Il mondo dei videogiochi è costellato di titoli che hanno segnato tappe fondamentali nell’evoluzione della tecnologia e dell’informatica e tra questi, “Doom“, rilasciato nel 1993 da id Software, occupa un posto di rilievo non solo come gioco rivoluzionario nel suo genere, ma anche per il suo impatto profondo e duraturo sulla storia dell’informatica e dato che di recente è stato rilasciato un nuovo episodio a distanza di più di vent’anni, è il caso di vedere perché questo gioco non è di fatto, solamente un gioco.
Doom: non è solo un gioco
Questo articolo esplorerà le radici di “Doom”, il suo sviluppo e le conseguenze che ha avuto sull’evoluzione della tecnologia, partendo dalle influenze di John Romero, co-fondatore di id Software, fino all’eredità informatica che il gioco ha lasciato, concludendo con una curiosità che lega “Doom” a un noto software per ufficio.
L’amore di John Romero per Super Mario
John Romero, uno dei principali sviluppatori di “Doom”, è stato fortemente influenzato dalla sua passione per i videogiochi sin dalla giovane età e tra i suoi preferiti c’era “Super Mario Bros.”, il celebre platform di Nintendo.
Questo gioco, con il suo gameplay fluido e il suo design ingegnoso, ha ispirato Romero a sognare la creazione di un gioco altrettanto avvincente per i computer; tuttavia, mentre il NES (Nintendo Entertainment System) aveva un hardware ottimizzato per il gaming, i PC dell’epoca non erano altrettanto potenti o versatili nel gestire giochi a scorrimento laterale e questa sfida tecnica spinse Romero e il suo team a cercare soluzioni innovative per portare l’esperienza di gioco dei platform anche sui personal computer.
Il problema dei platform su PC e del side scrolling
Negli anni ’80, i personal computer non erano ideali per i giochi a scorrimento laterale come “Super Mario Bros.” e il NES aveva un hardware dedicato al rendering dei pixel in modo efficiente, permettendo una fluidità che i PC non potevano eguagliare facilmente all’epoca.
Il principale ostacolo tecnico risiedeva nella difficoltà di replicare il “side scrolling” fluido del NES sui PC; i computer degli anni 80, a differenza delle console, erano progettati per compiti più generici e non disponevano di chipset ottimizzati per il rendering grafico in tempo reale.
Questo significava che per replicare un gioco come “Super Mario”, era necessario riscrivere il codice, tradurre l’assembly del NES (un linguaggio di basso livello utilizzato per la programmazione su quella console) in linguaggi compatibili con i PC, come il C o l’assembly x86; questo compito era arduo e richiedeva un notevole ingegno per superare i limiti hardware dei computer dell’epoca.
6502 assembly VS C
Uno degli ostacoli più tosti nell’adattare giochi da console a PC negli anni ’80 era la differenza sostanziale tra i linguaggi di programmazione utilizzati.
Il NES (Nintendo Entertainment System) utilizzava un processore 6502, un microprocessore a 8 bit che richiedeva la scrittura di codice in assembly 6502, un linguaggio di basso livello estremamente vicino all’hardware; questo tipo di programmazione, sebbene efficiente in termini di prestazioni, era altamente specifico per l’architettura del NES e sfruttava direttamente le capacità grafiche e sonore del sistema.
Dall’altra parte, i personal computer utilizzavano linguaggi come il C, un linguaggio di programmazione di alto livello che offriva maggiore portabilità e flessibilità ma che introduceva un’astrazione significativa rispetto all’hardware; questo significava che per convertire un gioco scritto in assembly 6502 per NES in un gioco funzionante su PC, non si poteva semplicemente tradurre il codice riga per riga.
Era necessario riprogettare il codice per funzionare in un ambiente completamente diverso, tenendo conto delle limitazioni hardware dei PC e delle differenze nel modo in cui veniva gestita la grafica e l’input.
Inoltre, il linguaggio C, sebbene più facile da utilizzare per programmatori non esperti di assembly, non era altrettanto performante su hardware limitato come i PC dell’epoca; la sfida per i programmatori di id Software, quindi, era non solo quella di replicare le funzionalità di un gioco come “Super Mario Bros. 3” su PC, ma di farlo in modo che fosse giocabile e fluido su macchine con risorse molto diverse da quelle del NES.
