Un tempo si immaginavano città sottomarine e viaggi interstellari. Oggi ci accontentiamo del prossimo aggiornamento software. Cosa ci è successo?
Nel 1982, Blade Runner ci mostrava un 2019 fatto di volo e neon. Nel vero 2019 avevamo Uber e un algoritmo che ti suggeriva cosa mangiare. Il divario tra ciò che immaginavamo e ciò che abbiamo ottenuto è lo specchio di un’epoca: la nostra. Un’epoca che ha perso la spinta visionaria.
Dove sono finiti i sogni collettivi? Oggi il futuro è diventato una timeline da scrollare, un calendario di aggiornamenti, una lista di problemi da tamponare.
Giovani senza futuro (collettivo)
Una ricerca internazionale su giovani tra i 18 e i 30 anni lo dice chiaramente: la maggior parte non riesce più a immaginare un futuro migliore del presente. Non si tratta di semplice cinismo: è un cambiamento profondo. Il sogno di una società che evolve si è spento. È rimasto solo l’individuo che tenta di sopravvivere.
Il sociologo Karl Mannheim l’aveva previsto: senza utopie, diventiamo ingranaggi statici. Abbiamo scambiato la visione con l’efficienza, il sogno con l’ottimizzazione, l’ideale con un KPI.
Big Tech: da speranza a delusione
La Silicon Valley ci aveva promesso tutto. Un mondo connesso, Marte, la fine della vecchiaia. E invece?
- Il metaverso è una landa deserta da 9 miliardi di dollari.
- L’AI generativa rimpiazza creativi, non ci libera dal lavoro ripetitivo.
- Le criptovalute dovevano democratizzare la finanza: hanno generato truffe e bolla.
- Il car sharing doveva ridurre il traffico: in realtà l’ha aumentato.
Ogni promessa si è trasformata nel suo contrario. E non è solo sfortuna: è un segnale. La tecnologia ha smesso di liberarci. Ora ci sorveglia, ci intrattiene, ci addestra.
Non a caso, “dystopia” compare 300 volte più di “utopia” nelle pubblicazioni moderne.
Da protopia a pessimismo strutturale

Il concetto di protopia — piccoli miglioramenti continui — sembrava la via di mezzo perfetta. Ma oggi, anche quel modello sembra arrancare. Perché il futuro, semplicemente, non interessa più a nessuno come progetto collettivo.
Uno studio ANSA su 55 milioni di conversazioni online in Italia parla chiaro: siamo divisi tra confusi, critici, impauriti e pochi speranzosi. Ma anche questi ultimi credono solo in un miglioramento personale.
Il futuro è diventato un affare privato.
Perché la fantascienza non ci salva più
Un tempo era la narrativa a nutrire l’immaginazione: oggi ci mette ansia. Orwell, Huxley, Dick… hanno lasciato un’eredità pesante. Ogni tecnologia ci appare subito come un pericolo. L’AI è HAL 9000. I social sono il Grande Fratello. La VR è Matrix.
Anche la futurologia, che dovrebbe sostituire la fantascienza nella progettazione di scenari possibili, spesso si limita a gestire rischi, non a proporre visioni.
Il futuro è diventato un problema da risolvere, non un orizzonte da esplorare.
Come possiamo ricominciare a sognare?

Forse il punto non è “perché abbiamo perso la visione del futuro”, ma “come possiamo riprendercela”.
Esistono realtà che ci stanno provando. Come Forward To o l’Italian Institute for the Future, che lavorano per ricostruire la nostra capacità collettiva di immaginare un domani desiderabile. Perché se smettiamo di sognare, smettiamo di costruire.
E costruire è un verbo collettivo.
Il primo passo? Ricominciare a immaginare. Il secondo? Farlo insieme.
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