Molte persone non sanno che alcuni antidepressivi vengono prescritti anche per trattare determinate condizioni di dolore cronico. Una persona su cinque soffre di dolore cronico in Australia e nel mondo e il trattamento del dolore cronico è spesso subottimale, con farmaci comunemente usati che hanno benefici limitati o sconosciuti.
L’uso di antidepressivi per aiutare a gestire il dolore di una persona è in aumento , anche quando non hanno un disturbo dell’umore come la depressione.Un team internazionale di ricercatori ha scoperto che alcune classi di antidepressivi erano efficaci nel trattamento di determinate condizioni di dolore negli adulti, ma altre non erano efficaci o l’efficacia era sconosciuta.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The BMJ.
Dolore cronico: è utile trattarlo con gli antidepressivi?
I ricercatori affermano che i risultati mostrano che i medici devono considerare tutte le prove prima di decidere di prescrivere antidepressivi per la gestione del dolore cronico: “Questa revisione, per la prima volta, riunisce tutte le prove esistenti sull’efficacia degli antidepressivi nel trattamento del dolore cronico in un documento completo”, ha affermato l’autore principale, il dott. Giovanni Ferreira dell’Istituto per la salute muscoloscheletrica e la salute muscoloscheletrica di Sydney presso l’Università di Sidney.
Al contrario, gli antidepressivi triciclici, come l’amitriptilina, sono gli antidepressivi più comunemente usati per trattare il dolore nella pratica clinica, ma la revisione ha mostrato che non è chiaro quanto bene funzionino o se funzionino per la maggior parte delle condizioni di dolore.
L’uso di antidepressivi come trattamento per il dolore ha recentemente attirato l’attenzione a livello globale. Una linea guida del 2021 per la gestione del dolore primario cronico pubblicata dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE) raccomanda di non utilizzare farmaci antidolorifici ad eccezione degli antidepressivi.
La linea guida raccomanda diversi tipi di antidepressivi, come amitriptilina, citalopram, duloxetina, fluoxetina, paroxetina o sertralina per gli adulti che vivono con dolore cronico primario.
Il dottor Ferreira ha affermato che è necessario un approccio più sfumato alla prescrizione di antidepressivi per il dolore:
“Raccomandare un elenco di antidepressivi senza un’attenta considerazione delle prove per ciascuno di quegli antidepressivi per diverse condizioni di dolore può indurre in errore medici e pazienti a pensare che tutti gli antidepressivi abbiano la stessa efficacia per le condizioni di dolore. Abbiamo dimostrato che non è così”.
La coautrice, la dott.ssa Christina Abdel Shaheed, della School of Public Health e Sydney Musculoskeletal Health dell’Università di Sydney, ha dichiarato: “I risultati di questa revisione aiuteranno sia i medici che i pazienti a soppesare i benefici e i danni degli antidepressivi per vari condizioni di dolore in modo che possano prendere decisioni informate su se e quando usarle”.
Il dottor Ferreira ha affermato che esistono molteplici opzioni di trattamento per il dolore e che le persone non dovrebbero fare affidamento esclusivamente sugli antidolorifici per alleviare il dolore: “Alcuni farmaci antidolorifici possono avere un ruolo nella gestione del dolore, ma devono essere considerati solo come una parte della soluzione.
Per alcune condizioni di dolore, anche l’esercizio fisico, la fisioterapia e i cambiamenti dello stile di vita possono aiutare. Parla con il tuo medico per saperne di più quali alternative potrebbero essere appropriate per te”, ha detto il dottor Ferreira.
Il professor Christopher Maher, co-direttore di Sydney Musculoskeletal Health presso l’Università di Sydney, ha dichiarato: “Questa revisione ha distillato le prove di oltre 150 studi clinici in un riepilogo accessibile che i medici possono utilizzare per aiutarli a prendere decisioni migliori per i loro pazienti con dolore cronico”.
La maggior parte delle prescrizioni di antidepressivi per il dolore sono “off-label”, ovvero quando gli antidepressivi non sono stati approvati per essere prescritti per il dolore.
L’amitriptilina è approvata nel Regno Unito per alcune condizioni di dolore, come il dolore neuropatico (dolore ai nervi), mal di testa di tipo tensivo ed emicrania, ma non è approvata per il trattamento di alcuna condizione di dolore in Australia.
L’uso di antidepressivi è raddoppiato nei paesi OCSE dal 2000 al 2015 e l’uso di prescrizioni “off-label” di antidepressivi per il dolore è considerato un fattore che contribuisce a questo aumento. I dati provenienti da Canada, Stati Uniti, Regno Unito e Taiwan suggeriscono che tra gli anziani il dolore cronico era la condizione più comune che portava alla prescrizione di antidepressivi, ancor più della depressione. Attualmente, nessun dato dall’Australia mostra quante prescrizioni di antidepressivi siano per il dolore cronico.
Secondo una recente ricerca: ” La popolazione italiana presenta una prevalenza di dolore cronico del 21,7%, che corrisponde a circa 13 milioni (12.686.335) di abitanti.
Il dolore è una patologia che colpisce milioni di persone, ma viene affrontato dai sistemi sanitari con un approccio caratterizzato dalla casualità. Si riporta infatti che il 41% dei pazienti con dolore cronico dichiara di non aver ricevuto un adeguato controllo del dolore; ciò determina una grande inefficacia ed inappropriatezza dei processi di cura, con un conseguente peggioramento della salute e incremento della spesa corrente.
In base allo studio Macondo eseguito nella regione Emilia-Romagna nel 2009, si è riscontrato che il 49% dei malati assistiti a domicilio e il 31% di quelli assistiti in Day Hospital hanno provato dolore. La prevalenza di dolore severo sull’intero campione è stata pari al 25,1%, risultando maggiore nei pazienti assistiti a domicilio.
