In un recente studio, il professor Dale Nyholt della QUT e il Ph.D. della QUT. Il ricercatore Rafiqul Islam, descrive l’utilizzo di statistiche riassuntive su larga scala di studi di associazioni su tutto il genoma (GWAS) per analizzare centinaia di migliaia di genomi umani da chi soffre di mal di testa ed emicrania e non ne soffre.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Human Genetics.
Emicrania collegata a tratti glicemici nel sangue: ecco cosa dice la ricerca
Il professor Nyholt, del Centro QUT per la genomica e la salute personalizzata, ha affermato che la co-occorrenza di emicrania e tratti glicemici ( livelli di zucchero nel sangue ) era stata segnalata in studi epidemiologici osservazionali, ma non era noto come fossero geneticamente collegati.
“Tratti glicemici come insulino-resistenza , iperinsulinemia (troppa insulina), ipoglicemia (basso livello di zucchero nel sangue) e diabete di tipo 2 sono associati a emicrania e mal di testa.
“Identificando correlazioni genetiche e loci e geni condivisi nelle nostre analisi abbiamo dedotto un’associazione causale e quindi confermato e migliorato la comprensione della relazione tra emicrania, mal di testa e tratti glicemici”.
Il signor Islam ha affermato che i ricercatori hanno eseguito analisi dei tratti incrociati per stimare la correlazione genetica, identificare regioni genomiche condivise , loci, geni e percorsi e quindi testare le relazioni causali.
“Dei nove tratti glicemici che abbiamo esaminato, abbiamo trovato una correlazione genetica significativa per l’insulina a digiuno (livello di insulina nel sangue) e l’emoglobina glicata sia con l’emicrania che con il mal di testa, mentre il glucosio a due ore era geneticamente correlato solo con l’emicrania”, ha detto.
“Abbiamo anche trovato regioni che ospitano fattori di rischio genetici condivisi tra emicrania e insulina a digiuno, glucosio a digiuno ed emoglobina glicata, e per il mal di testa, regioni condivise con glucosio, insulina a digiuno, emoglobina glicata e proinsulina a digiuno.
“Ulteriori analisi hanno prodotto prove di una relazione causale tra emicrania e mal di testa con molteplici tratti glicemici.
“I nostri risultati forniscono strade per sviluppare nuove strategie di trattamento per la gestione dei tratti glicemici nei pazienti con emicrania e mal di testa, in particolare aumentando il livello di proinsulina a digiuno per proteggere dal mal di testa”.
In Italia, secondo la Fondazione Veronesi: “I Centri italiani specializzati nella cura delle cefalee, dal nord al sud, apriranno le porte per fornire informazioni precise e aggiornate sul cosa fare per contrastare un male così invasivo e, spesso, “affezionato”. Ci sono tanti aspetti utili da conoscere sulla diagnostica, sull’epidemiologia e sulle reali possibilità di cura: a volte i pazienti non le conoscono davvero perché si sono come rassegnati a portarsi dietro questo tormento.
A proporre iniziative per il pubblico sabato 19 sono la Società italiana di Neurologia (Sin) e l’Associazione neurologica italiana per la ricerca delle cefalee (Anircef). Il presidente di quest’ultima, il professor Fabio Frediani, che lavora all’Ospedale S. Carlo Borromeo di Milano, dà un annuncio importante: è imminente l’arrivo di una nuova cura molto promettente.
«Si tratta di nuove molecole, gli anticorpi monoclonali, pensate per bloccare l’attività di una piccola proteina (Cgrp) responsabile dello scatenarsi degli attacchi di emicrania. Sono le prime molecole in assoluto dirette in modo estremamente mirato a colpire i meccanismi che generano gli attacchi».
«Possiamo fornire questi dati. Nelle prove sperimentali 1 paziente su 4 che subiva gli assalti di mal di testa 2 o 3 volte alla settimana, riesce a vivere tutto un mese senza emicrania. In più, proprio grazie al loro meccanismo molto specifico, questi farmaci hanno effetti collaterali irrilevanti», ha dichiarato il Professor Frediani.
il presidente della Sin e direttore della Clinica neurologica dell’Università di Genova, Gianluigi Mancardi, ribadisce l’importanza di un paziente informato, che sappia a chi rivolgersi, dove farsi curare e non sottovaluti le possibilità di stare meglio.
