Immaginate di incontrare un essere umano alto, robusto, con una testa enorme, un viso largo, un naso sporgente e denti giganteschi, questo è l’aspetto che avrebbe potuto avere l’Homo longi, o “Uomo drago”, una specie estinta di umano arcaico scoperta in Cina e recentemente ricostruita da un team internazionale di ricercatori. L’Homo longi è considerato una stirpe sorella dell’Homo sapiens, e potrebbe essere il parente evolutivo più vicino ai moderni esseri umani.
La scoperta dell’Homo longi risale al 1933, quando un operaio trovò un cranio quasi completo mentre costruiva un ponte sul fiume Songhua, nella città di Harbin, nella provincia di Heilongjiang, nel nord-est della Cina. A causa della situazione politica turbolenta, il cranio fu nascosto in un pozzo abbandonato e riemerso solo nel 2018, quando il nipote dell’operaio lo consegnò agli studiosi. Il cranio fu datato a almeno 146.000 anni fa, durante il Pleistocene medio, un’epoca in cui gli esseri umani moderni convivevano con altri umani arcaici, come i Neanderthal e i Denisoviani.
Il cranio dell’Homo longi presenta una combinazione unica di tratti primitivi e più moderni, con il volto, in particolare, più simile a quello dell’Homo sapiens. Il cranio è il più lungo mai trovato tra le specie umane, con una circonferenza di 65,1 centimetri (25,6 pollici) e una capacità cranica di 1.420 cc, simile a quella degli esseri umani moderni e dei Neanderthal.
Il proprietario del cranio era probabilmente un maschio, di circa 50 anni, che avrebbe avuto uno stile di vita molto energetico e si suppone abbia dovuto sopportare gli inverni gelidi della regione.
Per ricostruire il volto dell’Homo longi, l’esperto brasiliano Cícero Moraes ha creato un modello digitale del cranio utilizzando dati e immagini forniti dagli autori dello studio pubblicato nel 2021. Moraes ha integrato il cranio con la mandibola e alcuni denti mancanti di un altro umano antico, l’Homo erectus, e ha aggiunto marcatori dei tessuti molli basandosi su scansioni di esseri umani moderni e scimpanzé.
Il risultato è un busto digitale in scala di grigi “anatomicamente coerente”, al quale Moraes ha aggiunto capelli e colorazioni con un “approccio artistico”, per rendere l’aspetto più vivido.
Lo studio che descrive in dettaglio la ricostruzione facciale è pubblicato su Ortog Online, ed afferma che l’Homo longi potrebbe rappresentare un membro dei Denisoviani, un gruppo di umani arcaici noti solo da pochi resti fossili e dal DNA estratto da essi, ad ogni modo lo studio sostiene che gli esseri umani moderni siano più strettamente imparentati all’Homo longi (e quindi ai Denisoviani) che ai Neanderthal.
Ciononostante, queste ipotesi sono state messe in dubbio da altri archeologi, che ritengono che le prove siano insufficienti e che sia necessaria un’analisi genetica per confermare la relazione tra le diverse specie umane.
L’Homo longi è una scoperta di grande importanza per l’archeologia e la paleoantropologia, perché ci offre una nuova prospettiva sulla diversità e la complessità degli umani arcaici che abitavano l’Asia orientale durante il Pleistocene medio.
Fino a poco tempo fa, si pensava che in questa regione ci fossero solo due specie di umani arcaici: l’Homo erectus, che si era diffuso in Asia circa 2 milioni di anni fa, e i Denisoviani, che si erano separati dai Neanderthal circa 600.000 anni fa e di cui si conoscono solo pochi resti fossili e il DNA estratto da essi. L’Homo longi aggiunge una terza specie al panorama, e potrebbe essere il rappresentante dei Denisoviani in Cina, o addirittura una specie ancora più antica e distinta.
La scoperta dell’Homo longi ci permette anche di confrontare le sue caratteristiche fisiche con quelle delle altre specie umane, e di capire meglio le sue relazioni evolutive, per esempio il cranio dell’Homo longi presenta una combinazione unica di tratti primitivi e più moderni, con il volto, in particolare, più simile a quello dell’Homo sapiens.
Questo suggerisce che l’Homo longi abbia avuto una lunga storia evolutiva in Asia, e che abbia sviluppato alcune convergenze con gli esseri umani moderni, in ogni caso il cranio presenta anche alcune differenze notevoli, come la forma quadrata delle orbite, la bassa posizione degli zigomi e le grandi dimensioni dei denti. Queste caratteristiche potrebbero riflettere adattamenti a un ambiente freddo e a una dieta dura.
