L’esistenza o la non esistenza di un oggetto o fenomeno teorico non impedisce ai fisici di studiarlo (fisica teorica), ed in primo luogo, tali indagini stabiliscono le basi per spiegare vari eventi noti, ed è concepibile che, se la matematica lo consente, l’universo possa esibire tali fenomeni. I buchi neri sono un chiarissimo esempio di tali oggetti, e per decenni, sono rimasti stranezze enigmatiche, causando enigmi all’interno della teoria della relatività generale di Einstein, fino a quando la loro scoperta nell’universo ha svelato i limiti della rinomata teoria redatta dal famoso fisico.
Anche prima che il primo buco nero –Cygnus X-1– fosse osservato nel 1971, numerosi scienziati della fisica teorica avevano lavorato diligentemente su questo concetto, e tra questi troviamo J. Robert Oppenheimer, che ha svolto un ruolo fondamentale nella stima della densità alla quale un oggetto si trasforma in un buco nero, un calcolo con implicazioni significative per alcune delle osservazioni più rivoluzionarie di oggi.
La relatività generale fu pubblicata nel 1915, e già nel 1916 il fisico tedesco Karl Schwarzschild –ricordato proprio per aver dato contributi fondamentali alla fisica teorica e alla relatività– trovò una soluzione alle equazioni di campo di Einstein che portò a un risultato particolare. La sua soluzione divenne singolare a un certo raggio, dove i termini dell’equazione divennero infiniti, e da queste prime descrizioni, abbiamo derivato il termine “singolarità” per descrivere un buco nero e il “raggio di Schwarzschild”, che indica l’orizzonte degli eventi di un buco nero.
Successivamente, gli scienziati hanno trascorso decenni a discutere la “fisicità” di questa soluzione, ed in tutte le elaborazioni di fisica teorica il presupposto era che le cose non sarebbero crollate su se stesse, con le forze interne che gli resisterebbero, ad esempio un pianeta non implode perché le forze tra i suoi atomi sono sufficienti a mantenere la stabilità, e una stella, sebbene molto più pesante, bilancia l’effetto della gravità con l’energia rilasciata dalla fusione nucleare nel suo nucleo.
Tuttavia, cosa succede quando una stella come il Sole smette di fondersi? Implode, o meglio, crolla su se stessa, eppure, all’epoca, non era percepito come un processo inarrestabile. Gli effetti della meccanica quantistica trasformerebbero l’oggetto in una sfera densa fatta di materia degenere, con il materiale interno che non si comporterebbe più come un plasma classico, ma entrerebbe invece in un nuovo stato in cui interagiscono elettroni, protoni e neutroni (tutti i tipi di fermioni).
Le ulteriori aggiunte alla fisica teorica sui buchi neri, fino ad oggi
I fermioni non possono occupare tutti contemporaneamente lo stesso stato energetico (questo è noto come principio di esclusione di Pauli) e questa proprietà crea una pressione che contrasta il collasso gravitazionale, ed oggi chiamiamo oggetti come queste “nane bianche” e il destino del Sole è quello di diventarne uno, tuttavia questa pressione quantistica non era un limite assoluto.
Nel 1931 Subrahmanyan Chandrasekhar calcolò che una nana bianca non può essere indiscriminatamente grande, ed un oggetto non rotante fatto di materia elettrodegenerata con una massa maggiore di 1,4 volte quella del Sole (ora noto come limite di Chandrasekhar) non ha una soluzione stabile, ma questo si è rivelato solo parzialmente corretto.
Il limite è ora visto come la quantità di materiale che una nana bianca può accumulare da una stella compagna prima di diventare una supernova, questa è nota come supernova di tipo Ia e tutte hanno la stessa luminosità, il che le rende eccellenti candele standard per misurare le distanze delle galassie. Allora, qual è la soluzione stabile che è ancora più densa di una nana bianca? Bene, quella è una stella di neutroni.
Sempre agli “albori” della fisica teorica, mentre le nane bianche stavano diventando note alla scienza nello stesso momento in cui si svolgevano queste discussioni teoriche, le stelle di neutroni non erano ancora state scoperte; ci volle Jocelyn Bell Burnell nel 1967 con la scoperta delle prime pulsar (stelle di neutroni pulsanti) per portarle dalla teoria, alla realtà.
Le stelle di neutroni consentono masse e densità maggiori e quel limite è ora noto come limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff (TOV), dal nome di Oppenheimer e George Volkoff, che lo elaborarono nel 1939, basandosi sulla ricerca di Richard Tolman.
Per masse al di sotto di questo limite, la repulsione dei neutroni a corto raggio è sufficiente per bilanciare la gravità ma, per masse maggiori, la stella di neutroni collasserà in un buco nero. Il limite determina in che modo le stelle massicce che diventano supernove possono trasformarsi in stelle di neutroni o buchi neri, a seconda della loro massa originale.
Di recente, abbiamo avuto l’opportunità di testare il limite TOV utilizzando alcuni degli strumenti più avanzati a nostra disposizione: gli osservatori di onde gravitazionali. Le osservazioni storiche di una collisione tra stelle di neutroni (con conseguente formazione di un buco nero) ci hanno permesso di stimare il limite in uno scenario reale e, sebbene Oppenheimer abbia lavorato a questo problema di fisica teorica molto prima che conoscessimo le stelle di neutroni e i buchi neri come oggetti reali, la loro scoperta non ha risolto tutti i misteri che li circondano.
La collisione di stelle di neutroni pone il limite tra 2,01 e 2,17 masse solari, tttavia la pulsar più massiccia conosciuta è 2,35 volte la massa del Sole, pertanto il percorso per comprendere gli oggetti più densi dell’universo è probabilmente ancora lungo, ma alcune delle menti di fisica teorica più importanti e brillanti del 20° secolo hanno avuto un ruolo cruciale in ciò che conosciamo e comprendiamo finora.
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