Ancora poco esplorato, il fondo degli oceani ospita molte specie sconosciute, si è evoluto per sopravvivere a pressioni estreme, basse temperature, mancanza di luce e sostanze nutritive. Eppure, anche in questa regione, esplorata solo da una manciata di esploratori in sottomarini appositamente costruiti, si possono trovare tracce umane. Eurythenes Plasticus, una nuova specie di anfipode, crostacei di piccole e medie dimensioni trovati in ambienti acquatici in tutto il mondo, descritti in un articolo pubblicato sulla rivista Zootaxa, è stato nominato da un team di ricercatori dell’Università inglese di Newcastle dopo che l’inquinamento plastico è stato riscontrato nel suo intestino.
L’Eurythenes plasticus somiglia a un gambero di circa due pollici di lunghezza e fu catturato a una profondità di 20.000 piedi nella fossa delle Marianne nell’Oceano Pacifico tra il Giappone e le Filippine e sotto la Great Pacific Garbage Patch; ti voglio ricordare che le Fosse delle Marianne sono il punto più profondo della superficie terrestre, raggiungendo una profondità di oltre 36.000 piedi (11.000 metri).
L’Eurythenes plasticus prende il nome da pezzi di polietilentereftalato che gli scienziati, durante l’esamina, hanno scoperto nelle viscere dell’animale; se non lo sapessi il polietilentereftalato, comunemente abbreviato in PET, è una comune resina plastica utilizzata nelle fibre per l’abbigliamento, negli imballaggi per alimenti e nelle bottiglie per liquidi, usate tra l’altro nella pesca illegale al canonizzo.
Con questo nome, i ricercatori sperano di attirare l’attenzione sul crescente problema dell’inquinamento da plastica e dei suoi effetti sull’ambiente, e l’autore principale dell’articolo che descrive le nuove specie, Alan Jamieson, afferma:
“Stiamo solo facendo una dichiarazione per dire che ora siamo nel punto in cui stiamo guardando una nuova specie da un habitat inesplorato ed è già contaminata con la plastica”.
Eurythenes plasticus: come ha ingerito la plastica?
A partire dal 2017, ogni anno vengono prodotte oltre 100 milioni di tonnellate di resine polietileniche, pari al 34% del mercato totale delle materie plastiche e i fiumi trasporteranno rifiuti di plastica verso gli oceani.
Nel mare, il moto perpetuo delle onde romperà gli oggetti di plastica in piccoli pezzi di plastica e quei frammenti “microplastici” sono quindi distribuiti in tutto il mondo dalle correnti marine. Di dimensioni simili al plancton, gli animali che si nutrono nel mare inevitabilmente ingeriranno anche la microplastica, compresi i composti potenzialmente tossici come i pigmenti usati per tingere il materiale plastico.
Sempre secondo Jamieson:
“La plastica nel mare raccoglie questi contaminanti e finisce per affondare, gli animali delle profondità marine poi lo mangiano e poi, sempre quei contaminanti, vanno a finire nel sangue dell’animale andandone a ridurre drasticamente il processo riproduttivo”.
Fortunatamente al giorno d’oggi ci sono varie multinazionali che si battono per risolvere alcuni dei problemi che influiscono con l’inquinamento marino (in modo da evitare altri casi come quello del Eurythenes plasticus) quali la pesca e, l’esempio più recente é la multinazionale Alphabet con il suo progetto Tidal; tuttavia il lavoro da fare é ancora enorme, anche a detta di chi ha sostenuto il progetto ovvero dal World Wide Fund for Nature (WWF).
Sempre portando come esempio il Eurythenes plasticus, Katinka Day, No Plastic in Nature Policy Manager presso il WWF-Australia, ha dichiarato che 8 milioni di tonnellate di plastica sono state scaricate negli oceani del mondo ogni anno, con il 53% proveniente dal sud-est asiatico in quanto, le esportazioni di rifiuti di plastica da nazioni benestanti, tra cui l’Australia, finiscono spesso in discariche all’aperto nel sud-est asiatico per poi riversarsi nei fiumi e infine nell’oceano.
“La plastica è nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo e ora negli animali che vivono in uno dei luoghi più remoti della terra. Questo è un disastro globale che richiede alle nazioni di tutto il mondo di intraprendere azioni collettive sia su scala nazionale che internazionale”.
Questo é quanto ha detto Day.