Immagina una sera d’estate del 1875, a Maffersdorf, nella campagna boema dell’impero asburgico, nasce un bambino destinato a far vibrare il mondo su quattro ruote. La provincia racconta storie lente e solide, il padre Anton – abile carrozziere – immagina un mestiere antico, artigiano, duraturo, ma il piccolo Ferdinand Porsche, curioso fino all’ossessione, sa che gli impulsi non si fermano.
Ha solo tredici anni quando inizia a smanettare con i fili e i contatti elettrici, installa campanelli elettrici nella casa di famiglia, luci nascoste, circuiti improvvisati, e malgrado il disappunto del genitore, Ferdinand Porsche costruisce un laboratorio segreto fra attrezzi e sudario di tensione –un santuario dell’elettricità che lo richiama come una musa luminosa–.

È una scintilla fuori dal tempo e mentre la modernità industriale dilaga, Ferdinand Posche la anticipa nella sua stanza, e a soli diciotto anni entra in uno studio ingegneristico di Vienna, la Bela Egger & Co, e un attimo dopo costruisce un motore elettrico da ruota rivoluzionario, questo perché trasferisce la trazione direttamente sul cerchione –anticipando di oltre cento anni i concetti di propulsione moderna–.
Ferdinand Porsche non è un ragazzino che copia o ripete, bensì è un bambino che ride di fronte all’ignoto, e nel 1900, la sua “Lohner-Porsche” – un bolide silenzioso e elettrificato – è salutato all’Esposizione Universale di Parigi come il futuro che bussava alla porta.
Ovviamente questo progetto non è da solo, il giovane Ferdinand Porsche unisce motore a scoppio e motori elettrici in un pianeta chiamato “Mixte-Wagen”, il primo ibrido della storia automobilistica, sotto il cofano, c’è la visione di qualcosa di radicale, un motore d’invenzione, non un semplice assemblaggio.
Il futuro del giovane Ferdinand Porsche e la gloria
Nel 1906, il talento di Ferdinand Porsche viene notato e viene assunto come Direttore Tecnico all’Austro-Daimler, e anche questo, non è soltanto un ruolo, bensì il palco su cui inizia davvero a orchestrare l’alta velocità, l’affinamento aerodinamico, la scintilla delle competizioni.
Vince, guida, progetta, e nel 1910 conquista la Targa Florio con una vettura da lui concepita, toccando i 140 km/h, un lampo sulla strada del passato –sebbene oggi siano il nulla, comparato alla propulsione delle auto EV–.
La guerra e l’arte ingegneristica si mescolano, come spesso accade nelle epoche complicate, con Ferdinand Porsche che disegna motori per aeroplani, trattori e la sua figura cresce, poi nel 1917 vien riconosciuto come Direttore Generale dell’Austro-Daimler e, nella stessa stagione, riceve un dottorato honoris causa – da lì, “Dr. Ing. h.c.” si affianca al suo nome come medaglia d’oro.

Arriva poi il 1923, e così come ogni generazione inventa i suoi nomi, Ferdinand si sposta a Stoccarda come Direttore Tecnico della Daimler-Motoren-Gesellschaft (che presto diventa Daimler-Benz), e qui arrivano le “S, SS, SSK”, immagina il rombo, l’eleganza, il ruggito di un’epoca che comincia a esigere sogni meccanici, mentre lui li disegna, li affina, li lancia sulle corse e li fa urlare di gioia.
Ma i sogni non si fermano, e nel 1931 fonda nella stessa Stoccarda il suo studio di progettazione: Dr. Ing. h.c. F. Porsche GmbH, il quale non è ancora un marchio di auto, ma una fucina di idee, dall’aerodinamica allo stile, dalle turbine ai motori, Ferdinand inizia a tessere un tessuto che verrà riconosciuto solo più tardi.
Poi il 1934, dove nel cuore di un regime che parla di “Für das Volk” – per il popolo – Hitler incarica Porsche di disegnare un’auto economica per tutti: nascerà il “Volkswagen”. Quel progetto diventa una leggenda su ruote con il Maggiolino, destinato a diventare uno dei veicoli più venduti della storia, e nemmeno a dirlo, dietro, c’è Ferdinand e il suo team, che stampano il sogno di democrazia sulla carrozzeria curva.
Ma, come ogni storia, anche questa ha lati oscuri, Ferdinand Porsche infatti diventato cittadino tedesco nel 1934, si iscrive al partito nazista e all’SS, si ritrova nel mezzo del vortice bellico, disegnando non solo auto da strada ma carri armati: il Tiger I, l’Elefant, il Maus –prototipi imponenti destinati a cambiare la Storia con la violenza–.
Quando la guerra finisce, nel 1945, viene arrestato dai francesi, ma per un attimo la visione paterna viene sospesa e suo figlio Ferry – erede di ingegneria, di sogno e di genio – si aggrappa al progetto Porsche. In un’officina rifugiata in Austria, a Gmünd, inizia a forgiare il primo modello che porta il nome Porsche: la 356, nel 1948. È un taglio netto, un passaggio generazionale, da progettista di regime a creatore di bellezza sportiva.

Ferdinand Porsche muore il 30 gennaio 1951, a 75 anni, il suo corpo lascia il mondo, ma il mondo continua a correre con le auto nate dalle sue mani (e da quelle del figlio), con il marchio che oggi conosciamo –eleganza, potenza, design– che porta ancora i contorni della sua mente visionaria.
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