La mutazione del gene denominato EGR1 sopprime la voglia di socializzzare e interrompe la segnalazione della dopamina da alcuni neuroni nel cervello, che possono influenzare l’umore e il comportamento sociale. A dichiararlo in una loro recente ricerca è stato un team di scienziati dell‘Istituto di Neuroscienze dell’UOg che ha osservato questo fenomeno nei pesci zebra.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica eNeuro.
Gene EGR1: la sua mutazione offre nuovi indizi sul disturbo dello spettro autistico
La mutazione del gene EGR1 è stata osservata anche negli esseri umani, ed è stata collegata a diagnosi severe di sofferenza mentale come la schizofrenia e la depressione e semba che essa svolga anche un ruolo nell’autismo. Va da sé che riuscire capire di più su come questo gene modelli il comportamento sociale potrebbe aiutare i ricercatori a scoprire le basi biologiche di una serie di condizioni complesse coinvolte in forti componenti sociali.
Il team, guidato dai professori di biologia dell’UO Philip Washbourne e Judith Eisen, per testare gli effetti dell’EGR1, ha messo coppie di pesci zebra in vasche adiacenti. I pesci potevano vedersi ma non percepivano alcun movimento dell’acqua o segnali chimici dai pesci vicini.
I ricercatori hanno anche misurato la risposta del pesce zebra ai punti in movimento che si spostano e guizzano come le ombre di un altro pesce. Come nei primi esperimenti, il pesce zebra con EGR1 normale ha risposto socialmente a quegli stimoli come se fosse un altro pesce. I pesci con il gene mutato invece non hanno cambiato comportamento.
“Questo sta dando un piccolo pezzo dei circuiti cerebrali coinvolti nel comportamento sociale“, ha dichiarato Washbourne: “Da lì, possiamo andare a monte ea valle e provare a mettere insieme il circuito”.
Ad esempio, il gene EGR1 controlla un gene che produce la tirosina idrossilasi, una sostanza chimica di cui il corpo ha bisogno per produrre dopamina. I pesci con la mutazione EGR1 producono meno di questa sostanza chimica in alcuni neuroni. Senza tanta tirosina idrossilasi, c’è anche meno dopamina. Quindi si assiste ad un effetto domino avviato da un gene che può inviare effetti a catena attraverso circuiti nel cervello che influenzano l’umore e il comportamento sociale.
Il comportamento sociale è molto più complesso di un gene o di un circuito cerebrale, ma Eisen e Washbourne considerano utile considerare i comportamenti sociali più elementari in questo modo. I neuroni che gli scienziati hanno studiato si trovano in una regione del cervello che esiste non solo negli esseri umani ma anche in molti altri animali con cervelli molto più semplici.
In Italia, secondo il Ministero della Salute, si stima 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza maggiore nei maschi: i maschi sono 4,4 volte in più rispetto alle femmine.
Questa stima nazionale è stata effettuata nell’ambito del “Progetto Osservatorio per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico” co-coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute. Nel progetto, finanziato dal Ministero della Salute – Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria la stima di prevalenza è stata effettuata attraverso un protocollo di screening condiviso con il progetto europeo ‘Autism Spectrum Disorders in the European Union’ (ASDEU) finanziato dalla DG Santè della Commissione Europea.
Studi epidemiologici internazionali hanno riportato un incremento generalizzato delle disgnoodi del disturbo dello spettro autistico. La maggiore formazione dei medici, le modifiche dei criteri diagnostici e l’aumentata conoscenza del disturbo da parte della popolazione generale, connessa anche al contesto socio-economico, sono fattori da tenere in considerazione nell’interpretazione di questo incremento.
Attualmente, la prevalenza del disturbo è stimata essere circa 1 su 54 tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti, 1 su160 in Danimarca e in Svezia, 1 su 86 in Gran Bretagna. In età adulta pochi studi sono stati effettuati e segnalano una prevalenza di 1 su 100 in Inghilterra. Va ricordato che per comprendere la diversità delle stime di prevalenza è necessario considerare anche la variabilità geografica e le differenze metodologiche degli studi da cui tali stime originano.