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Psicologia

Esperienze extracorporee: un meccanismo di difesa di un dolore profondo?

Un velo di mistero avvolge le esperienze extracorporee, quelle sensazioni in cui la mente si percepisce slegata dalla realtà corporea. Ma al di là della loro enigmatica natura, emerge una nuova, interessante ipotesi: potrebbero essere la risposta inconscia a un dolore profondo, un'ultima, disperata difesa della psiche di fronte a traumi indelebili

Denise Meloni 21 ore fa Commenta! 9
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Una nuova ricerca condotta dalla facoltà di medicina dell’Università della Virginia suggerisce una prospettiva innovativa sulle esperienze extracorporee (OBE), quei momenti in cui le persone percepiscono di essere spiriti disconnessi dalla propria forma fisica. Questa indagine propone che tali esperienze possano rappresentare un meccanismo di difesa innescato da traumi o altri tipi di stress soverchianti. Questa ipotesi mette in discussione la convinzione diffusa che le OBE siano esclusivamente un sintomo di una malattia mentale.

Contenuti di questo articolo
Riscrivere la narrativa sulle esperienze extracorporee: oltre la malattia mentaleMetodologia di studio e caratteristiche delle OBEImplicazioni per la pratica clinica e la ricerca futura
Esperienze extracorporee: un meccanismo di difesa di un dolore profondo?
Esperienze extracorporee: un meccanismo di difesa di un dolore profondo?

Riscrivere la narrativa sulle esperienze extracorporee: oltre la malattia mentale

Basandosi su dati raccolti da oltre 500 individui, i ricercatori, tra cui la dottoressa Marina Weiler dell’UVA Health, sostengono una visione più sfumata. Essi suggeriscono che le OBE potrebbero indicare un problema sottostante, il quale potrebbe rappresentare un obiettivo terapeutico più efficace rispetto alle esperienze extracorporee stesse.

Come sottolinea la dottoressa Weiler, neuroscienziata della Divisione di Studi Percettivi dell’Università della Virginia, molte persone che vivono esperienze extracorporee tendono a tenerle nascoste per paura di essere giudicate o etichettate come affette da malattia mentale, una percezione purtroppo ancora diffusa tra molti professionisti della salute mentale.

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Esperienze extracorporee: un meccanismo di difesa di un dolore profondo?

Il lavoro di ricerca ha rivelato che gli individui che hanno riportato esperienze extracorporee tendono a manifestare una salute mentale complessivamente peggiore rispetto a chi non ne ha avute.

I risultati indicano anche che le OBE potrebbero servire da meccanismo di coping in risposta a traumi pregressi, piuttosto che essere la causa diretta di una malattia mentale. Questa scoperta invita gli operatori della salute mentale a riconsiderare la loro interpretazione di queste esperienze, approcciandole con maggiore apertura e sensibilità per offrire un supporto più adeguato.

Metodologia di studio e caratteristiche delle OBE

I ricercatori hanno notato che un numero significativo di individui che riferiscono esperienze extracorporee (OBE) le percepiscono come intrinsecamente benefiche. Uno studio ha evidenziato come il 55% di coloro che hanno vissuto un’OBE abbia riportato un cambiamento positivo in seguito, e un notevole 71% ha trovato l’esperienza un beneficio duraturo. Addirittura, un consistente 40% le ha descritte come l’evento più significativo e positivo della propria vita. Inoltre, molti di coloro che hanno sperimentato un’OBE hanno manifestato una minore paura della morte, una maggiore pace interiore e una più ampia apertura verso nuove prospettive sulla natura dell’esistenza.

Esperienze extracorporee: un meccanismo di difesa di un dolore profondo?

Per approfondire la comprensione delle OBE, la dottoressa Weiler e i suoi collaboratori hanno raccolto dati online da un campione di individui di età pari o superiore a 18 anni. È stato chiesto loro di confermare se fossero certi di aver avuto un’OBE e di fornire dettagli sulla loro storia clinica, inclusa quella relativa alla salute mentale. L’età media delle prime esperienze extracorporee riportate era precoce, spesso verificandosi durante l’infanzia.

Tra i partecipanti che hanno avuto OBE, l’80% ha riferito da una a quattro esperienze, mentre il restante 20% ne ha riportate cinque o più. Il 74% degli intervistati ha descritto le proprie OBE come spontanee, mentre il 9% le ha attribuite all’uso di sostanze psicoattive e l’8,2% ha dichiarato di averle indotte autonomamente tramite meditazione, visualizzazione o altri mezzi. Solo lo 0,7% ha menzionato l’ipnosi come fattore scatenante.