Porting non ufficiale di Super Mario e Dangerous Dave
La passione di Romero per i platform lo spinse a tentare un porting non ufficiale di “Super Mario Bros.” per PC, un’impresa che avrebbe gettato le basi per le future innovazioni in id Software.
Utilizzando il motore grafico sviluppato da John Carmack, un altro co-fondatore di id Software, Romero riuscì a replicare il movimento fluido del side scrolling di “Super Mario” su PC, un’impresa tecnica notevole per l’epoca.
Il motore di Carmack utilizzava un’innovativa tecnica di rendering chiamata “adaptive tile refresh”, che consentiva di aggiornare solo le parti dello schermo che cambiavano, piuttosto che ridisegnare l’intero frame e questo approccio permise di superare le limitazioni del PC, rendendo possibile il porting.
Successivamente, questa tecnologia fu impiegata nello sviluppo di “Dangerous Dave in Copyright Infringement”, un platform che dimostrava ulteriormente le potenzialità del motore grafico.
Dangerous Dave in Copyright Infringement
“Dangerous Dave in Copyright Infringement” rappresentò un passo importante nella carriera di Romero e del team di id Software; il gioco non era solo un omaggio ai platform come “Super Mario”, ma anche una dimostrazione di forza tecnica.
Realizzato utilizzando il motore grafico sviluppato da Carmack, il gioco replicava fedelmente l’esperienza di un platform a scorrimento laterale su PC; tuttavia, il titolo stesso era un esplicito richiamo alla natura non ufficiale del progetto e alla potenziale violazione del copyright di Nintendo.
Questo esperimento fu cruciale per l’evoluzione delle tecniche di programmazione di id Software, portando alla creazione di motori grafici sempre più avanzati.
Commander Keen: il platform che risolse il problema del side scrolling
Dopo il successo tecnico ottenuto con “Dangerous Dave in Copyright Infringement”, id Software si concentrò sullo sviluppo di un proprio titolo originale che potesse sfruttare appieno le tecniche di side scrolling su PC; ecco che nacque così “Commander Keen”, una serie di giochi platform rilasciati a partire dal 1990.
“Commander Keen” non solo replicava, ma migliorava l’esperienza di gioco tipica dei platform su console, grazie a un motore grafico evoluto che risolveva definitivamente il problema del side scrolling fluido su PC.
La tecnica utilizzata da Carmack, basata sul concetto di “page flipping”, permetteva di mantenere alte prestazioni anche su hardware limitato, tanto che “Commander Keen” fu un successo, dimostrando che i PC potevano competere con le console nel mercato dei platform e consolidando la reputazione di id Software come innovatori nel campo dei videogiochi.
Wolfenstein 3D e il motore 2.5D
Con l’esperienza accumulata nella realizzazione di giochi a scorrimento laterale, id Software si spostò verso un nuovo tipo di esperienza: il 3D. “Wolfenstein 3D”, rilasciato nel 1992, fu uno dei primi giochi a introdurre un ambiente pseudo-3D, spesso definito 2.5D e il motore utilizzato per “Wolfenstein 3D” rappresentava un’enorme innovazione tecnica: pur non essendo vero 3D, riusciva a creare l’illusione della tridimensionalità utilizzando tecniche di ray casting, dove ogni colonna di pixel veniva calcolata in base alla distanza dall’osservatore.
Questo permetteva di rappresentare ambienti “tridimensionali” in tempo reale, un passo avanti significativo rispetto ai giochi 2D tradizionali; il successo di “Wolfenstein 3D” dimostrò la validità di questo approccio e aprì la strada per lo sviluppo di giochi ancora più ambiziosi.
1993: arriva Doom
Il 1993 vide la nascita di “Doom”, un gioco che avrebbe ridefinito non solo il genere degli sparatutto in prima persona, ma l’intera industria dei videogiochi. Sviluppato da id Software, “Doom” sfruttava un motore grafico altamente ottimizzato che spingeva ulteriormente le capacità del rendering pseudo-3D introdotte con “Wolfenstein 3D”.
Grazie a sua grafica avanzata per l’epoca, la colonna sonora coinvolgente e il gameplay frenetico, “Doom” divenne rapidamente un fenomeno culturale; tuttavia, ciò che rese “Doom” davvero rivoluzionario fu la sua architettura aperta, che permetteva agli utenti di creare e condividere le proprie mappe e mod, gettando le basi per la nascita di una vivace comunità di modder.
