Un aspetto spesso trascurato ma cruciale nella comprensione dell’Alzheimer sta guadagnando crescente attenzione scientifica: la sorprendente realtà che le donne hanno il doppio delle probabilità degli uomini di sviluppare la malattia. Sebbene si possa essere tentati di attribuire questa disparità alla maggiore longevità femminile, gli studiosi della malattia concordano sul fatto che questa spiegazione da sola non basterebbe a giustificare una differenza così marcata. La vera causa di questa discrepanza rimane un enigma aperto, spingendo la ricerca verso nuove direzioni.

Il puzzle dell’Alzheimer: perché le donne sono più colpite?
I ricercatori stanno concentrando i loro sforzi su due aree principali dove le differenze biologiche tra donne e uomini sono evidenti: i cromosomi e la menopausa. Le donne possiedono due cromosomi X, mentre gli uomini ne hanno uno X e uno Y. Si ipotizza che le distinzioni nei geni presenti sui cromosomi X e Y possano aumentare il rischio di Alzheimer nel genere femminile.
La menopausa, caratterizzata dal declino della produzione di estrogeni e progesterone, rappresenta un’altra chiara divergenza tra i sessi. Questi ormoni sono noti per il loro ruolo nel sistema riproduttivo, ma gli estrogeni esercitano anche un’azione significativa sul cervello, un aspetto che i ricercatori stanno esplorando in relazione al rischio di Alzheimer.

Qualunque sia il fattore determinante per l’Alzheimer, è probabile che esso si inserisca in processi neurologici più profondi, evidenziando differenze simili legate al sesso in altre patologie. La sclerosi multipla e l’emicrania, per esempio, sono entrambe più comuni nelle donne. Al contrario, il morbo di Parkinson, i tumori cerebrali e l’epilessia mostrano una maggiore incidenza negli uomini. In alcuni di questi casi, come l’emicrania nelle donne e il Parkinson negli uomini, l’aumento dell’incidenza è accompagnato da una maggiore gravità della malattia.
Come sottolinea Anna Bonkhoff, specializzanda e ricercatrice in neurologia presso la Harvard Medical School e il Mass General Brigham, “dal punto di vista epidemiologico, osserviamo che per quasi tutte le malattie neurologiche ci sono differenze nel numero di donne e uomini biologici colpiti”. Questa osservazione rafforza l’idea che le differenze biologiche tra i sessi siano un elemento cruciale da considerare nella ricerca sulle patologie neurologiche.
Geni e cromosomi: Il ruolo delle differenze sessuali
La tendenza a colpire maggiormente le donne in patologie come la sclerosi multipla e l’emicrania, e al contrario gli uomini nei tumori cerebrali e nel Parkinson, suggerisce l’esistenza di differenze biologiche fondamentali alla base di queste disparità. Gli elementi costitutivi primari sono i geni, organizzati in 46 cromosomi disposti in 23 coppie. Tra queste, la coppia di cromosomi sessuali – XX nelle donne e XY negli uomini – contiene i geni che definiscono le caratteristiche basate sul sesso, e queste differenze sono aree chiave di esplorazione.

Anna Bonkhoff ha evidenziato come i cromosomi X e Y differiscano in modo significativo. Il cromosoma X è ricco di geni, mentre il cromosoma Y ne ha persi un numero considerevole nel corso dei millenni. Sebbene le donne possiedano due cromosomi X, ciò non implica una doppia dose di proteine e altri prodotti genici, poiché uno dei cromosomi X viene silenziato. Tuttavia, questo silenziamento è imperfetto, lasciando attivi alcuni geni sul cromosoma X silenziato.
Diversi studi hanno dimostrato che i geni presenti sul cromosoma X sono correlati al sistema immunitario, alle funzioni cerebrali e al morbo di Alzheimer. Bonkhoff, autrice principale di uno studio sulle differenze legate al sesso nell’Alzheimer e nell’ictus, ha affermato: “Sappiamo che uomini e donne biologici differiscono nel numero di cromosomi X”. Molti geni che regolano il sistema immunitario e la struttura cerebrale si trovano sul cromosoma X, portando a dosaggi che variano in una certa misura con effetti evidenti.
Un’altra differenza fondamentale risiede nei loro ormoni. Tutti gli esseri umani producono tre ormoni sessuali: estrogeni, progesterone e testosterone. Nel genere femminile, prevalgono estrogeni e progesterone, mentre negli uomini domina il testosterone. Quando si osservano i cambiamenti in relazione agli ormoni e all’invecchiamento, la menopausa rappresenta un nesso significativo nel corso della vita.