Gli scienziati hanno rilevato che i partecipanti che avevano avuto un’esperienza di OBE mostravano una maggiore frequenza di diagnosi di problemi di salute mentale rispetto a chi non ne aveva avuta una. Inoltre, più tempo era trascorso dalla prima OBE, maggiore era la probabilità che a quell’individuo fosse stato diagnosticato un disturbo di salute mentale.

Esperienze extracorporee: un meccanismo di difesa di un dolore profondo?

La dottoressa Weiler e i suoi colleghi ipotizzano che le OBE in sé non siano la causa diretta di tali problematiche. Piuttosto, suggeriscono che le esperienze extracorporee potrebbero rappresentare tentativi inconsci da parte dell’individuo di distanziarsi da dolore, trauma o altre “realtà angoscianti”. Il team di ricerca ha infatti riscontrato alti livelli di traumi infantili nel gruppo che ha riportato OBE, suggerendo che queste esperienze potrebbero configurarsi come una “risposta dissociativa a stress o dolore emotivo soverchianti”. Questa prospettiva apre nuove vie per la comprensione e il trattamento del benessere mentale in relazione a fenomeni percettivi così complessi.

Implicazioni per la pratica clinica e la ricerca futura

La nuova ricerca sta ridefinendo il modo in cui comprendiamo le esperienze extracorporee (OBE). Come affermano i ricercatori nel loro recente articolo scientifico, questa visione “sposta l’attenzione dalla causalità alla possibilità che le OBE possano emergere anche come conseguenza, come strategia di adattamento per affrontare esperienze difficili o traumatiche.” Questa ricalibrazione concettuale ha profonde implicazioni per la comprensione clinica e pubblica di questi fenomeni.

Sulla base delle loro scoperte, i ricercatori auspicano che vengano condotte ulteriori indagini per esplorare le potenziali ricadute sul trattamento della salute mentale ricevuto dagli individui che hanno vissuto un’OBE. La dottoressa Marina Weiler, autrice dello studio, sottolinea come l’interpretazione delle OBE non più come sintomi di patologia, ma piuttosto come meccanismi di adattamento – specialmente in risposta a traumi – possa innescare cambiamenti significativi nella pratica clinica, nella ricerca e nella percezione pubblica.

Esperienze extracorporee: un meccanismo di difesa di un dolore profondo?

In definitiva, l’ambizione primaria derivante da questa nuova comprensione delle esperienze extracorporee (OBE) è duplice: da un lato, si mira a ridurre drasticamente lo stigma che troppo spesso le circonda, dall’altro, a incentivare le persone a cercare il supporto necessario senza timore di giudizio. Promuovere un senso di comunità e resilienza tra coloro che vivono queste esperienze diventa quindi un obiettivo cruciale per migliorare il benessere e la qualità della vita di questi individui.

Per troppo tempo, le OBE sono state relegate al regno del mistero, della patologia o, peggio ancora, del delirio. Questa categorizzazione affrettata ha spesso generato vergogna e isolamento per chi le vive, portandoli a nascondere le proprie esperienze per paura di essere etichettati come malati mentali. La nuova prospettiva scientifica, che le vede potenzialmente come meccanismi di adattamento a traumi o stress, offre una narrazione più compassionevole e validante.

Riconoscere che un’OBE può essere una risposta inconscia a un dolore profondo, anziché un sintomo di disfunzione, può liberare gli individui dalla pressione di conformarsi a aspettative sociali restrittive. Questo cambiamento di paradigma è fondamentale per aprire le porte al dialogo e permettere a chi vive le OBE di sentirsi al sicuro nel condividere le proprie esperienze, cercando il supporto di professionisti della salute mentale e di comunità di pari.

Esperienze extracorporee: un meccanismo di difesa di un dolore profondo?

L’instaurazione di un senso di comunità è vitale. Quando le persone che vivono OBE si rendono conto di non essere sole, ma parte di un gruppo più ampio di individui con esperienze simili, il senso di isolamento diminuisce drasticamente. Condividere le proprie storie, le sfide e anche i potenziali benefici delle OBE in un ambiente non giudicante può fungere da potente strumento di tenacia.

La comprensione reciproca e il supporto tra pari possono aiutare a elaborare eventuali traumi sottostanti e a integrare queste esperienze nella propria vita in modo costruttivo. Questo non solo rinforza il benessere individuale, ma contribuisce anche a creare una cultura di maggiore apertura e accettazione nei confronti di fenomeni percettivi che, sebbene non comuni, sono parte dell’esperienza umana. In questo modo, l’obiettivo ultimo è trasformare quelle che erano percepite come anomalie in opportunità di crescita e di profonda auto-comprensione.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Personality and Individual Differences.

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