Un’altra carenza percepita dai pazienti è stato il mancato controllo durante le varie fasi della malattia, ovvero l’assenza di una valutazione integrale del dolore che tenga in considerazione l’intero percorso clinico: diagnosi, evoluzione, cambiamenti di trattamento, stabilizzazione o risoluzione ed eventuale ricaduta delle patologie e quindi del dolore.
Secondo studi eseguiti dall’International Narcotics Control Board, per la maggior parte dei trattamenti di base il consumo mondiale di oppiacei è stato più basso rispetto ai livelli necessari. Come risultato degli sforzi della comunità internazionale e della crescente consapevolezza della validità terapeutica delle sostanze in analisi, sono stati raggiunti sostanziali aumenti di consumo.e
Mentre i livelli di consumo tuttavia sono aumentati in diverse Regioni del mondo, la maggior quota di aumento si è registrata in un numero limitato di Paesi, in particolare in tre Regioni: Europa, Nord America e Oceania. In altri Paesi il livello di consumo di oppiacei è rimasto stazionario o è addirittura diminuito.
La situazione in Italia è diversa. I dati raccolti dalle Nazioni Unite mostrano un incremento marcato negli ultimi anni dell’utilizzo di oppiacei in Italia. Risulta comunque, come dimostrano i dati presenti nel portale dell’Unione Europea, che l’Italia continua ad occupare uno dei gradini più bassi per quanto riguarda il consumo pro-capite.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il corretto utilizzo di linee guida per un adeguato trattamento del dolore potrebbe ridurne l’incidenza. L’utilizzo di morfina è considerato essenziale dall’OMS ed è un indicatore di efficacia dei programmi di controllo del dolore.
La situazione sul consumo di FANS è completamente differente, rispetto a quella descritta per il consumo di oppiacei. In Italia, ancora oggi si utilizzano 43 milioni di confezioni di FANS per curare il dolore; il più usato è il ketoprofene con quasi 13 milioni di confezioni vendute ogni anno. 68 volte su 100 il dolore viene controllato con un FANS rispetto ad un 44% di media europea.
Questo largo consumo di FANS è andato incontro a variazioni nelle abitudini prescrittive che hanno portato ad uno spostamento delle prescrizioni da nimesulide verso altri FANS quali ketoprofene, diclofenac e ibuprofene.
Tale condotta potrebbe aver determinato nel tempo un aumento delle comorbilità da reflusso gastroesofageo, gastrite e sanguinamento gastrico, con il conseguente aumento di consumo di farmaci antiulcera nei pazienti esposti a FANS1. Le probabili cause per giustificare questo aumento sono diverse. Da un lato, il non sufficiente utilizzo di paracetamolo e farmaci oppiacei; dall’altro, la mancata valutazione del profilo di sicurezza dei FANS”.
Il prof. Gianvincenzo D’Andrea è una delle colonne portanti di ISAL, Presidente della Associazione Nazionale Amici della Fondazione ISAL e Vice Presidente della Fondazione, ha dichiarato: “Tanti episodi della mia vita professionale, sia in ISAL che prima che incontrassi la Fondazione, dimostrano che molte persone afflitte da dolore cronico non sanno che esistono una possibilità di cura e centri in cui si trattano le patologie di cui soffrono; ciò è fonte di una serie di sofferenze veramente inutili.
Mi è capitato tantissime volte di dare una svolta alla vita di queste persone, erano convinte che non ci fosse soluzione al loro problema: avevano sperimentato una serie di percorsi inadeguati. Con la terapia del dolore la loro esistenza è cambiata, hanno ritrovato una qualità di vita che non avevano più da decenni.
Queste persone si erano convinte che non ci fosse una soluzione e si erano ritirate nella loro solitudine, interrompendo i rapporti sociali e condannandosi a una sofferenza inutile.
Bisogna far capire a chi soffre di dolore cronico che una possibilità di cura c’è; esistono tante possibilità, occorre capire bene qual è il problema. Per chi soffre di un dolore violento, anche solo ridurlo del 50 per cento è un risultato percepito come quasi miracoloso. Io credo sia necessario far passare un messaggio di comprensione e di speranza: far capire a chi soffre che c’è qualcuno che vuole occuparsi del suo problema. Noi ci occupiamo del loro problema per aiutarli a trovare una soluzione, che nel 95% dei casi è disponibile.
Credo che senza un atteggiamento di vicinanza, sia difficile far compiere al paziente il passo fondamentale per mettere in pratica le terapie. Se non c’è un rapporto empatico credo che non si riesca a salvarli dalla condizione psicologica in cui sono precipitatati e che li trattiene dal rapporto terapeutico.
L’attività medica non può prescindere dall’ascolto e dal rendersi disponibile all’immedesimarsi; io dico sempre che i medici sono molto bravi a sopportare il dolore, ma quello altrui. Il dolore va capito in tutte le ripercussioni che ha sulla vita personale, altrimenti si può fare molto poco per persone che hanno un dolore cronico da anni e decenni.
Non esiste una terapia che possa andare bene per tutti, perché ogni dolore ha una propria peculiarità, ha bisogno di qualcosa che sia solo suo. Ogni dolore assomiglia agli altri, ma è una situazione a se, c’è qualcosa che lo differenzia. Non c’è una terapia migliore di un’altra, ma c’è una terapia migliore per quella condizione particolare, e va innanzi tutto riconosciuta.
Se non si conosce bene la persona che si ha di fronte, non si possono utilizzare farmaci che hanno una serie di interferenze sulla psiche. E’ indispensabile ascoltare a fondo e capire bene la struttura psicologica del paziente, per utilizzare in maniera opportuna i farmaci e suggerire il percorso terapeutico più adeguato”.