Nel corso del XX secolo, il rapporto della società con il tabacco ha subito una trasformazione radicale. Da prodotto associato a prestigio, salute e benessere, il fumo è progressivamente diventato sinonimo di rischio per la salute pubblica; questo articolo analizza l’evoluzione della percezione del fumo, dai decenni in cui veniva promosso come salutare, fino ai tempi più recenti, quando le politiche antifumo e la consapevolezza del pubblico hanno portato a un cambiamento significativo.
Gli anni ’30 e ’40: il fumo “salutare”
Negli anni ’30 e ’40, la pubblicità e alcuni studi scientifici (o perlomeno presunti tali) sostenevano che il fumo avesse effetti benefici sulla salute, tant’è che marchi noti ancora oggi come Lucky Strike, Camel e Chesterfield investivano enormi risorse nella promozione del tabacco attraverso slogan che collegavano il fumo a uno stile di vita sano e di successo; le riviste pubblicavano articoli e annunci in cui il fumo era raccomandato, spesso con il supporto di figure autorevoli come medici.
Ad esempio, le campagne pubblicitarie di Camel usavano lo slogan “More doctors smoke Camels than any other cigarette” (“Più medici fumano Camels rispetto a qualsiasi altra sigaretta”), sottolineando l’approvazione implicita di professionisti sanitari; in questo studio si affermava che il fumo alleviasse lo stress, migliorasse la digestione e persino curasse il mal di gola.
Era comune vedere immagini di donne incinte e persino bambini utilizzati negli annunci pubblicitari, con messaggi che suggerivano che il fumo fosse sicuro per tutti.
I primi dubbi e studi critici (anni ’50 e ’60)
Nonostante l’entusiasmo iniziale, a partire dagli anni ’50 iniziarono ad emergere dubbi sugli effetti del fumo sulla salute; alcuni studi pionieristici, come quelli condotti da Richard Doll e Austin Bradford Hill nel Regno Unito, pubblicati nel 1950, evidenziarono una correlazione tra il consumo di tabacco e l’incidenza del cancro ai polmoni; la loro ricerca mostrò che i fumatori avevano un rischio significativamente maggiore rispetto ai non fumatori di sviluppare la malattia.
Uno studio italiano del 2016 (“mortalità in relazione al fumo”) che si può trovare qui cita proprio lo studio originale di questi due scienziati.
Nel 1964 il Surgeon General degli Stati Uniti (il massimo organo di sanità pubblica) pubblicò il primo rapporto ufficiale che collegava in modo inequivocabile il fumo a gravi problemi di salute come cancro, malattie cardiovascolari e problemi respiratori e questo rapporto del 1964 rappresentò una svolta e contribuì a diffondere la consapevolezza sui rischi legati al fumo.
Sigarette consigliate: donne incinte, bambini e chi soffriva di problemi respiratori
Negli anni ’30 e ’40, alcune pubblicità e articoli su riviste di ampia diffusione sostenevano che le sigarette potessero essere utili non solo per adulti sani, ma anche per categorie particolarmente vulnerabili; ad esempio, venivano promosse come benefiche per chi soffriva di problemi respiratori, con l’idea che il fumo potesse “schiarire i polmoni” e alleviare disturbi come tosse o congestione. Riviste come Life e Good Housekeeping ospitavano annunci che suggerivano che fumare potesse addirittura migliorare la funzione respiratoria.
In alcuni casi, le sigarette venivano consigliate persino alle donne incinte, con messaggi che promettevano di alleviare lo stress durante la gravidanza e aiutare nel controllo del peso, evitando un eccessivo aumento ponderale; famosi marchi di sigarette come Chesterfield e Lucky Strike utilizzavano immagini di giovani madri sorridenti per promuovere i loro prodotti, insinuando che il fumo fosse un’abitudine moderna e sicura.
Ancora più controversi erano gli annunci che coinvolgevano i bambini. Alcune campagne pubblicitarie raffiguravano genitori che offrivano sigarette agli adolescenti come “rito di passaggio” verso l’età adulta; tra le altre cose le pubblicità per prodotti correlati al tabacco, come i sigari, suggerivano che fossero regali adatti per celebrare la nascita di un bambino.
Un esempio eclatante è rappresentato dalle campagne di Philip Morris, che sostenevano che le sigarette fossero “delicate per la gola” e ideali per chiunque desiderasse un’esperienza meno irritante, mentre Camels pubblicizzava la propria miscela come raccomandata da medici e questi messaggi venivano supportati da pseudo-studi sponsorizzati dalle aziende del tabacco, pubblicati su riviste mediche o generaliste, per rafforzare l’idea che il fumo fosse non solo sicuro, ma addirittura salutare.
La diffusione di queste informazioni contribuì a creare una cultura che normalizzava il consumo di tabacco anche in contesti oggi impensabili, ritardando la comprensione collettiva dei reali pericoli legati al fumo.
Le prime limitazioni e la regolamentazione (anni ’70 e ’80)
Sulla scia delle evidenze scientifiche, molti governi iniziarono a introdurre regolamentazioni per limitare il consumo di tabacco; negli anni ’70 vennero vietati i messaggi pubblicitari che promuovevano il fumo come sano, e negli anni ’80 si fecero i primi passi verso il divieto della pubblicità televisiva per le sigarette.