“La menopausa è parte del puzzle, probabilmente uno dei più grandi”, ha affermato Bonkhoff, pur riconoscendo che non è l’unico fattore, dato che l’invecchiamento di per sé è rilevante e ci sono molte ricerche interessanti che esaminano gli effetti dell’invecchiamento sul sistema immunitario, con implicazioni sui cambiamenti cognitivi. Le donne generalmente attraversano la menopausa tra i 45 e i 50 anni. Durante questo periodo, le ovaie cessano di produrre estrogeni e progesterone, causando sintomi caratteristici come vampate di calore, cambiamenti emotivi, cessazione delle mestruazioni e difficoltà a dormire, tra gli altri.
A marzo, Rachel Buckley, professoressa associata di neurologia alla Harvard Medical School e ricercatrice presso il Massachusetts General Hospital, e i suoi colleghi hanno approfondito il legame ormonale in uno studio che ha esaminato l’impatto della terapia ormonale sostitutiva sull’accumulo della proteina tau nel cervello, una caratteristica distintiva del morbo di Alzheimer. Buckley ha scoperto che le pazienti sottoposte a terapia ormonale sostitutiva in età avanzata, dopo i 70 anni, presentavano livelli significativamente più elevati di accumulo di tau e soffrivano di un declino cognitivo più marcato.
Terapia ormonale sostitutiva: la rilevanza del momento
I risultati della ricerca supportano l’approccio “timing” alla terapia ormonale, suggerendo che la terapia ormonale sostitutiva (TOS) può essere impiegata in sicurezza per alleviare i sintomi della menopausa, ma non dovrebbe essere continuata in età avanzata. Questa teoria ha preso forma in seguito a uno studio della Women’s Health Initiative nei primi anni 2000, che aveva evidenziato un’associazione tra l’assunzione di TOS e un aumento del declino cognitivo nelle donne, in contrasto con le aspettative precedenti che indicavano effetti protettivi degli estrogeni sulla cognizione. Tuttavia, studi successivi hanno chiarito che la TOS sembrava avere un effetto protettivo nelle donne più giovani, ma era associata a un declino cognitivo nelle donne dai 65 anni in su.

La ricerca di Rachel Buckley ha approfondito ulteriormente questo legame, connettendolo ai cambiamenti fisiologici nel cervello. Il morbo di Alzheimer è caratterizzato dall’accumulo di placche di beta-amiloide nel cervello, considerate un segno distintivo della malattia. Queste placche stimolano lo sviluppo di grovigli di una proteina chiamata tau, che a sua volta innesca un’infiammazione dannosa. Lo studio di Buckley ha dimostrato che la terapia ormonale nelle donne anziane era associata a un aumento della proteina tau e a un declino cognitivo, ma non a un aumento della proteina beta-amiloide, che rappresenta attualmente un bersaglio terapeutico comune.
La ricerca ha permesso a Buckley, Gillian Coughlan e ai loro colleghi di evidenziare il ruolo della terapia ormonale sostitutiva nell’accumulo di grovigli di proteina tau nelle pazienti anziane. Nonostante ciò, Buckley ha sottolineato che lo studio rivela anche importanti aree che richiedono ulteriori indagini. Il database utilizzato per lo studio non conteneva informazioni cruciali come la storia riproduttiva della donna, i dettagli sull’inizio della terapia sostitutiva e la durata della sua assunzione.

Comprendere l’importanza di questi dati mancanti, ha affermato Buckley, è un passo avanti significativo, anche se la loro assenza limita le conclusioni che si possono trarre dallo studio attuale. Per ovviare a ciò, Buckley sta pianificando un nuovo studio che raccoglierà tutti i dati pertinenti, inclusa la storia riproduttiva e i dettagli sull’uso della terapia ormonale.
“Lavoriamo con molti dati secondari già esistenti, e questo è fantastico, ma ci sono dei limiti a ciò che possiamo fare con essi”, ha detto Buckley. “Stiamo cercando di capire se possiamo impostare un nuovo disegno di studio in cui possiamo davvero analizzare il momento della menopausa, cosa cambia nel sangue, cosa cambia nel cervello, cosa cambia nella cognizione e come questo potrebbe essere associato al rischio in età avanzata.”

Comprendere come il sesso biologico influenzi il rischio di Alzheimer, hanno affermato Bonkhoff e Buckley, può aiutarci a comprendere la malattia in modo più generale. Questa comprensione ha il potenziale di aprire nuove strade per il trattamento e la prevenzione di una patologia che, nonostante decenni di ricerca e recenti progressi incoraggianti, è ancora poco compresa.
“In medicina, è un obiettivo fondamentale comprendere e poi innovare nel modo di prevenire o curare”, ha affermato Bonkhoff. “Se riusciamo a trovare il modo di integrare la differenza di genere per ottimizzare il trattamento per ogni individuo, sia uomini che donne, questo è l’obiettivo principale”.
Lo studio è stato pubblicato su Science Advances.