La storia della scoperta dell’Homo longi e le implicazioni nell’evoluzione umana
La scoperta dell’Homo longi ha anche implicazioni per la nostra comprensione dell’evoluzione umana, perché ci fa riflettere su chi siamo e da dove veniamo. Lo studio pubblicato nel 2021 sostiene che gli esseri umani moderni siano più strettamente imparentati all’Homo longi (e quindi ai Denisoviani) che ai Neanderthal. Questo significherebbe che il nostro ultimo antenato comune con i Neanderthal sarebbe vissuto più di 800.000 anni fa, e che il nostro lignaggio si sarebbe separato da quello dei Denisoviani circa 400.000 anni fa.
Questo scenario è diverso da quello proposto da altri studi basati sul DNA, che indicano che il nostro ultimo antenato comune con i Neanderthal e i Denisoviani sarebbe vissuto circa 600.000 anni fa, e che il nostro lignaggio si sarebbe separato da quello dei Denisoviani circa 200.000 anni fa. Per risolvere questa discrepanza, sono necessarie ulteriori analisi genetiche, che possano confermare o smentire la parentela tra l’Homo longi e gli altri umani arcaici.
La storia della scoperta dell’Homo longi è avvincente e travagliata, e riflette le difficoltà e le sfide che gli archeologi devono affrontare per studiare il passato umano. Quando il cranio dell’Homo longi fu trovato per la prima volta nel 1933, questo era quasi completo, e presentava una forma insolita e una grande capacità cranica. L’operaio lo portò a casa, e lo nascose in un pozzo abbandonato, temendo che potesse essere confiscato dalle autorità giapponesi, che occupavano la regione.
Il cranio rimase nascosto per 85 anni, fino al 2018, quando il nipote dell’operaio, che era a conoscenza del suo segreto, lo consegnò agli studiosi. Il cranio fu esaminato da un team di ricercatori guidato dal geologo indonesiano Danny Hilman Natawidjaja, che lavora per l’Agenzia indonesiana per le scienze (LIPI). Il team si rese conto che il cranio apparteneva a una specie di umano arcaico mai vista prima, e lo chiamò Homo longi, o “Uomo drago”, in onore del fiume Heilong Jiang (che significa fiume del drago nero) che scorre vicino al luogo del ritrovamento.
Il team di Natawidjaja condusse una serie di analisi sul cranio, utilizzando vari metodi, come la datazione al carbonio, la tomografia a penetrazione del suolo, la magnetometria e la resistività elettrica.
Questi metodi permettono di determinare l’età, la composizione e la struttura del cranio e del terreno circostante, e di rilevare eventuali anomalie o variazioni. Il team pubblicò i risultati delle sue analisi nel 2021, su una rivista chiamata Archaeological Prospection. Lo studio affermava che il cranio dell’Homo longi era il più antico e il più grande mai trovato tra le specie umane, e che rappresentava una stirpe sorella dell’Homo sapiens, e forse il parente evolutivo più vicino ai moderni esseri umani.
Tuttavia, lo studio di Natawidjaja non fu accolto con entusiasmo da tutti gli archeologi, che lo criticarono per le sue affermazioni audaci e le sue conclusioni ingiustificate. Alcuni archeologi sottolinearono che le prove presentate dal team erano insufficienti e inconcludenti, e che non dimostravano che il cranio appartenesse a una specie nuova e distinta.
Altri archeologi contestarono la datazione del cranio, e la sua relazione con gli altri umani arcaici, sostenendo che fossero in contrasto con le evidenze fossili e genetiche. Altri ancora accusarono il team di Natawidjaja di aver manipolato il cranio e il sito, e di aver violato le norme etiche e scientifiche. Il giornale che pubblicò lo studio avviò un’indagine sull’articolo, e chiese al team di fornire ulteriori informazioni e chiarimenti.
La controversia sul cranio dell’Homo longi è ancora in corso, e richiede ulteriori ricerche e analisi, che possano confermare o smentire le scoperte del team di Natawidjaja. Il governo indonesiano ha sostenuto il progetto di Natawidjaja, ma ha anche invitato altri esperti a partecipare allo studio del cranio e del sito.
Il cranio dell’Homo longi è attualmente conservato presso il Museo Geologico di Bandung, in Indonesia, dove è esposto al pubblico, con questo cranio che è una testimonianza straordinaria del nostro passato, e merita di essere studiato con rigore e rispetto.
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