Inoltre, iniziarono le campagne educative per sensibilizzare il pubblico, e vennero introdotti i primi avvertimenti sui pacchetti di sigarette.
In parallelo, le industrie del tabacco investirono massicciamente in campagne di disinformazione, finanziando studi scientifici volti a confondere l’opinione pubblica e ritardare le normative più severe.
Il ruolo del cinema nella promozione delle sigarette
Il cinema ha avuto un ruolo fondamentale nella normalizzazione e promozione del fumo durante il XX secolo; nella “Golden Age” di Hollywood, tra gli anni ’30 e ’60, il tabacco era una presenza costante sul grande schermo, associato a fascino, carisma e potere.
Icone del cinema come Humphrey Bogart, Lauren Bacall, James Dean e Audrey Hepburn venivano spesso raffigurati con una sigaretta tra le dita, creando immagini indelebili che legavano il fumo alla seduzione, alla ribellione e alla raffinatezza.
La rappresentazione delle sigarette nei film era raramente casuale! Questo poiché le compagnie del tabacco, consapevoli dell’enorme potenziale del cinema per influenzare il pubblico, stipulavano contratti con gli studios per inserire i loro prodotti nelle scene.
Questo fenomeno, noto come pubblicità indiretta, serviva a promuovere determinati marchi in modo sottile ma efficace: ad esempio, il marchio Lucky Strike divenne onnipresente in numerosi film degli anni ’40 e ’50.
Il cinema non solo normalizzava il fumo, ma lo rendeva un elemento chiave nella costruzione dei personaggi. Gli eroi e le eroine fumavano per dimostrare sicurezza, i ribelli per sfidare le convenzioni, mentre i cattivi usavano la sigaretta per trasmettere un’aura di pericolo; qesto era evidente soprattutto nei film noir in particolare, ove il fumo era una metafora visiva per il mistero e l’introspezione.
E il cinema italiano?
Anche il cinema italiano contribuì alla diffusione del fumo. Attori come Marcello Mastroianni e Sophia Loren apparivano frequentemente con una sigaretta, rafforzando l’associazione tra il tabacco e il glamour; questo legame tra il fumo e il mondo dello spettacolo fece sì che le sigarette diventassero un simbolo aspirazionale per il pubblico.
Con il passare del tempo e l’emergere delle prove sui danni del fumo, la pubblicità indiretta divenne sempre più controversa.
Già negli anni ’80, alcune produzioni iniziarono a ridurre le scene in cui i personaggi fumavano, ma ci vollero decenni prima che le normative e la crescente consapevolezza del pubblico portassero a una drastica diminuzione di tali rappresentazioni; tuttavia, le immagini iconiche del fumo nel cinema classico rimangono una testimonianza del profondo impatto culturale che il tabacco ha avuto nel XX secolo.
Il fumo in Italia: gli anni ’90 e 2000
In Italia, il fumo ha rappresentato per decenni un’abitudine culturale e sociale radicata. Negli anni ’90, si assiste a un aumento delle campagne antifumo da parte del Ministero della Salute, mentre iniziano a essere introdotti divieti graduali in alcuni spazi pubblici.
Tuttavia, la vera svolta si verificò con l’approvazione della Legge Sirchia nel 2003, entrata in vigore nel 2005, che vietò il fumo in tutti i luoghi pubblici chiusi, come bar, ristoranti e uffici; questa legge segnò un momento di rottura nella tolleranza sociale verso il fumo, contribuendo a una significativa riduzione del numero di fumatori e un miglioramento della qualità dell’aria in spazi condivisi.
Il caso Marlboro e la pubblicità occulta del 2004
Nel 2004, in Italia emerse il controverso caso Marlboro, che portò alla luce pratiche pubblicitarie occulte dell’industria del tabacco.
Sebbene la pubblicità diretta delle sigarette fosse ormai vietata, Marlboro utilizzava tecniche indirette per promuovere il proprio marchio, sfruttando sponsorizzazioni sportive (in particolare nella Formula 1) e riferimenti visivi subdoli; ad esempio, i colori e i motivi delle auto da corsa ricordavano in modo evidente il design dei pacchetti Marlboro, un espediente per aggirare i divieti pubblicitari.
Questo caso scatenò un dibattito acceso sul potere dell’industria del tabacco e sulla necessità di rafforzare ulteriormente le normative per impedire la promozione subliminale.
Conclusioni
Oggi il fumo è riconosciuto come una delle principali cause di morte evitabile a livello globale. I decenni in cui veniva considerato un’abitudine salutare rappresentano un monito su come la disinformazione e gli interessi economici possano influenzare profondamente le percezioni pubbliche.
Grazie agli sforzi congiunti di governi, scienziati e attivisti, il fumo è stato progressivamente stigmatizzato, portando a una maggiore consapevolezza sui suoi rischi. Tuttavia, la lotta contro il tabacco non è finita: le nuove sfide includono i prodotti alternativi come le sigarette elettroniche, che necessitano di una regolamentazione adeguata per garantire la salute delle nuove generazioni.