Negli ultimi anni, l’energia nucleare spaziale ha attirato un crescente interesse nel settore aerospaziale, segnando un punto di svolta significativo. Tecnologie come la propulsione nucleare elettrica e la propulsione nucleare termica, dopo decenni di ricerca e sviluppo, sono ora vicine alla maturazione e pronte per applicazioni operative, ciononostante per realizzare appieno il loro potenziale, è fondamentale un impegno costante e investimenti sostenuti da parte di enti governativi e dell’industria.

Kristin Houston, presidente dei sistemi di propulsione e potenza spaziale presso L3Harris Technologies, ha sottolineato che queste soluzioni potrebbero essere pronte per il volo entro i prossimi cinque anni.
L3Harris, attraverso l’acquisizione di Aerojet Rocketdyne, ha consolidato la sua posizione come fornitore leader di sistemi di propulsione ad energia nucleare spaziale per la NASA, con un esempio emblematico che è la fornitura del Generatore Termoelettrico a Radioisotopi Multi-Missione per la missione Dragonfly della NASA su Titano, la luna più grande di Saturno, con lancio previsto nel luglio 2028 e arrivo nel 2034.
Parallelamente, il programma Fission Surface Power della NASA mira a sviluppare sistemi di energia nucleare spaziale per operazioni sulla superficie lunare e marziana. Attualmente, tre team sono in competizione: Westinghouse con L3Harris, Lockheed Martin e X-Energy. Questo programma rappresenta una pietra miliare cruciale per comprendere le priorità di finanziamento a lungo termine della NASA per l’infrastruttura lunare e marziana.
Le applicazioni dell’energia nucleare spaziale si dividono principalmente in due categorie: generazione di energia e propulsione.
Per la generazione di energia, i generatori termoelettrici a radioisotopi convertono il calore derivante dal decadimento radioattivo in elettricità, fondamentali per missioni che si estendono oltre l’orbita terrestre, dove l’energia solare è insufficiente.
Per la propulsione, la propulsione nucleare termica utilizza reattori nucleari per riscaldare un propellente, offrendo un impulso specifico doppio rispetto ai sistemi chimici tradizionali, mentre la propulsione nucleare elettrica converte l’energia termica del reattore in elettricità per alimentare propulsori elettrici, ideali per missioni di lunga durata.

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha mostrato un interesse crescente per questa energia nucleare spaziale, in particolare per la propulsione nucleare termica, che potrebbe facilitare il posizionamento rapido di satelliti in orbite cislunari.
Detto ciò, la collaborazione tra aziende private e agenzie governative è essenziale per affrontare le sfide tecniche e normative associate all’energia nucleare spaziale, investimenti continui e una visione a lungo termine sono fondamentali per garantire che queste tecnologie emergenti possano contribuire in modo significativo alle future missioni spaziali, sia per scopi scientifici che di sicurezza nazionale.
La corsa nell’ottenere l’energia nucleare spaziale: sfide e opportunità
L’utilizzo dell’energia nucleare spaziale rappresenta una delle più promettenti –e complesse– frontiere dell’ingegneria moderna. Mentre la tecnologia continua a evolversi, le barriere da superare non sono solo di natura tecnica, ma anche regolatoria, strategica e persino culturale. I recenti sviluppi evidenziano come sia giunto il momento di scelte decisive.
Tra innovazione e burocrazia: gli ostacoli normativi
Uno dei problemi più critici che l’industria affronta per lo sviluppo dell’energia nucleare spaziale è rappresentato dalla frammentazione normativa. Negli Stati Uniti, ad esempio, la regolamentazione per il lancio di materiali nucleari nello spazio è condivisa tra diversi enti, tra cui il Dipartimento dell’Energia (DOE), la NASA, la Federal Aviation Administration (FAA) e la Commissione Regolatrice per il Nucleare (NRC).
Questo mosaico di competenze può creare incertezze per le aziende, che necessitano di chiarezza e rapidità decisionale per attrarre investimenti e pianificare missioni a lungo termine.

