I ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget), capitanati da Luigi Naldini, sono riusciti ad abbattere una delle difficoltà maggiori nell’applicazione dell’editing genetico alle cellule staminali ematopoietiche, che rappresentano un bersaglio fondamentale per la cura di gravi patologie genetiche come le immunodeficienze primitive.
Editing genetico: ecco i passi avanti
“Il nostro è un risultato importante nel percorso verso l’applicazione clinica in malattie in cui la terapia genica “tradizionale” non è indicata, perché quello da correggere è un gene “delicato”, coinvolto per esempio nella regolazione della crescita cellulare. In questi casi l’editing genetico offre la possibilità di correggere il gene nella sua sede naturale, mantenendone la regolazione fisiologica, cosa invece impossibile quando il gene terapeutico viene fornito dall’esterno e va a inserirsi casualmente nel genoma”, spiega Luigi Naldini, direttore dell’SR-Tiget.
“Per alcune patologie questo non è un problema, come dimostrato proprio dai successi terapeutici della terapia genica messa a punto nel nostro istituto, ma in altre può invece risultare rischioso. E la medicina di precisione è proprio questo: disegnare strategie terapeutiche su misura, basandosi su una conoscenza approfondita dei meccanismi biologici e degli ostacoli da superare”, specifica il direttore.
La ricerca è stata sostenuta dalla Fondazione Telethon, dal programma Horizon 2020 dell’Unione Europea, dal Ministero della Salute, dal Ministero della Ricerca Scientifica Italiani e dalla Fondazione Louis Jeantet di Ginevra.
“Oggi siamo in grado di guidare questo sistema di riparazione, fornendo alla cellula la versione corretta che vogliamo sia sostituita a quella mutata. Per farlo si utilizza un vettore virale, ovvero un virus reso innocuo ma ancora capace di infettare le cellule e trasferirvi con il proprio carico genetico lo stampo per la correzione”.
“Tuttavia, questo sistema mirato di correzione non lavora al meglio all’interno delle cellule staminali ematopoietiche, che per loro natura sono tendenzialmente quiescenti e una volta avvertito un danno al DNA tendono a non proliferare più o addirittura ad autoeliminarsi. Siamo quindi andati a studiare come stimolarle ed evitare gli effetti collaterali del nostro intervento chirurgico sul materiale genetico”, raccontano Samuele Ferrari e Aurelien Jacob, primi autori della ricerca.
Usufruendo di ricerche precedenti sviluppate dal team di Naldini e in collaborazione con il gruppo di Raffaella Di Micco, gli studiosi hanno elaborato una delle possibili soluzioni volte a scavalcare l’impatto negativo del taglio del DNA sulle cellule staminali ematopoietiche, intervenendo su una delle proteine più importanti per la regolazione della proliferazione cellulare (p53).
La p53, rinominata “guardiana del genoma”, inibisce lo sviluppo cellulare in condizioni patologiche, tanto che un suo malfunzionamento è associato a diverse neoplasie. Iniettando alle staminali del sangue un inedito cocktail proteico durante l’editing genetico, gli scienziati sono riusciti a bloccarne temporaneamente l’azione e a migliorare notevolmente l’efficienza del processo correttivo.
“Ma questa non è l’unica innovazione introdotta. Abbiamo dimostrato che è possibile inserire nel vettore virale, oltre alla sequenza guida per la correzione del DNA, anche una breve sequenza aggiuntiva che funziona come un vero e proprio “codice a barre” per identificare in modo univoco ognuna delle cellule staminali corrette. In questo modo possiamo seguirle nel tempo e verificare che il loro comportamento non sia stato alterato dal trattamento“, chiarisce Pietro Genovese, che ha supervisionato lo studio insieme a Luigi Naldini.
“Questo ci ha permesso di dimostrare non solo l’efficacia dell’editing, ma anche – e per la prima volta – che la procedura è sicura: abbiamo infatti potuto escludere l’insorgenza di cellule potrebbero dare origine a tumori futuri. In altre parole, se associamo ogni codice a barre molecolare a un colore, siamo tranquilli quando vediamo tanti colori diversi: significa che le cellule corrette sono molte. Viceversa, se osserviamo pochi colori o anche solo un colore prevalente, per noi è un campanello di allarme che ci indica un rischio della procedura”, conclude Genovese.
Un’applicazione interessante dell’editing genetico riguarda la possibilità di intervenire per trovare e correggere gli errori genetici nel DNA, anche a livello di una singola lettera. Questa terapia prende ispirazione da un sistema di difesa attivato dai batteri contro i virus, che in caso di infezione li rende in grado di riconoscere e distruggere il DNA virale.
Per questo ulteriore passo avanti i ricercatori si sono serviti del icosiddetto “bisturi molecolare” CRISPR/Cas9, che taglia con precisione il DNA nel punto voluto, per esempio dove si annida una mutazione responsabile di una patologia. Tra i vantaggi più importanti si evidenzia la possibilità di correggere il gene difettoso “in loco” conservando la sua fisiologica regolazione. Le possibili funzioni terapeutiche sono molteplici: dalle patologie genetiche rare ai tumori.