Da quasi quarant’anni Iter è la grande scommessa dell’umanità per ottenere la fusione nucleare, il processo che alimenta le stelle e che viene definito da molti il Sacro Graal dell’energia pulita. Nato nel 1985 da un accordo tra Ronald Reagan e Michail Gorbaciov, il progetto è cresciuto fino a coinvolgere Unione Europea, Giappone, India, Cina e Corea del Sud, oltre a Stati Uniti e Russia. Oggi conta 3.500 ricercatori di 140 istituti di 35 Paesi, unendo forze scientifiche ed economiche su scala globale.
Un “cammino” verso l’energia del futuro
Il nome stesso, Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor), richiama il latino “cammino”: l’obiettivo è accompagnare la ricerca dalla fase sperimentale fino alla produzione di elettricità su larga scala attraverso la fusione.
Dopo anni di discussioni, rinvii e persino l’uscita momentanea degli Stati Uniti nel 1998, la costruzione del reattore è partita a Cadarache, nel sud della Francia. Si tratta di una delle infrastrutture scientifiche più ambiziose mai tentate, sia per complessità tecnologica che per costi.
I costi di un sogno energetico
Quantificare le spese non è semplice. Già nel 2015 si parlava di 14 miliardi di dollari per la costruzione. L’Unione Europea ha messo sul piatto 6,6 miliardi di euro fino al 2020, e serviranno risorse simili anche per le fasi successive. L’Italia, attraverso l’Enea, partecipa con una quota stimata tra il 12% e il 13%.
Il cuore di Iter: magneti e plasma

Al centro di Iter ci sono 18 magneti superconduttori e un acceleratore di fasci neutri, assemblato anche grazie a una collaborazione italiana con il polo di Padova.
La sfida è ricreare un plasma di deuterio e trizio a temperature di milioni di gradi. Solo in queste condizioni nuclei ed elettroni si separano, dando vita al processo di fusione. I magneti dovranno confinare il plasma abbastanza a lungo da permettere alla reazione di generare più energia di quanta ne consumi.
Il calendario: dal 2025 al 2050
Secondo il cronoprogramma, Iter dovrebbe iniziare a funzionare nel 2025. Serviranno almeno cinque anni di test prima di passare, attorno al 2030, alla fase sperimentale vera e propria.
Il passo successivo sarà Demo, il dimostratore tecnologico che fungerà da ponte verso i reattori commerciali. L’obiettivo è arrivare entro il 2050 a un impianto a fusione in grado di produrre energia elettrica su larga scala.
Perché la fusione conta davvero
A differenza della fissione nucleare, la fusione non produce scorie radioattive a lunga vita e ha un rischio di incidente molto più basso. Inoltre, il combustibile principale – deuterio e trizio – è disponibile in abbondanza.
Se Iter dovesse mantenere le promesse, potremmo avere una fonte energetica pulita, sicura e potenzialmente inesauribile, capace di cambiare radicalmente il nostro futuro energetico.
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