Nel 2019, l’ordine esecutivo Space Policy Directive-6 ha tentato di semplificare questo panorama, promuovendo un approccio integrato e responsabile all’uso dell’energia nucleare nello spazio, ciononostante l’implementazione concreta di tali direttive richiede tempo e collaborazione trasversale tra agenzie con priorità spesso divergenti.
Una questione strategica: la competizione globale
L’energia nucleare spaziale non è solo una tecnologia: è uno strumento di potere geopolitico. Stati Uniti, Cina e Russia stanno investendo pesantemente in questo settore, consapevoli che la capacità di operare efficacemente nello spazio profondo o su superfici extraterrestri sarà determinante nel prossimo secolo.
La Cina ha annunciato di voler costruire un sistema di alimentazione nucleare da 1 megawatt entro il 2030 per le sue missioni lunari e marziane, mentre la Russia, storicamente attiva nel campo della propulsione nucleare, sta lavorando al reattore spaziale Topaz-2 e ad altri sistemi avanzati.
In questo contesto, gli Stati Uniti rischiano di perdere il vantaggio competitivo se non garantiranno un flusso costante di investimenti e una roadmap chiara per l’adozione su larga scala delle tecnologie nucleari nello spazio.
Energia per vivere e lavorare oltre la Terra
Se da un lato l’energia nucleare spaziale offre vantaggi evidenti per missioni interplanetarie –riducendo i tempi di viaggio, aumentando la flessibilità delle traiettorie e permettendo il trasporto di carichi più pesanti– dall’altro, l’alimentazione energetica tramite reattori è cruciale per la sopravvivenza e il funzionamento di basi umane sulla Luna e su Marte.
Un insediamento umano lunare, ad esempio, deve affrontare notti che durano 14 giorni terrestri, durante i quali l’energia solare non è disponibile, pertanto un reattore a fissione da 40 kilowatt –come quelli previsti dal progetto Fission Surface Power della NASA– potrebbe fornire elettricità continua per habitat, laboratori e sistemi di supporto vitale, rendendo la permanenza sostenibile.
In ambienti ostili come quello marziano, dove le tempeste di polvere possono oscurare il cielo per settimane o mesi, l’energia nucleare rappresenta la soluzione più affidabile per garantire l’autosufficienza energetica.
Collaborazione pubblico-privato: il nuovo paradigma dell’innovazione spaziale
Il modello di sviluppo che sta emergendo non si basa più esclusivamente sul ruolo delle agenzie governative, ed aziende come L3Harris, Lockheed Martin e X-Energy stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante nella progettazione e produzione di sistemi nucleari per lo spazio.
Questa evoluzione è coerente con una tendenza più ampia, in cui il settore privato guida l’innovazione tecnologica mentre il pubblico fornisce sostegno normativo e finanziario.
Malgrado ciò, per far funzionare questo ecosistema servono incentivi stabili, contratti a lungo termine e la certezza che il governo continuerà a investire anche in assenza di un ritorno immediato. Come sottolineato da più voci del settore, lo sviluppo dell’energia nucleare spaziale non può seguire la logica dei cicli politici quadriennali, ma richiede visioni e impegni decennali.
Rischi e percezioni pubbliche: la sfida della comunicazione

Oltre agli aspetti ingegneristici e politici, non va sottovalutata l’importanza dell’opinione pubblica, infatti l’uso dell’energia nucleare, anche nello spazio, continua a evocare paure e controversie. Incidenti come quelli di Chernobyl o Fukushima hanno segnato l’immaginario collettivo, e qualsiasi fallimento legato al lancio o alla gestione di materiali radioattivi spaziali potrebbe provocare un contraccolpo mediatico e politico devastante.
Pertanto, è essenziale investire nella comunicazione e nella trasparenza, spiegando in modo accessibile i vantaggi, i controlli di sicurezza e la differenza tra l’energia nucleare civile, quella bellica e quella spaziale. Solo così sarà possibile ottenere l’approvazione e il sostegno dell’opinione pubblica, componente imprescindibile per la continuità dei programmi.
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