Che cos’è la felicità? Un pensiero etereo che aleggia nell’aria oppure qualcosa di concreto? È forse una vita senza problemi o la chiave di tutti i problemi che la vita ci propone ad un ritmo serrato, senza sconti per nessuno? E specialmente, esiste la felicità? Una famosa massima recita: “La felicità esiste, ne ho sentito parlare”, e a quanto pare ne hanno sentito parlare anche i ricercatori di Harvard, in oltre 75 anni di studi.
Una ricerca che ci risveglia dal torpore al quale ci avevano abituati Albano e Romina, dicendoci che è un bicchiere di vino con un panino la felicità, e che è un biglietto dentro un cassetto, (poco importa se nel biglietto c’è scritto: “Voglio il divorzio”), la felicità. Insomma mentre crollano tutte le nostre certezze, cerchiamo di capire insieme cosa sia la felicità secondo i rigidi dettami della scienza.
La felicità esiste: ecco cosa hanno scoperto ad Harvard
In attesa che ci dicano anche dov’è ubicato il Santo Graal, per adesso godiamoci questa ricerca sviluppata da un team di studiosi di Harvard, che ci vogliono raccontare cosa sia realmente la felicità, grazie ad uno dei più lunghi studi longitudinali mai condotti: ” The Study of Adult Development “. La ricerca ha seguito due gruppi di uomini negli ultimi 80 anni per identificare i predittori psicosociali di un invecchiamento sano. I ricercatori hanno raccolto un vademecum di dati sulla loro salute fisica e mentale.
Lo studio sulla felicità ha anche una data di nascita anche abbastanza recente: anno 1938, come a dire che tutto quello che è stato pensato, detto e fatto dalle menti più illustri sull’argomento, dovesse chinare il capo davanti ad un metodo scientifico, e che sia la rigorosa ricerca scientifica a dirci cosa sia la felicità, la dice lunga sull’argomento.
Dicevamo, tutto inizia nel 1938, non a caso l’anno della Grande Depressione, quando un’equipe di scienziati decise di monitorare un campione di 268 studenti del secondo anno di Harvard, sperando che lo studio longitudinale avrebbe rivelato indizi per condurre una vita sana e felice.
L’esito dello studio è stato rivelato dal direttore dello Studio, Robert Waldinger , psichiatra del Massachusetts General Hospital e professore di psichiatria alla Harvard Medical School, che ha dichiarato: “La scoperta sorprendente è che le nostre relazioni e quanto siamo felici in le nostre relazioni hanno una forte influenza sulla nostra salute, prendersi cura del proprio corpo è importante, ma prendersi cura delle proprie relazioni è anche una forma di cura di sé”.
Allora, iniziamo a prendere appunti: relazioni felici, cura di sé, ecco i primi due tasselli dell’equazione che conduce alla felicità. E chi lo avrebbe mai detto che avere relazioni soddisfacenti potesse renderci felici? Veramente sorprendente, ma non è mica finita qui.
Infatti lo studio ha rivelato che le nostre relazioni intime, più del denaro o della fama, sono l’elemento chiave che ci fa andare avanti per tutta la vita. Gli stretti legami di relazione ci proteggono dal malcontento della vita e da tutto ciò che va storto nella nostra vita, le relazioni strette ritardano il nostro declino mentale e fisico e sono migliori predittori di vite lunghe e felici rispetto all’alta classe sociale, al buon QI o persino ai buoni geni.
Il sospetto che le persone intelligenti allontanino la felicità dalle loro vite mi era venuto, e devo dire che è triste averne conferma. Ad essere felici sono le persone che sono soddisfatte delle loro relazioni all’età di 50 anni con una buona ripercussione sulla salute fisica, ci dicono da Harvard.
“Era quanto fossero soddisfatti delle loro relazioni. Le persone che erano le più soddisfatte nelle loro relazioni all’età di 50 anni erano le più sane all’età di 80 anni”. Il direttore dello studio ha detto in un popolare discorso TED intitolato “Cosa rende bella la vita? Lessons from the Longest Study on Happiness”, nel 2015, ed è stato visto 13.000.000 di volte. Io ho 48 anni mentre scrivo questo articolo, e sto iniziando a preoccuparmi.
Waldinger ha osservato “La solitudine uccide, è potente come il fumo o l’alcolismo”. Ma come? E l’importanza di imparare a stare da soli, di bastare a sé stessi? Per tutti questi anni ce l’hanno raccontata? Adesso la solitudine è un veleno. Va bene, lo posso accettare, però forse lo è se esasperata, come qualsiasi cosa portata all’eccesso. Lo scienziato ha anche affermato che le persone che hanno mantenuto relazioni affettuose possono vivere più a lungo e più felici e che i solitari spesso muoiono prima.
