Siamo sicuri di poter distinguere una poesia scritta da un essere umano da una generata dall’intelligenza artificiale? Secondo un nuovo studio, forse non così tanto. I ricercatori dell’Università di Pittsburgh hanno scoperto che non solo le persone fanno fatica a distinguere le poesie generate dall’IA da quelle scritte da poeti famosi come William Shakespeare ed Emily Dickinson, ma, sorprendentemente, spesso preferiscono quelle create dall’intelligenza artificiale. Cosa significa questo per la nostra idea di creatività?
In uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports, Brian Porter e Edouard Machery hanno condotto due esperimenti per scoprire quanto siamo capaci di riconoscere la differenza tra opere di poeti umani e quelle generate da modelli linguistici avanzati, come il GPT-3.5 di OpenAI. La risposta? Non molto.
La semplicità dell’IA batte la complessità umana?
I partecipanti, che non erano esperti di poesia, hanno avuto risultati peggiori rispetto al caso, cercando di identificare quali poesie fossero scritte dall’IA. In particolare, erano più inclini a considerare le poesie generate dall’IA come se fossero state scritte da un essere umano, rispetto a quelle davvero composte da umani. Come mai?
Secondo i ricercatori, tutto dipende dalla semplicità delle poesie generate dall’IA, che spesso risultano più facili da comprendere per i lettori non esperti. Questo le rende più accessibili e, di conseguenza, più apprezzabili per molti. Inoltre, queste poesie sembravano avere una certa linearità e ritmo che le rendeva belle e piacevoli da leggere. Proprio questa semplicità potrebbe aver indotto i partecipanti a giudicarle più favorevolmente rispetto alle opere umane più complesse.
La sfida dei poeti storici
Nel primo esperimento, i partecipanti hanno letto dieci poesie mostrate in ordine casuale. Cinque erano state scritte da poeti celebri, come Shakespeare, Emily Dickinson e T.S. Eliot, mentre le altre cinque erano state generate dall’IA, imitando lo stile di questi grandi autori. Sorprendentemente, molti partecipanti non sono stati in grado di distinguere tra le due categorie.
Nel secondo esperimento, i partecipanti hanno valutato le poesie in base a 14 caratteristiche, tra cui qualità, emozione, ritmo e originalità. I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi: a uno è stato detto che le poesie erano state generate dall’IA, a un altro che erano scritte da umani e un terzo non ha ricevuto alcuna informazione sull’origine delle poesie. Risultato? Quando pensavano che le poesie fossero scritte da un’IA, tendevano a dare punteggi più bassi. Ma il gruppo che non conosceva l’origine ha in realtà preferito le poesie generate dall’IA rispetto a quelle umane.
“Più umano del umano”? La creatività nell’era dell’IA
Porter e Machery hanno concluso che la capacità di distinguere la poesia scritta da un essere umano da quella generata dall’IA è diventata più difficile rispetto agli studi precedenti. Questo fenomeno, definito come “più umano dell’umano“, è presente anche in altri campi dell’IA generativa: le persone sono più inclini a giudicare un’opera generata da un’IA come più umana di una realmente scritta da un umano.
Cosa significa questo per il futuro della creatività? Potrebbe essere un campanello d’allarme per gli artisti e i creativi, mentre l’intelligenza artificiale continua a migliorare, creando contenuti che non solo sono indistinguibili da quelli umani, ma talvolta persino più apprezzati.
E tu, cosa ne pensi? Potrebbe l’intelligenza artificiale sostituire la creatività umana? Lascia il tuo commento e facci sapere se anche tu hai mai confuso una poesia scritta da un’IA con una scritta da un essere umano!