Immagina due buchi neri, ognuno con la massa di oltre cento Soli, che si schiantano tra loro nello spazio profondo. No, non è la trama di un film sci-fi. È successo davvero, e abbiamo sentito le onde di quello scontro qui sulla Terra. Il nome dell’evento? GW231123. Il risultato? Una fusione da record che mette in discussione tutto quello che pensavamo di sapere sui buchi neri.
Una fusione fuori scala
Le osservazioni sono arrivate grazie ai rilevatori di onde gravitazionali LIGO (negli USA), Virgo (in Italia) e KAGRA (in Giappone). Quei sottilissimi “tremolii” dello spazio-tempo previsti da Einstein più di un secolo fa hanno segnalato una fusione di proporzioni mai viste prima: i due oggetti coinvolti avevano masse stimate di circa 100 e 140 masse solari. Un peso massimo assoluto, il più massiccio mai registrato.
E questo è solo l’inizio.
Il mistero della “mass gap”

C’è un problema: i buchi neri di questa taglia non dovrebbero nemmeno esistere. Secondo i modelli attuali, quando una stella molto grande collassa su sé stessa, può formare un buco nero… ma solo fino a una certa massa. C’è una zona d’ombra, la cosiddetta “mass gap”, che va da circa 60 a 130 masse solari, in cui non ci aspettiamo la formazione naturale di buchi neri.
Eppure, eccoli lì. Non uno, ma due. Uno da 100 e uno da 140.
Come si spiega? Gli scienziati hanno una teoria: questi giganti potrebbero non essere nati da stelle, ma da fusioni precedenti di altri buchi neri più piccoli. Un po’ come matrioske cosmiche. Una fusione dopo l’altra, sempre più massicci, fino al botto finale.
Girano come trottole cosmiche
A complicare il quadro, i due buchi neri di GW231123 ruotavano quasi alla velocità massima teorica. Altro segnale che qualcosa non torna. In genere i buchi neri non ruotano così in fretta… a meno che non abbiano una “storia” fatta di collisioni precedenti. Ogni fusione infatti può aumentare la velocità di rotazione del buco nero risultante.
Insomma: GW231123 sembra l’ultimo capitolo (per ora) di una lunga serie di scontri cosmici.
Più lontano di quanto possiamo immaginare
C’è anche l’incognita della distanza. I dati suggeriscono che l’evento potrebbe essere avvenuto fino a 12 miliardi di anni luce da noi. Talmente lontano che la luce non ci è ancora arrivata, ma le onde gravitazionali sì. La stima non è precisa, ma è chiaro che parliamo di un evento antico, risalente a un’epoca in cui l’universo era giovane e turbolento.
E se davvero buchi neri così grandi esistevano già allora, significa che la formazione di strutture cosmiche potrebbe essere iniziata prima e più rapidamente del previsto.
Cosa cambia adesso?

Questo evento sfida tutti i modelli sulla formazione dei buchi neri. Se GW231123 è davvero frutto di fusioni successive, allora là fuori esiste una popolazione di buchi neri “intermedi” che finora ci è sfuggita. Troppo massicci per essere stellari, troppo piccoli per essere supermassicci come quelli al centro delle galassie.
È una nuova categoria. Una terra di mezzo che i telescopi classici non possono vedere, ma che le onde gravitazionali ci stanno finalmente rivelando.
Un nuovo capitolo per l’astrofisica
L’articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2025 su arXiv, repository open access per le ricerche scientifiche. Non è ancora peer-reviewed, ma la scoperta è considerata solida grazie all’elevata qualità dei dati e alla collaborazione tra i tre osservatori internazionali.
E questo è solo l’inizio. Nei prossimi anni, nuovi strumenti come Einstein Telescope (in Europa) e Cosmic Explorer (negli USA) ci permetteranno di ascoltare l’universo ancora meglio, scoprendo collisioni ancora più remote, ancora più antiche, forse ancora più strane.
E se fosse solo la punta dell’iceberg?
Come dice il professor Zoltan Haiman: “Questo evento potrebbe essere un caso isolato, o il primo indizio di un’intera popolazione di fusioni massicce mai viste prima”. In entrambi i casi, GW231123 è già leggenda. E l’astrofisica gravitazionale è entrata in una nuova era.
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