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App e softwareTecnologia

Google sgancia 5 milioni di dollari perché tracciava in modalità incognito

Andrea Tasinato 1 anno fa Commenta! 5
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Google ha accettato di risolvere una causa intentata nel giugno 2020 che sosteneva che l’azienda aveva ingannato gli utenti tracciando la loro attività di navigazione mentre pensavano che l’uso di Internet rimanesse privato quando utilizzavano la modalità “incognito” o “privata” nei browser web.

Contenuti di questo articolo
Qual era (e quale sarebbe ipoteticamente ancora) il problema di Google ChromeL’origine del fraintendimento

Qual era (e quale sarebbe ipoteticamente ancora) il problema di Google Chrome

La causa collettiva cercava almeno $5 miliardi di danni; i termini del risarcimento che riguardano il colosso tecnologico tuttavia non sono stati ancora divulgati.

I querelanti avevano sostenuto che il gigante tecnologico aveva violato le leggi federali sulle intercettazioni telefoniche e aveva tracciato l’attività degli utenti utilizzando Google Analytics per raccogliere informazioni quando erano in modalità privata.

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Hanno affermato che ciò consentiva all’azienda di raccogliere una “quantità incontrollabile di informazioni” su utenti che pensavano di aver preso adeguati provvedimenti per proteggere la propria privacy online.

Google sgancia 5 milioni di dollari perché tracciava in modalità incognito

Successivamente, Google ha cercato di far respingere la causa, evidenziando il messaggio visualizzato quando gli utenti attivano la modalità incognito di Chrome, che informa gli utenti che la loro attività potrebbe comunque essere visibile ai siti web visitati, al datore di lavoro o alla scuola, o al provider di servizi Internet.

È importante notare che attivare la modalità incognito o privata in un browser web consente solo agli utenti di cercare su Internet senza che la loro attività venga salvata localmente nel browser, ma questo lo vedrai tra poco.

Detto questo, i siti web che utilizzano tecnologie pubblicitarie e API di analisi possono comunque continuare a tracciare gli utenti durante quella sessione incognito e possono correlare ulteriormente quell’attività, ad esempio, abbinando i loro indirizzi IP.

“La mozione di Google si basa sull’idea che i querelanti abbiano acconsentito a Google di raccogliere i loro dati mentre navigavano in modalità privata“, ha sentenziato la giudice distrettuale degli Stati Uniti Yvonne Gonzalez Rogers, ed è stato poi aggiunto che “poiché Google non ha mai detto esplicitamente agli utenti che lo fa, il Tribunale non può stabilire a titolo di legge che gli utenti abbiano acconsentito esplicitamente alla raccolta dei dati in questione“.

L’origine del fraintendimento

Molti fraintendono la modalità “incognito” pensando che significhi “non mi tracciano”, ma non è così.

Attivare la modalità incognito in un browser web offre agli utenti la possibilità di navigare su Internet senza che la loro attività venga memorizzata localmente nel browser, questo è effettivamente molto utile se non vuoi che i cookie rimangano e vuoi visitare senza problemi pagine con cookie obbligatori.

Google sgancia 5 milioni di dollari perché tracciava in modalità incognito

Tuttavia, è importante notare che questa modalità non garantisce l’anonimato completo; i siti web che utilizzano tecnologie pubblicitarie e API di analisi possono ancora tracciare l’attività degli utenti durante la sessione incognito e correlare tali informazioni.

La recente causa legale contro Google ha sottolineato che l’azienda è stata accusata di tracciare l’attività degli utenti anche quando erano in modalità incognito, portando a una comprensione errata da parte degli utenti che pensavano di navigare in modo completamente privato.

Per un anonimato completo servono delle precauzioni particolari, una su tutte la VPN, ma non è questa la sede; c’è da dire che comunque un anonimato al 100% su internet è molto difficile da ottenere senza conoscenze informatiche molto specifiche, troppe volte ho sentito frasi tipo “usiamo Telegram [o altri servizi alternativi a caso], basta quello è sicuro”, ignorando che Telegram ad esempio richiede già il numero di telefono che è un dato personale.

Al giorno d’oggi i servizi più popolari richiedono comunque almeno un dato personale reale, sebbene sia vero che sui social posso iscrivermi con nome finto, non è raro che questi richiedano conferma con numero di telefono o quant’altro.

Sebbene questo possa non c’entrare col discorso principale della causa di Google, è molto importante capire come e quando si è davvero anonimi o queste “gaffe” saranno all’ordine del giorno.

 

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