Doom Engine: perché è così importante
Il motore di “Doom”, noto come Doom Engine, è considerato una pietra miliare nella storia dell’informatica e dei videogiochi; esso non solo offriva una grafica all’avanguardia per l’epoca, ma era anche altamente modulare e personalizzabile.
Questo rese possibile la creazione di mod (modifiche al gioco originale) da parte degli utenti, un concetto relativamente nuovo per l’epoca; Doom Engine utilizzava una tecnica di rendering chiamata binary space partitioning (BSP), che permetteva di gestire ambienti complessi e dettagliati senza sacrificare la fluidità del gioco.
Questo approccio, unito alla possibilità di creare contenuti personalizzati, contribuì a cementare “Doom” come un punto di riferimento per l’industria dei videogiochi e per l’allora nascente scena del modding.
Doom II: e l’arrivo effettivo delle mod
Sebbene “Doom” fosse già ampiamente modificabile, fu con “Doom II”, rilasciato nel 1994, che il modding esplose davvero: il sequel migliorava il Doom Engine, offrendo nuovi strumenti e risorse che incoraggiavano ulteriormente la creazione di mod.
Le comunità di giocatori iniziarono a creare e condividere mappe personalizzate, nuove armi, nemici e persino interi giochi basati sul motore di “Doom”; questo fenomeno segnò l’inizio di una cultura del modding che avrebbe avuto un impatto duraturo sull’industria dei videogiochi, influenzando titoli futuri e contribuendo allo sviluppo di giochi personalizzati e innovativi.
L’eredità informatica di Doom
L’importanza di “Doom” nella storia dell’informatica va ben oltre il semplice intrattenimento e le innovazioni introdotte da id Software, a partire dal porting non ufficiale di “Super Mario” e passando per “Dangerous Dave” e “Wolfenstein 3D”, hanno avuto un impatto duraturo su come oggi interagiamo con la tecnologia.
Funzionalità come il side scrolling, rese possibili grazie agli sforzi pionieristici di Romero e Carmack, sono alla base di molte delle esperienze interattive che diamo per scontate oggi, come lo scrolling nei browser web e sugli smartphone; senza questi primi esperimenti, molte delle tecnologie che utilizziamo quotidianamente potrebbero non esistere o essere molto diverse.
Tra le altre cose, il fenomeno del modding, esploso grazie a “Doom” e “Doom II”, ha contribuito in modo significativo alla cultura dell’open source; la possibilità di modificare liberamente il gioco e di condividere le proprie creazioni con la comunità ha ispirato una generazione di programmatori e sviluppatori a contribuire a progetti collaborativi e aperti.
Questo spirito di condivisione e innovazione ha alimentato lo sviluppo di numerosi progetti open source, gettando le basi per movimenti come quello del software libero, che oggi sono fondamentali nel mondo della tecnologia.
Curiosità: l’easter egg di Excel 95
Una curiosità interessante che lega “Doom” al mondo del software per ufficio riguarda un easter egg nascosto in Microsoft Excel 95. Con un semplice trucchetto, era possibile sbloccare un minigioco nascosto simile a “Doom”, noto come “The Hall of Tortured Souls“.
Questo minigioco, pur essendo relativamente semplice, era un omaggio all’influenza pervasiva che “Doom” aveva avuto, dimostrando come il gioco avesse superato i confini del mondo dei videogiochi per entrare nella cultura popolare e persino nel software aziendale.
Conclusione
“Doom” non è solo un gioco iconico, ma un capitolo fondamentale nella storia dell’informatica. Dal superamento delle limitazioni tecniche dei PC degli anni ’80 alla creazione di un motore grafico che avrebbe ispirato generazioni di sviluppatori, “Doom” ha lasciato un’eredità duratura.
Le tecnologie e le innovazioni introdotte da questo gioco hanno influenzato non solo il mondo dei videogiochi, ma anche l’intero panorama tecnologico. Ancora oggi, “Doom” rimane un simbolo di innovazione, creatività e passione, un monumento alla capacità dell’ingegno umano di superare i limiti tecnici e creare qualcosa di veramente rivoluzionario.