Entrare sabato in un centro per la cefalea, rintracciabile su internet, può essere l’occasione per fare chiarezza e sul male e sulle terapie. Mal di testa o cefalea è un termine generico che sottende diverse categorie. C’è la cefalea secondaria, per esempio, che è il sintomo di una malattia sottostante, tipo l’ipertensione arteriosa o la sinusite.
Quando invece si tratta di un disturbo a sé si parla di cefalea primaria se, appunto, dagli esami con Tac e Risonanza non risultano altre cause.
L’emicrania, come indica il nome dal greco “metà cranio”, è un tipo di cefalea primaria in cui il dolore colpisce un solo lato della testa e genera spesso anche disturbi visivi, nausea, vomito. Ci sono vari tipi di emicrania (ad esempio l’emicrania con aura). In complesso ne soffre il 10-20 per cento della popolazione generale”.
Piero Barbanti, Presidente dell’Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee, ha dichiarato: “I malati di emicrania? Vivono la vita a metà ed effettuano scelte di ripiego, anche nella vita lavorativa, per la paura di non essere all’altezza a causa della propria patologia.
La vera cura consiste non nella somministrazione del solito analgesico in occasione dell’attacco ma in un trattamento prolungato per mesi per ridurre il numero mensile di giorni in cui l’emicrania si presenta.
L’emicrania è la terza malattia più frequente del genere umano e la prima per disabilità in soggetti di età inferiore ai 50 anni. Questa enorme massa di persone tende a non emergere per vari motivi: da un lato si tratta di un esercito silenzioso, fatto di pazienti che spesso hanno ritrosia a comunicare il proprio problema per timore di essere non compresi o etichettati come soggetti nevrotici; dall’altro, i sintomi dell’emicrania vengono frequentemente equivocati per problemi di artrosi cervicale, sinusite o intolleranze alimentari.
L’emicrania impatta severamente sulla vita del soggetto per due ordini di motivi. In primo luogo, la severità del dolore e dei sintomi associati (nausea, vomito, fastidio per le luci e per i rumori) condiziona le capacità sociali e lavorative del soggetto. Ma non è tutto.
Il paziente emicranico teme i propri attacchi anche quando non ha mal di testa e vive sovente in una condizione di paura dell’emicrania nota come cefalalgofobia che comporta rinunce a opportunità e occasioni nel timore che si possano rivelare situazioni scatenanti. Si tratta in sostanza di un soggetto che vive la vita a metà e che a volte effettua scelte di ripiego nell’ambito scolastico e lavorativo temendo di non essere all’altezza per via della propria patologia.
La prevenzione è la vera cura dell’emicrania e consiste non nella somministrazione del solito analgesico in occasione dell’attacco ma in un trattamento prolungato per mesi per ridurre il numero mensile di giorni in cui l’emicrania si presenta.
Fino a poco tempo fa la scelta ricadeva solo su farmaci beta-bloccanti, calcio-antagonisti, antidepressivi ed antiepilettici, molecole efficaci ma non specifiche, gravate da diversi effetti collaterali che comportano a volte l’interruzione del trattamento.
Da poco sono disponibili gli anticorpi monoclonali antiCGRP, trattamenti selettivi e specifici utilizzati in genere per 12 mesi, caratterizzati da ottima efficacia e eccellente tollerabilità, in grado di incidere molto più incisivamente sulla disabilità del soggetto.
Gli anticorpi monoclonali finora in commercio si iniettano per via sottocutanea mensilmente (o ogni 3 mesi, nel caso di un particolare anticorpo). Nel futuro dovrebbe essere commercializzato anche in Europa un anticorpo monoclonale ad uso trimestrale per via endovenosa.
Gli anticorpi monoclonali antiCGRP possono essere prescritti solo da specifici centri ai pazienti che abbiano almeno 8 giorni di emicrania disabilitante al mese e non abbiano risposto a trattamenti adeguati con beta-bloccanti, antidepressivi e antiepilettici”.
“L’emicrania viene spesso confusa con il mal di testa – afferma Nicoletta Orthmann, coordinatore medico-scientifico di Fondazione Onda, che da anni si occupa del dolore cronico nelle donne e che dal 2018 si interessa anche di emicrania – Tuttavia, si tratta di cose profondamente diverse: il mal di testa è un sintomo, è episodico e transitorio. L’emicrania è una vera e propria malattia neurologica caratterizzata da attacchi ricorrenti di cefalea da moderata a severa”.
