova, prima dell’apertura della scatola, in uno stato di sovrapposizione: è sia vivo che morto simultaneamente.

Questa bizzarra coesistenza di stati contraddittori a livello quantistico, apparentemente non riscontrabile nel mondo macroscopico della nostra esperienza quotidiana, pone interrogativi fondamentali sulla transizione dal regno quantistico al regno classico e sul ruolo dell’osservatore.
La teoria dell’immortalità quantistica compie un salto concettuale audace, estendendo il principio della sovrapposizione e le sue conseguenze, come interpretate dall’interpretazione a molti mondi (IM), fino a includere la coscienza e la sopravvivenza di un osservatore. Mentre il gatto di Schrödinger si trova in una sovrapposizione di stati vitali, l’immortalità quantistica suggerisce che anche la coscienza di un individuo coinvolto in un evento quantistico con esito di morte potrebbe persistere attraverso le ramificazioni del multiverso, sperimentando solo gli esiti di sopravvivenza.
Il cuore dell’esperimento del gatto di Schrödinger risiede nel principio di sovrapposizione. Un sistema quantistico può esistere in una combinazione lineare di più stati possibili contemporaneamente. L’atomo radioattivo nella scatola si trova in una sovrapposizione di “decaduto” e “non decaduto”. Poiché il destino del gatto è entangled con lo stato dell’atomo (se decade, il gatto muore; se non decade, il gatto vive), anche il gatto si ritrova in uno stato di sovrapposizione di “vivo e morto”.

È l’atto di aprire la scatola, ovvero l’atto di misurazione da parte di un osservatore esterno, che apparentemente “collassa” la funzione d’onda del sistema, forzando il gatto a trovarsi in uno stato definito: vivo o morto. L’interpretazione a molti mondi offre una prospettiva radicalmente diversa su questo processo. Invece di un collasso, l’IM postula che l’universo si divide in due rami distinti al momento della misurazione. In un ramo, l’atomo è decaduto e il gatto è morto; nell’altro ramo, l’atomo non è decaduto e il gatto è vivo. L’osservatore stesso si “sdoppia”, con una versione di sé stesso in ciascun ramo, ognuna percependo un esito differente.
La teoria dell’immortalità quantistica porta questa logica alle sue estreme conseguenze, applicandola a uno scenario in cui l’esito dell’evento quantistico è la vita o la morte di un osservatore cosciente. L’esperimento del suicidio quantistico, come discusso precedentemente, immagina un individuo di fronte a un dispositivo letale azionato da un processo quantistico con una probabilità di morte.
Analogamente al gatto di Schrödinger, prima dell’esito dell’esperimento, l’individuo e il sistema quantistico (e potenzialmente l’intero universo) si trovano in una sorta di “sovrapposizione” di stati futuri: un futuro in cui l’individuo è vivo e un futuro in cui è morto. Secondo l’IM, entrambi questi futuri si realizzano in rami separati dell’universo.

La tesi cruciale dell’immortalità quantistica è che la coscienza dell’individuo, al momento della “misurazione” (ovvero, l’attivazione del dispositivo), continuerà a esistere solo nel ramo dell’universo in cui è sopravvissuto. La coscienza associata alla “versione” dell’individuo nel ramo in cui è morto cessa di esistere con la sua morte. Pertanto, dal punto di vista soggettivo dell’individuo che si sottopone ripetutamente all’esperimento, egli sperimenterà una sequenza ininterrotta di sopravvivenze, proprio come se il gatto di Schrödinger percepisse di essere sempre vivo nel ramo dell’universo in cui sopravvive.
In conclusione, la teoria dell’immortalità quantistica può essere vista come un’estensione radicale e speculativa delle implicazioni concettuali sollevate dall’esperimento del gatto di Schrödinger. Entrambi gli esperimenti mentali ci costringono a confrontarci con la natura controintuitiva della meccanica quantistica e con le profonde domande sulla natura della realtà, della coscienza e del nostro posto in un universo che potrebbe essere molto più strano e ramificato di quanto la nostra intuizione classica ci porti a credere.

Mentre il gatto di Schrödinger illustra la sovrapposizione a livello di un sistema macroscopico, l’immortalità quantistica porta questo concetto all’estremo, suggerendo che la nostra stessa esistenza e la nostra percezione della realtà potrebbero essere intrinsecamente legate alla continua ramificazione di un multiverso quantistico.