La storia dell’umanità è stata spesso raccontata come quella di un uomo cacciatore e di una donna raccoglitrice, nessuna esempio di donne cacciatrici, questo perché si dividevano i compiti per la sopravvivenza della loro comunità, questa visione, però, è basata su poche prove concrete e su molti pregiudizi di genere.
A tal proposito, due nuovi studi (uno e due) mettono in discussione questa teoria e mostrano come le donne cacciatrici ci fossero, oltre ad essere state capaci e partecipi tanto quanto i loro compagni maschi.
Una teoria senza fondamento
La teoria dell’uomo cacciatore si basa sull’idea che i nostri primi antenati umani vivevano di carne che potevano cacciare, integrata con qualsiasi altro alimento che poteva essere raccolto dalla terra. In questo scenario, erano gli uomini a cacciare e le donne a raccogliere, seguendo una divisione del lavoro basata sulle differenze fisiche e biologiche tra i sessi.
Questa teoria è stata proposta per la prima volta nel 1968 da due antropologi, Richard B. Lee e Irven Devore, che si basavano sull’analisi morfologica degli strumenti di pietra e delle ossa dei primi esseri umani, secondo loro infatti, gli strumenti usati per la caccia erano prevalentemente appannaggio dei maschi, mentre le femmine si occupavano di altre attività meno impegnative.
Questa visione ha avuto una grande influenza sulla coscienza pubblica e sulla scienza, corrispondendo ad altri stereotipi sui ruoli e sulle capacità di uomini e donne che hanno resistito all’interno di molte società umane, malgrado ciò secondo due nuovi studi pubblicati su American Anthropologist, questa teoria non ha alcun fondamento empirico, anzi dimostrerebbe che le donne cacciatrici erano presenti, al pari degli uomini.
Le prove archeologiche e fisiologiche sulle donne cacciatrici
Sarah Lacy dell’Università del Delaware e Cara Ocobock dell’Università di Notre Dame hanno riassunto le prove archeologiche e fisiologiche che suggeriscono che le donne non solo erano capaci di cacciare quanto i loro compagni di caverna maschi, ma che non vi è alcuna ragione per cui pensare che non aiutavano a condividere il carico.
Ad esempio, si tende a ritenere che attività come la lavorazione della selce per produrre utensili fossero prevalentemente appannaggio dei maschi, tuttavia secondo i nuovi studi, queste ipotesi non si basano essenzialmente su alcuna prova empirica.
“Le persone hanno trovato cose nel passato e le hanno semplicemente classificate automaticamente come maschili e non hanno riconosciuto il fatto che tutti quelli che abbiamo trovato in passato avevano questi segni, sia nelle loro ossa che negli strumenti di pietra che vengono collocati nelle loro sepolture”
ha detto Lacy in una nota, aggiungendo inoltre:
“Non possiamo davvero dire chi ha fatto cosa, giusto? Non possiamo dire: “Oh, solo i maschi tagliano la selce”, perché non è rimasta alcuna firma sullo strumento di pietra che ci dica chi lo ha realizzato”.
Ciò che sappiamo della fisiologia dei nostri antenati paleolitici indica anche che è ingiusto da parte degli scienziati moderni sottovalutare l’abilità fisica delle prime donne.
“Quando diamo uno sguardo più approfondito all’anatomia e alla fisiologia moderna e poi osserviamo effettivamente i resti scheletrici degli antichi, non c’è differenza nei modelli di trauma tra maschi e femmine, perché stanno svolgendo le stesse attività”
ha spiegato Lacy.
Anche se è vero che gli uomini potevano avere il vantaggio di una maggiore forza, le donne cacciatrici probabilmente erano più adatte alle attività di resistenza grazie ai loro livelli più alti di estrogeni, ed è necessaria una combinazione di entrambe queste abilità per una caccia di successo, e dato che questi primi esseri umani avrebbero vissuto in piccoli gruppi, è logico che tutti avrebbero dovuto contribuire per far andare avanti la comunità.
Una sfida alla storia ufficiale
La scoperta delle donne cacciatrici è una sfida alla storia ufficiale dell’umanità, che ha spesso ignorato o minimizzato il ruolo delle donne nelle società preistoriche, inoltre mostra come la scienza possa essere influenzata dai pregiudizi culturali e sociali, che possono ostacolare una comprensione più completa e accurata del passato.
Per evitare questi errori, Lacy e Ocobock suggeriscono di adottare un approccio più aperto e critico alla classificazione delle specie e alla divisione del lavoro tra i sessi, ed invece di basarsi su stereotipi o presupposti, bisogna esaminare le prove disponibili e confrontarle con le conoscenze attuali.
Solo così si potrà dare voce a quelle donne cacciatrici che hanno contribuito alla sopravvivenza e all’evoluzione della nostra specie, e che meritano di essere riconosciute come parte integrante della storia dell’umanità.
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