Gli attacchi, poi, non si limitano al dolore al capo: “Al tipico pulsare della testa si associa nausea, vomito, ipersensibilità alla luce, ai suoni, agli odori. Qualcosa di molto più complesso che non si esaurisce soltanto nell’attacco – ricorda l’esperta –: è un processo multifasico che interessa più giorni e che ha un impatto significativo sulla qualità della vita di chi ne è affetto”.
“In teoria avrebbero dovuto uscire entro 180 giorni dall’approvazione della legge – ricorda Orthmann – In realtà, un po’ a causa della pandemia, un po’ per il succedersi dei diversi Governi, la questione è passata in secondo piano”.
Per riaccendere i riflettori sul problema, a fine novembre Fondazione Onda ha convocato a un tavolo tecnico le istituzioni, la comunità scientifica e le associazioni dei pazienti. “L’intenzione era discutere le criticità e certificare delle proposte operative per fornire risposte che i pazienti aspettano da due anni”, rileva Orthmann. Presente all’incontro anche l’onorevole Arianna Lazzarini, promotrice della Legge 81/2020, che “ha manifestato l’intenzione di portare avanti un’interlocuzione con il Governo anche su questo tema”.
“A marzo sono state presentate due interrogazioni parlamentari, una presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato a primo firmatario della Senatrice Paola Boldrini, l’altra dall’onorevole Fabiola Bologna presso la Commissione Affari Sociali e Sanità della Camera dei Deputati – ripercorre Orthmann – Entrambe chiedevano quali iniziative urgenti il Ministro della Salute intendesse adottare per dare attuazione alla legge. La risposta del Ministero, tuttavia, non ha consentito di ‘sbloccare’ la legge”.
“Per quanto riguarda gli aspetti sociali, l’aspetto maggiormente evidenziato dai pazienti è che l’emicrania è una patologia invisibile: è una condizione che non dà segnali all’esterno – ricorda Orthmann – Questo aspetto contribuisce a peggiorare la qualità della vita di chi ne è affetto: oltre all’invadenza e all’imprevedibilità della malattia, si aggiunge anche lo stigma di chi circonda il paziente, che può non capire quanto sia invalidante questa condizione”.
Il dolore fa sì che le attività quotidiane ordinarie, anche le più semplici, diventino un peso insostenibile e l’incapacità di portare avanti i propri impegni familiari, domestici, lavorativi e ludici genera sensi di colpa, frustrazione, insoddisfazione e inadeguatezza che spesso sono acuiti dalla mancata comprensione di chi sta intorno. Queste dinamiche sono alla base dell’impoverimento delle relazioni affettive e sociali e spesso costituiscono un terreno fertile per l’insorgenza di disturbi psichici, prevalentemente ansiosi o depressivi.
“Vi sono poi le modificazioni sociali legate alla paura di un nuovo attacco: non solo le persone soffrono durante l’esplosione dell’emicrania, ma – paradossalmente – anche quando questa non c’è: il timore che possa arrivare fa sì che si cambino programmi, che si evitino occasioni sociali o che si viva in un costante senso di angoscia”.
Innocenzo Raniero, Professore Ordinario di Neurologia del Dipartimento di Neuroscienze ‘Rita Levi Montalcini’ dell’Università degli Studi di Torino, ha affermato: “I meccanismi dell’emicrania sono molto complessi e non li conosciamo ancora totalmente, ma quello fondamentale, quello che correla alla sintomatologia cefalalgica è noto ormai da anni: l’infiammazione neurogenica del sistema trigemino-vascolare.
Questo sistema viene attivato da diversi stimoli, il risultato è il rilascio di neuropeptidi tra cui, il principale, è il CGRP.
In sintesi, è stato dimostrato che il neuropeptide correlato al gene della calcitonina (CGRP) svolge un ruolo fondamentale nei circuiti centrali e periferici dell’emicrania.
Consequenzialmente, la ricerca si è concentrata sulla produzione di un agente capace di bloccare l’azione del CGRP e quindi in grado di curare la patologia: gli anticorpi monoclonali.