“Quando è iniziato lo studio, a nessuno importava dell’empatia o dell’attaccamento”, ha detto Vaillant. “Ma la chiave per un invecchiamento sano sono le relazioni, le relazioni, le relazioni”. Waldinger ha aggiunto: “Si scopre che le persone che sono più socialmente legate alla famiglia, agli amici, alla comunità sono più felici, sono fisicamente più sane e vivono più a lungo delle persone che sono meno ben collegate”. Se non fosse chiaro, la chiave per un invecchiamento sano sono le relazioni.
Al contrario, vivere la solitudine è tossico. Waldinger sottolinea che le persone possono persino sentirsi sole in mezzo a una folla di persone o nel loro matrimonio: “Le persone che sono più isolate di quanto vorrebbero essere dagli altri scoprono di essere meno felici, la loro salute peggiora prima nella mezza età, il funzionamento del loro cervello diminuisce prima e vivono vite più brevi rispetto alle persone che non sono sole”, ha spiegato Waldinger.
Gli esseri umani sono una specie intensamente sociale. È letteralmente una questione di vita o di morte. Nel nostro passato ancestrale, se fossimo stati improvvisamente isolati e cacciati dalla tribù, ciò avrebbe significato la nostra inevitabile morte. Quindi, i comportamenti responsabili di garantire la connessione sociale – e quindi il successo nella vita – avrebbero avuto una forte pressione selettiva e questo accade ancora.
La tecnologia, e la vita moderna più in generale, il progresso a tutto tondo ci fa trascorrere più tempo da soli di quanto ne abbiamo trascorso in tutta la storia umana. E ci rende terribilmente infelici, secondo gli studiosi di Harvard.
Si stima che i primi umani nelle società di cacciatori-raccoglitori avrebbero trascorso la maggior parte del loro tempo l’uno con l’altro. Avrebbero fatto praticamente tutto insieme in ogni momento di veglia: lavorare, preparare il cibo, mangiare. Anche il tempo libero e i momenti di celebrazione rituale sarebbero stati un’esperienza di gruppo.
Oggi Quasi un terzo delle persone nei cosiddetti paesi occidentali sviluppati vive da solo. Queste persone sono veramente sole per circa 8-10 ore al giorno, tutti i giorni. Per le persone che vivono con gli altri, sono circa 5-7 ore al giorno. Man mano che le persone invecchiano, trascorrono quasi la metà del loro tempo di veglia da sole. Però se viviamo soli, ci sarà un perché. Questo è stato indagato dai ricercatori di Harvard?
Secondo la ricerca, dobbiamo guardare al futuro ed essere intenzionali riguardo alle società e alle culture che vogliamo costruire. Dobbiamo facilitare il naturale bisogno di connettersi, appartenere e socializzare.
Le nostre tecnologie, le infrastrutture cittadine, le organizzazioni governative e aziendali e il modo in cui facciamo affari dovrebbero sempre tenere conto del fatto che noi esseri umani possiamo sopravvivere solo connettendoci gli uni con gli altri. Altrimenti, ci ritroveremo con una società incredibilmente avanzata, con poca felicità e umanità rimaste.
Altri fattori realmente importanti sono la genetica e capitare nel luogo giusto al momento giusto. Il filosofo tedesco Martin Heidegger chiama questo Geworfen. Quindi se avete un amico che, come si dice in Italia, è nato con la camicia, gli potrete dire che ha un gran geworfen. Non vi renderà felici ma farete sicuramente un figurone.
Nascere in una famiglia specifica, in una particolare cultura o religione, in un dato momento della storia umana è una questione di pura fortuna. Queste due cose, genetica e Geworfen, sono al di fuori del nostro controllo e contano.
Il Grant Study è composto da 268 laureati di Harvard delle classi del 1939-1944 e il gruppo di Glueck Study è composto da 456 uomini cresciuti nei quartieri del centro città di Boston.
Lo studio è particolarmente interessato a quali variabili psicosociali e processi biologici precoci nella vita predicono la salute e il benessere in tarda età (anni ’80 e ’90), quali aspetti dell’infanzia e dell’esperienza adulta predicono la qualità delle relazioni intime in tarda età e come il matrimonio in tarda età è legato alla salute e al benessere. Ora stanno iniziando a studiare i figli dei nostri partecipanti originali al nostro studio G2 (Seconda Generazione).