Sulla costa occidentale degli Stati Uniti, i fiumi atmosferici (correnti d’aria cariche di umidità) sono responsabili della maggior parte delle alluvioni, ma non tutte le tempeste di questo tipo hanno effetti disastrosi e a fare la differenza non è solo la quantità di pioggia, ma soprattutto quanto è già bagnato il terreno prima che arrivi la pioggia.

Un nuovo studio pubblicato il 4 giugno sul Journal of Hydrometeorology ha analizzato oltre 43.000 eventi atmosferici verificatisi tra il 1980 e il 2023 in 122 bacini idrografici della West Coast. L’obiettivo? Capire perché alcune tempeste provocano alluvioni devastanti, mentre altre di pari intensità no.
Fiumi atmosferici: il fattore chiave? L’umidità preesistente del suolo
Secondo i dati, le alluvioni risultano da 2 a 4,5 volte più intense quando il suolo è già saturo prima della pioggia. In parole semplici: un terreno bagnato agisce come uno scivolo, non come una spugna. Se la pioggia non può essere assorbita, finirà nei fiumi, causando esondazioni.

“Il rischio alluvionale non dipende solo dalla grandezza della tempesta, ma da ciò che succede sulla superficie terrestre”, spiega Mariana Webb, autrice principale dello studio e ricercatrice presso DRI e University of Nevada, Reno. “Il nostro lavoro mostra che esiste una soglia critica di saturazione del suolo: superata quella, i flussi aumentano drasticamente.”
Dove il suolo conta di più
Il team ha identificato le aree più sensibili alla variabilità dell’umidità del suolo: California e sud-ovest dell’Oregon. In questi territori aridi, i suoli sono generalmente poco profondi e ricchi di argilla, con scarsa capacità di assorbimento. Inoltre, la forte evaporazione rende l’umidità molto variabile.
Al contrario, in zone come Washington, le Cascate e la Sierra Nevada, la situazione è diversa: terreni più profondi, maggiore copertura nevosa e un assorbimento più costante. In questi contesti, conoscere l’umidità del suolo serve meno, perché il terreno è spesso già bagnato o protetto dalla neve.
Tecnologie e sfide di misurazione
Sistemi come la rete SNOTEL dell’USDA forniscono dati sull’umidità del suolo, ma la copertura è scarsa rispetto ad altri parametri meteo. Inoltre, all’interno di un singolo bacino, l’umidità può variare molto, rendendo necessaria una rete più capillare di sensori per ottenere previsioni attendibili.

L’obiettivo, secondo Webb e co-autrice Christine Albano (ecoidrologa del DRI), è unire le previsioni meteo dei fiumi atmosferici con dati in tempo reale sullo stato del suolo. Questo approccio ibrido può migliorare significativamente i sistemi di allerta precoce per eventi alluvionali.
Fiumi atmosferici: verso una gestione dei rischi più intelligente
Questo studio rappresenta un passo concreto verso una idrologia più integrata con la meteorologia. Spesso, infatti, le due discipline si fermano ai propri confini: i meteorologi si occupano dell’acqua fino a quando cade, gli idrologi da quando tocca terra.
“C’è bisogno di collegare i due mondi”, sottolinea Webb. “Solo così possiamo affrontare davvero il cambiamento climatico e i suoi effetti sulle infrastrutture e sulla sicurezza idrica.”
Conclusione
Riassumendo si può dire:
- I fiumi atmosferici non causano sempre alluvioni: dipende dallo stato del terreno.
- Suoli già saturi moltiplicano il rischio alluvionale anche con piogge moderate.
- Le aree aride come la California sono le più sensibili a questo fenomeno.
- Serve più monitoraggio in tempo reale dell’umidità del suolo per migliorare le previsioni.
- Una migliore integrazione tra scienze dell’atmosfera e idrologia può salvare vite e infrastrutture.