Un team di ricercatori del Dartmouth College ha fatto una scoperta sorprendente usando le immagini declassificate dei satelliti spia che sorvolavano il Vicino Oriente durante la Guerra Fredda, loro hanno infatti identificato centinaia di fortezze romane che erano state dimenticate o distrutte nel corso dei secoli, gettando una nuova luce sulla storia e la geografia dell’Impero Romano in questa regione.
Le fortezze romane erano delle strutture militari che servivano a difendere i territori conquistati dai Romani o a facilitare le loro operazioni di espansione, questi edifici erano solitamente costruite in pietra o in mattoni, con una forma quadrata o rettangolare, e circondate da un fossato o da una palizzata. All’interno delle fortezze romane si trovavano le baracche dei soldati, i magazzini, le officine, le cisterne, le latrine e altri edifici necessari alla vita quotidiana, ed alcune potevano ospitare anche una guarnigione permanente, mentre altre erano usate solo temporaneamente o in caso di emergenza.
Le fortezze romane erano particolarmente diffuse nel Vicino Oriente, una regione che comprendeva le attuali Siria, Iraq, Giordania, Libano, Israele, Palestina e parti della Turchia, dell’Iran e dell’Arabia Saudita. Questa regione era di grande importanza strategica, economica e culturale per i Romani, che la controllarono dal I secolo a.C. al VII secolo d.C., con alterne vicende, qui i Romani dovettero affrontare le sfide poste dalle popolazioni locali, come i Parti, i Sasanidi, i Nabatei, i Palmireni, i Giudei e i Cristiani, ma anche dalle invasioni provenienti dall’Asia Centrale, come quelle degli Unni e dei Goti.
Le fortezze romane nel Vicino Oriente furono documentate per la prima volta negli anni ’20 del secolo scorso, quando il sacerdote gesuita padre Antoine Poidebard intraprese una delle prime indagini archeologiche aeree al mondo. Volando a bordo di un aereo militare francese, Poidebard fotografò e mappò una linea di 116 fortezze che si estendeva per circa 550 km lungo la steppa siriana, dal fiume Eufrate al deserto arabo. Poidebard interpretò queste fortezze come parte di un sistema di difesa che i Romani avevano costruito per proteggere la loro frontiera orientale dalle incursioni dei predoni nomadi provenienti dal mondo arabo e dalla Persia.
Tuttavia, la nuova indagine condotta dai ricercatori del Dartmouth College ha messo in discussione questa visione. Usando le immagini declassificate dei satelliti spia che sorvolavano il Vicino Oriente tra il 1960 e il 1972, i ricercatori hanno individuato un totale di 396 nuove fortezze di epoca romana nella steppa siriana, oltre a quelle già note. Queste fortezze erano visibili grazie alle loro impronte nel paesaggio, che si distinguevano dagli edifici moderni per le loro forme, dimensioni e ombre. La maggior parte delle fortezze aveva una forma quadrata, tipicamente di 50-80 metri per lato, e si trovava in zone pianeggianti o collinari.
Perché è così importante la scoperta di queste nuove fortezze romane?
La scoperta di queste nuove fortezze romane ha due implicazioni importanti. La prima è che molte delle fortezze documentate da Poidebard sono scomparse nel corso del secolo scorso, a causa dell’intensa agricoltura e dell’urbanizzazione che hanno modificato il paesaggio, difatti i ricercatori sono stati in grado di individuare solo 38 delle 116 fortezze originali di Poidebard, il che significa che il patrimonio archeologico di questa regione è a rischio di perdita o distruzione.
La seconda implicazione è che le fortezze romane nel Vicino Oriente non avevano una funzione esclusivamente difensiva, ma anche commerciale e logistica, per l’appunto le nuove fortezze scoperte erano ampiamente distribuite da est a ovest, e non formavano una linea continua da nord a sud, come aveva suggerito Poidebard.
Questo indica che le fortezze non erano destinate a bloccare un confine rigido tra il territorio romano e quello non romano, ma piuttosto a facilitare il movimento delle truppe o delle merci attraverso la regione, proteggendo le carovane commerciali che viaggiavano tra le province orientali e il territorio non romano.
Se questa interpretazione è corretta, potrebbe avere alcune grandi implicazioni sul modo in cui vediamo questa parte del mondo romano. In primo luogo, indica che l’estensione orientale dell’Impero non aveva confini fissi, ma era piuttosto una zona di contatto e di scambio con le altre culture e civiltà. In secondo luogo, suggerisce che questa regione era più legata al commercio e alle relazioni tra paesi che alla guerra, e che i Romani avevano una visione più pragmatica e flessibile della loro presenza in questa zona.
“Fin dagli anni ’30, storici e archeologi hanno discusso lo scopo strategico o politico di questo sistema di fortificazioni, ma pochi studiosi hanno messo in dubbio l’osservazione di base di Poidebard secondo cui esisteva una linea di forti che definiva la frontiera romana orientale”
ha affermato il professor Jesse Casana, autore principale dello studio e archeologo del Dartmouth College, in una dichiarazione, il quale ha inoltre affermato:
“La nostra ricerca mostra che questa linea di forti non esisteva affatto, e che le fortezze erano distribuite in modo molto più casuale e irregolare, il che suggerisce che avevano uno scopo diverso da quello che si pensava”.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Advances in Archaeological Practice, è il primo a usare le immagini declassificate dei satelliti spia per scoprire nuovi siti archeologici nel Vicino Oriente. Queste immagini, che furono scattate dai satelliti Corona, Gambit e Hexagon tra il 1960 e il 1972, furono rilasciate al pubblico dal governo degli Stati Uniti negli anni ’90, dopo la fine della Guerra Fredda.
Si tratta di immagini ad alta risoluzione, che offrono una visione dettagliata del paesaggio prima che fosse alterato dalle attività umane moderne, perciò queste immagini rappresentano una fonte preziosa per gli archeologi, che possono usarle per individuare e studiare i resti di antiche civiltà che altrimenti sarebbero invisibili o inaccessibili.
“Un’attenta analisi di questi potenti dati racchiude un enorme potenziale per future scoperte nel Vicino Oriente e oltre. Speriamo che il nostro studio possa incoraggiare altri ricercatori a esplorare questi dati e a condividere le loro scoperte con il mondo.”
ha aggiunto Casana.
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