I nuovi farmaci per l’emicrania funzionano bloccando il peptide CGRP, cioè il peptide pro-infiammatorio, oppure bloccando il recettore, ossia quella molecola su cui si lega per innescare la reazione.
Durante l’attacco emicranico c’è un fenomeno, chiamato infiammazione neurogenica, in cui vengono rilasciati dal cervello dei diversi neuropeptidi che alterano la parete dei vasi; questo fenomeno è responsabile del dolore, la cefalea pulsante che è caratteristica della fase emicranica.
Ora abbiamo a disposizione i primi farmaci di prevenzione specifici, cioè basati proprio sui meccanismi correlati alla malattia.
Mentre prima, e tutt’ora usiamo dei farmaci che non sono stati studiati in maniera selettiva, con questi farmaci vediamo una svolta importante perché agiscono sulle caratteristiche biochimiche dell’attacco emicranico.
Gli anticorpi monoclonali sono una terapia di profilassi. Non devono essere assunti quando insorge un attacco di emicrania, agiscono sulla causa scatenante. L’AIFA li ha registrati a luglio 2020, la Regione Piemonte, da gennaio di quest’anno, ci permette di utilizzarli.
Uno dei vantaggi è legato ad effetti collaterali che sembrano molto modesti: qualche paziente lamenta un po’ di stipsi e null’altro. Gli effetti a lungo termine dobbiamo monitorizzarli perché questo peptide svolge diverse funzioni (mantiene la regolazione della pressione) non solo nel corso dell’attacco emicranico.
Circa il 70%. Per noi è una percentuale alta e superiore alle precedenti terapie di profilassi. Un vantaggio è anche relativo alla modalità di somministrazione molto comoda per il paziente: un’iniezione sottocute al mese.
La prima la facciamo al momento della visita, ma c’è un autoiniettore molto semplice da usare per il paziente.
Per i primi tre mesi di cura il farmaco viene fornito dai Centri regionali che sono stati selezionati per questa finalità; poi, redatto un piano terapeutico, il paziente ritira il farmaco nella farmacia ospedaliera della propria Asl. La terapia deve essere seguita costantemente per un anno e poi sospesa; a quel punto riverifichiamo i risultati e controlliamo se l’effetto è permanente.
E’ una terapia che siamo autorizzati a fare su pazienti che hanno già provato altre forme di profilassi e prevenzione senza avere esito positivo. Se il soggetto non ha ottenuto risultati, con almeno tre terapie di profilassi, è idoneo per essere valutato per questa nuova terapia.
Infatti, il primo problema è la diagnosi. È vero che l’emicrania è la forma più frequente e invalidante di cefalea, ma ci vuole la diagnosi precisa del tipo di malattia che causa la cefalea.
Oggi, prevalentemente è il neurologo, ma ipotizziamo anche una figura di medico esperto nelle cefalee che non necessariamente sia un neurologo. Noi organizziamo un Master di II Livello in cui per un anno insegniamo un’ampia serie di indicazioni, risultati scientifici, studi, test per preparare al meglio chi voglia specializzarsi in questo particolare settore.
Inoltre, nel nostro Paese abbiamo due società scientifiche, la SISC (Società Italiana per lo Studio delle Cefalee) e l’ANIRCEF (Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefalee) che realizzano corsi di preparazione e aggiornamento.
L’assetto genetico predispone agli attacchi, poi ci sono diversi fattori scatenanti: stress emotivo, le normali variazioni del ciclo nella donna, le variazioni della pressione atmosferica… i fattori scatenanti sono tanti.
Ma abbiamo anche fattori protettivi: la prima cosa che diciamo ai nostri pazienti è normalizzare lo stile di vita.
Quando incontriamo un nuovo paziente dobbiamo innanzitutto indagare sul suo stile di vita, perché è un elemento importantissimo.
Cosa aiuta ad allontanare gli attacchi? Cicli del sonno regolari (sia dormire troppo che dormire troppo poco può scatenare un attacco), alimentazione regolare (l’aumento di peso corporeo, così come la sua grave riduzione, può essere un fattore rilevante), fare attività fisica di tipo aerobico regolare, evitare il fumo.
Un grave problema è quello dell’abuso di farmaci sintomatici che può condurre ad effetti collaterali anche gravi; e quando si sviluppa una dipendenza, la crisi di mal di testa diventa una conseguenza dell’astinenza”.